Il Brasile è un gigante geopolitico e il diffondersi della guerra civile al suo interno destabilizzerebbe l'intero continente sudamericano con ripercussioni anche a livello mondiale. Esso fa parte dei BRICS, il gruppo di paesi in forte espansione economica che avrebbe dovuto risollevare le sorti del capitalismo, ma che invece sta subendo tutte le conseguenze di un invecchiamento precoce. Se cominciassero a saltare i grandi hub mondiali, la catena globale della logistica potrebbe interrompersi, bloccando il flusso della merce e dei capitali e mettendo così a rischio le grandi metropoli strettamente dipendenti dalla supply chain o catena di approvvigionamento internazionale. A tal proposito, l'impennata dei contagi in Cina, dovuta all'abbandono della politica "zero Covid", sta portando al blocco dei porti e delle fabbriche, e questo avrà effetti sul commercio mondiale.
Le tornate elettorali sono ormai fattore di scontro e frattura, visto che nessuna forza politica è più in grado di ricomporre una parvenza di unità sociale. Prendono il sopravvento, allora, movimenti e partiti populisti che cercano di cavalcare il malessere sociale, ma da cui potrebbero finire travolti. Il Papa ha lanciato l'allarme: in molte aree del mondo si sta assistendo ad un preoccupante "affievolimento della democrazia", come appunto in Brasile dove le "crescenti polarizzazioni politiche e sociali non aiutano a risolvere i problemi urgenti dei cittadini".
Da anni milioni di persone nel mondo scendono in piazza, si organizzano tramite social network, protestano per i motivi più disparati, ma hanno tutti in comune un sentimento di disagio riflesso della crisi della legge del valore, che è causa dello spappolamento dei rapporti sociali capitalistici e dell'aumento del disordine ("Rivolta contro la legge del valore").
Il modo di produzione capitalistico si sta dissolvendo e l'evolversi di tale processo comporta che gli uomini non riescono più a vivere alla vecchia maniera. Per fissare una data di inizio di questa ondata di rivolta, dobbiamo guardare alla crisi del 2008 ("Non è una crisi congiunturale") e alla Primavera araba ("Marasma sociale e guerra"); di lì in poi abbiamo assistito all'emergere di movimenti di massa organizzati in maniera orizzontale a livello territoriale, che occupano luoghi fisici (Puerta del Sol a Madrid, Piazza Taksim a Istanbul, piazza Tahrir a Baghdad), scendono in piazza per mesi in un dato giorno della settimana (Algeria, Francia), assaltano i parlamenti (Hong Kong, Sri Lanka, Guatemala), sfidano la polizia incuranti della repressione (Iran, Libano, Perù). In tutto questo sommovimento i sindacati e i partiti tradizionali perdono progressivamente il controllo delle piazze, arrancano e contano sempre meno iscritti.
Tre articoli della rivista sono particolarmente utili per inquadrare quanto sta succedendo nel mondo: "L'autonomizzarsi del Capitale e le sue conseguenze pratiche", "Lo Stato nell'era della globalizzazione" e "Il secondo principio". Ciò che abbiamo sotto gli occhi è una potente conferma della validità della "nostra" teoria, che affonda le radici nel lavoro di Marx ed Engels passando attraverso le poderose elaborazioni della Sinistra Comunista "italiana".
La crisi storica del capitalismo senile produce disastri sociali, climatici e sanitari (carestie, impoverimento, epidemie, conflitti bellici), e l'insieme di questi problemi sta conducendo al verificarsi di una tempesta perfetta. Lucio Caracciolo, nel recente saggio La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, scrive:
"Il segno del nostro tempo è l'impossibilità dell'ordine mondiale. Trent'anni dopo la fine della storia, maschera del malinteso trionfo americano, constatiamo che nessuna combinazione di potenze è in grado di stabilire una qualsiasi forma di concerto internazionale... L'assalto al Campidoglio, il 6 gennaio 2021, sarà probabilmente ricordato nella storia patria come lo scontro tra Americhe che non si riconoscono reciprocamente morali, dunque legittime. Promessa di un sisma devastante, forse di una seconda guerra civile."
Di fronte a questa situazione senza sbocchi per il capitalismo a stelle e strisce e per quello mondiale, è sempre più necessario l'emergere di un partito rivoluzionario di specie, ovvero di un organismo politico che abbia come obiettivo quello di traghettare l'umanità oltre l'attuale modo di produzione, che fa acqua da tutte le parti.
Occupy Wall Street resta l'esperienza di organizzazione e di lotta più importante degli ultimi decenni. Il movimento anticapitalista nato nella città di New York è riuscito a lanciare un messaggio semplice ma allo stesso tempo universale: gli sfruttati, i senza-riserve, il simbolico 99% deve unirsi contro l'1% che si pappa tutto, Wall Street, il paradigma del capitalismo d'oggi, anonimo, impersonale e finanziarizzato. Chiunque senta la necessità di superare l'attuale modo di produzione deve partire dallo studio e dall'analisi di quell'esperienza ("Occupy the World together") e, possibilmente, spingersi oltre.