Il rapporto si conclude individuando un'unica possibile soluzione affinché la tendenza globale in atto venga invertita: data la previsione di un ulteriore incremento dell'inflazione per il 2023, la sola strada percorribile è quella della riduzione dei prezzi globali di cibo ed energia, in tempi brevi, perché "un autunno e un inverno freddi in Europa aggraverebbero una già grave crisi energetica e del costo della vita. Allo stesso modo, un aumento della siccità e dello stress idrico a livello globale peggiorerebbe già i prezzi elevati dei generi alimentari e scatenerebbe proteste localizzate nelle aree colpite." E per alcuni la stagione delle grandi proteste in Europa è già iniziata: da settimane il Regno Unito è teatro di scioperi e agitazioni in diversi settori, lo scorso 4 settembre in Repubblica Ceca settantamila persone hanno partecipato ad una protesta antigovernativa, manifestazioni dello stesso tenore sono state annunciate in Germania contro il rincaro dei costi dell'energia.
Non va dimenticato che agli elementi segnalati dall'indagine della società britannica quali fonti di tensione sociale (siccità, problemi idrici, inflazione, carovita, repressione, ecc.), va aggiunta la pandemia da Coronavirus, passata in secondo piano ma non ancora debellata: è notizia di questi giorni la ripresa dei lockdown in Cina. Interessante, inoltre, il fatto che nell'indice compaia l'Ucraina, un paese in guerra dove una protesta sociale assumerebbe immediatamente una connotazione marcata dal punto di vista classista, in quanto farebbe collassare il fronte interno.
L'aumento dei disordini è oramai dato per certo dagli stessi centri di ricerca borghesi. L'aggravarsi della situazione di instabilità dell'intero sistema è palpabile e, contrariamente a quanto viene percepito, soprattutto in Europa, il conflitto in Ucraina non ne è la causa scatenante ma rappresenta piuttosto un fattore di accelerazione. Marasma sociale e guerra, titolo di un nostro testo scritto nel 2011 all'epoca dello scoppio delle rivolte in Nord Africa, identificano la condizione in cui si trova l'attuale società capitalistica, e non faranno che crescere.
Esiste un nesso tra guerra e rivoluzione. Nel Vecchio Continente una relativa pace sociale regna dalla metà degli anni Venti e ora, dopo cento anni, sembra essere stata rimessa in discussione dallo scoppio della guerra ai suoi confini. Il riacutizzarsi dei conflitti fino ad ora mediati dai vari apparati riformisti (sindacati, partiti, chiese, ecc.) con l'utilizzo delle briciole che cadevano dal banchetto dell'imperialismo, suggeriscono che questa fase si sta chiudendo.
Anche al di là dell'Atlantico le ripercussioni di un sistema sempre più in difficoltà si fanno sentire. La copertina dell'ultimo numero dell'Economist raffigura una Statua della Libertà in bilico perché la base su cui poggia è spezzata: negli "Stati Disuniti d'America" la polarizzazione sociale ha raggiunto livelli estremi e il paese è spaccato in due. L'immobilismo di Washington di fronte all'attivismo degli stati federati e la conseguente disfunzione interna al meccanismo democratico americano stanno mettendo a rischio non solo il paese, dove potrebbero ripresentarsi le violenze politiche, ma il mondo intero, venendo meno il ruolo di guida mondiale degli USA. Il federalismo americano si sta trasformando, a suon di leggi e provvedimenti, in una guerra "culturale" nazionale che riflette e fomenta la profonda divisione del paese. In Texas non si può abortire, pena 99 anni di carcere; in Florida i programmi scolastici non possono trattare il tema della razza; New York sostiene la svolta ecologica delle aziende, mentre il Texas le mette in lista nera. In 37 stati americani, scrive The Economist, esiste un partito unico che per vincere e perpetuarsi alza a livelli estremi lo scontro, alimentando oltremodo una tensione nazionale che non solo incide sulla vita della popolazione e lo sviluppo delle imprese, ma potrebbe arrivare a minare anche la stessa democrazia americana.
La sfida della Russia alla NATO e quindi agli USA non sarebbe potuta avvenire in un contesto di piena potenza americana. E quanto accade nel mondo, in termini di blocco degli approvvigionamenti, di carovita, di proteste o di rivolte, va osservato con gli occhi volti al gendarme mondiale del capitalismo e al suo fronte interno. Nel 2008 la crisi dei mutui subprime ha portato alle Primavere Arabe e ad un balzo in avanti dei movimenti sociali. Il nuovo ciclo di lotte che si aprirà non potrà che ripartire dal livello raggiunto nel ciclo precedente, e superarlo. Anche perché è in gioco la stessa sopravvivenza della specie. Se non vorrà rischiare l'estinzione, l'umanità dovrà dotarsi di un organismo in grado di armonizzare la sua permanenza sulla Terra (Tesi di Napoli, 1965).
Con la guerra civile americana (1861-1865) i problemi relativi all'unità nazionale non vengono del tutti risolti, ma giungono invece ad un grande compromesso diventando endemici: quando la situazione economica si fa difficile, essi si ripresentano. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, gli Stati Uniti si comportano come un impero, impongono le loro basi militari e il loro ordine fondato sul dollaro e sul maneggio delle leve finanziarie. Insomma, sull'accaparramento della rendita mondiale reso possibile da una forza armata che nessuno osa sfidare. Finisce così il colonialismo che occupa i territori, e inizia quello finanziario basato sull'egemonia del dollaro. Negli anni '80 del secolo scorso, avviene il famoso giro di boa preconizzato dalla nostra corrente con il quale inizia il declino degli Stati Uniti. La crisi del 2008, una crisi non congiunturale, rompe il vecchio equilibrio e mette in moto meccanismi di disgregazione del mondo capitalista, che inevitabilmente si riflettono anche sul cuore dell'impero. Proprio recentemente si è avuta notizia dell'intenzione della Cina di pagare in rubli e yuan il gas russo, e alcuni analisti sostengono che la de-dollarizzazione del mondo è già iniziata.
Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo definito gli Stati Uniti una colonia di sé stessi, perché è proprio lì che si gioca la partita più importante per la sopravvivenza dell'attuale modo di produzione. Una rivolta interna negli USA avrebbe immediatamente riflessi globali. Lo ha dimostrato Occupy Wall Street, nato nel centro finanziario del capitalismo mondiale e fonte di inspirazione per i successivi movimenti di tutto il mondo.
La teleriunione si è conclusa con un accenno alle notizie provenienti dall'Ucraina (battaglia di Kherson), e a quelle sulla ripresa degli scontri in Iraq e Libia.