Da anni parliamo di crisi strutturale del capitalismo senile, la cui dinamica è punteggiata da una serie di avvenimenti significativi come l'attacco alle Torri Gemelle (2001), la crisi dei mutui subprime (2008), Occupy Wall Street (2011), le rivolte scoppiate in seguito all'omicidio di George Floyd (2020), l'assalto a Capitol Hill (2021) e lo scoppio della guerra in Ucraina (2022).
Gli stessi politici americani, compresi Biden e Trump, esprimono una certa preoccupazione per gli esiti delle imminenti elezioni, che da sempre rappresentano un passaggio di potere interno alla classe dominante, mentre ora sono fonte di caos, scontro sociale e destabilizzazione politica. L'industria cinematografica ha descritto scenari non troppo fantascientifici: basti pensare alla trilogia di film Attacco al Potere, ma anche a Don't Look Up sull'indifferenza dei governi e dei media nei confronti dell'emergenza, oppure alla recente serie tv Designated Survivor, che inizia con l'esplosione del Campidoglio, l'uccisione di quasi tutti i politici americani e gli scontri interni tra stati federati e apparati di sicurezza centrali. Il problema insormontabile per il capitalismo riguarda la capacità di resistere alla sua crisi storica. Se va in rovina il centro con sede a Washington, l'intera struttura capitalistica mondiale non è in grado di reggere il proprio peso.
È difficile prevedere da dove partirà la prossima scintilla rivoluzionaria, ma è facile notare che nel mondo vi è un accumulo continuo di materiale infiammabile. La concentrazione di ricchezza in poche mani a spese della stragrande maggioranza della popolazione è stata la molla che ha fatto scattare il movimento Occupy Wall Street, diventato portavoce del 99% in lotta contro l'1%. La crescita della miseria è un processo inarrestabile che non riguarda solo gli USA ma tutti i paesi. L'ingovernabilità politica è la conseguenza della perdita di energia del sistema: il ciclo dell'economia capitalistica, quello del dominio politico della borghesia e il corso storico del proletariato internazionale sono strettamente connessi (vedi il quaderno L'assalto del dubbio revisionista ai fondamenti del comunismo).
Il ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan e lo scoppio della guerra in Ucraina non sarebbero avvenuti senza una grave crisi interna agli USA. I rapporti tra stati, ma anche all'interno degli stati, sono improntati all'irrazionalità proprio perché è la base economica materiale a non permettere più il solito tran-tran. È stato segnalato, a tal proposito, l'articolo "Il tramonto dei partiti e la marcia della pace" (La Stampa, 8 novembre) di Lucia Annunziata, che scrive: "i partiti oggi hanno come credibile prospettiva quella di ridursi ulteriormente a dimensioni così irrilevanti da essere quasi una sparizione. Sparire d'altra parte è un fatto di efficacia – di sicuro queste organizzazioni di efficacia ne hanno già sempre meno". Organizzazioni che fino a qualche decennio fa raccoglievano milioni di iscritti e centinaia di migliaia di militanti, orientando ideologicamente masse considerevoli di uomini, adesso fanno fatica a pagare l'affitto delle proprie sedi, e lo stesso discorso vale per i sindacati e per tutte le strutture di mediazione tra società civile e Stato.
La maggioranza dell'umanità vede erose le proprie riserve ed è posta di fronte ad un bivio: accettare il peggioramento delle condizioni di vita o cominciare a ribellarsi. Sempre in "Raddrizzare le gambe ai cani" si dice che "l'anarchia della produzione borghese disperde i nove decimi delle centuplicate energie, espropria spietatamente tutti i medi detentori di piccole riserve di beni utili, e quindi aumenta enormemente il numero dei senza-riserva che consumano giorno per giorno la remunerazione, in modo che la maggioranza della umanità è senza difesa contro le crisi economiche, sociali e di spaventosa distruzione bellica al capitalismo inerenti."
Di fronte al sincronizzarsi di crisi economiche, politiche, sociali e, aggiungiamo noi, ecologiche e sanitarie, l'umanità risulta sempre più indifesa. Per questo è necessario che si doti al più presto di un organismo rivoluzionario volto alla "difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici" (Tesi di Napoli, 1965).
Non è fondamentale che una rivoluzione sia combattuta fisicamente dalla classe che ne beneficia ("Fiorite primavere del Capitale", 1953), tant'è vero che la rivoluzione borghese l'hanno combattuta tutti tranne che i borghesi. Esiste una struttura frattale delle rivoluzioni: ogni nuovo paradigma mette le radici nella società vecchia e si impone in modo violento quanto esplodono le contraddizioni, ma allo stesso tempo radica i suoi stoloni nella società futura. Elementi di capitalismo fanno la loro apparizione in Italia intorno all'anno 1000 e rappresentano un'anticipazione di futuro.
Questa dinamica sfumata prevede che non si possa etichettare in assoluto come reazionario o rivoluzionario un complesso fenomeno sociale. Ad esempio, gli USA hanno svolto un ruolo per certi versi rivoluzionario esportando il capitalismo in tutto il mondo (l'American way of life), ma pure reazionario in quanto gendarme mondiale in difesa delle proprie posizioni, arrivando addirittura a colonizzare sé stesso ("Imprese economiche di Pantalone", 1950: "Nell'ultimo colonialismo, i bianchi colonizzano i bianchi"). Gli Stati Uniti fanno la guerra a chi si rifiuta di farsi controllare da loro, ma al contempo stanno perdendo il controllo.
Il capitalismo, per quanto disperatamente tenti, non trova vie d'uscita. Pensiamo all'entusiasmo per la cosiddetta green economy, volatizzatasi sotto i colpi della guerra in Ucraina e degli effetti delle sanzioni contro la Russia. Alla Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato l'allarme: "O scegliamo di cooperare o sarà suicidio collettivo". E ancora: "Guidiamo su una strada che porta verso l'inferno e lo stiamo facendo con il piede che spinge sull'acceleratore. Stiamo perdendo la battaglia per la vita: le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, la temperatura globale continua a crescere". Parole forti, ma inascoltate. Il problema del riscaldamento globale esiste, eccome, ma non si può pensare che lo risolva il sistema che l'ha generato.
In ogni nuovo summit planetario la classe dominante prende atto del fatto che gli impegni precedenti non sono stati rispettati, e ne prende di nuovi. L'Accordo di Parigi (2015), ad esempio, impegna tutti i paesi a ridurre le proprie emissioni di gas serra nel tentativo di limitare il riscaldamento medio globale, ma il documento stilato prevede solo il generico obiettivo di mantenere l'innalzamento delle temperature al di sotto dei 2°C e di stanziare fondi per i paesi in via di sviluppo. Tra i grandi assenti alla Cop27 spiccano India e Cina (che insieme contano circa 3 miliardi di uomini), a dimostrazione che il vertice è stato un fallimento in partenza. Il capitalismo ha bisogno di darsi strumenti internazionali di coordinamento che, nel caso del riscaldamento globale, pongano limiti all'utilizzo di combustibili fossili. Ma questi limiti cozzano contro gli interessi nazionali, e infatti ogni paese firma protocolli e prende impegni solenni per poi continuare a fare quello che gli pare.
Il capitalismo sta spingendo a folle velocità la specie umana verso il baratro, ed è suicida pensare che sarà esso a frenare al momento giusto.