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  • Resoconto teleriunione  3 gennaio 2023

Aveva ragione Marx?

La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando il numero 11/2022 di Limes, interamente dedicato alla situazione negli Stati Uniti d'America.

La tesi principale sostenuta dalla rivista di geopolitica è che gli USA sono un paese pericolosamente disunito, specialmente senza un nemico esterno riconoscibile che faccia da collante sociale. La guerra civile del 1861-1865 ha sì sancito l'unione degli stati federali, ma la nazione è rimasta fortemente divisa e perciò adesso rischia di spaccarsi. Questa divisione interna agisce profondamente e può essere riscontrata persino nei contrasti tra i vari servizi di sicurezza (FBI, CIA, ecc.). Milioni di americani vedono Washington come lontana sede della burocrazia, lo stato federale è percepito come un alieno e, secondo alcune frange della destra alternativa (ma non solo), come un nemico da combattere.

La parte interessante dell'editoriale della rivista ("Lezione di Yoda") è quella dedicata al ruolo delle forze armate statunitensi: non esiste alcun esercito che possa essere paragonato a quello americano e questo potrebbe diventare l'ago della bilancia in caso di una pesante crisi sociale. Secondo Limes, la tattica delle rivoluzioni arancioni, utilizzata dagli USA in giro per il mondo per rovesciare governi non graditi, potrebbe funzionare come un boomerang, e l'assalto a Capitol Hill ne è una prima dimostrazione. Il 40% degli americani, rilevano alcuni sondaggi, approverebbe un colpo di stato militare per stroncare la corruzione diffusa (il 54% sono elettori repubblicani e il 31% democratici). L'intelligence lavora costantemente con i wargame, le simulazioni di guerra al computer: chi opera per sventare colpi di stato o insurrezioni deve avere il polso della situazione. Lo Stato profondo, quello degli apparati, impegnato a mantenere la stabilità, proprio a causa della crisi di sistema in corso potrebbe diventare un elemento di instabilità. D'altronde, giunte ad un certo punto, le società sono costrette a rivoluzionarsi per non perdere ciò che hanno conquistato.

Come dice Marx, il capitalismo è il peggior nemico di sé stesso, e anche lo Stato lo è. L'impero americano non ha paragoni nella storia e per reggersi ha bisogno di un dominio che faccia il giro del mondo, ma innanzitutto deve controllare la sua popolazione. La nostra corrente scrive in "Imprese economiche di Pantalone" (1950) che "nell'ultimo colonialismo, i bianchi colonizzano i bianchi".

Fazioni della classe dominante americana suggeriscono allo stato di evitare il ripetersi di azioni militari come quelle in Iraq e Afghanistan per concentrarsi nel contrastare il vero nemico: la Cina. In realtà, il rapporto con Pechino è inedito e non ha soluzione "classica" dal punto di vista del passaggio di consegna imperialistico ("Accumulazione e serie storica"). Alcuni vorrebbero chiudere l'America all'interno dei suoi confini, all'insegna dell'autarchia, e così farla ritornare grande (Make America Great Again); ma non è possibile che essa si sottragga al ruolo di gendarme mondiale. La struttura economica degli USA non è più quella del Secondo dopoguerra, come d'altronde quella del resto del mondo, e proprio questa perdita di energia ha consentito alla Russia di muovere le sue truppe contro l'Ucraina, verso Occidente.

Nel libro Entropia di Jeremy Rifkin, il capitoletto intitolato "L'urbanizzazione" è dedicato al paragone storico tra gli USA e l'antica città di Roma, e dimostra che quest'ultima poteva sostenersi solo colonizzando qualunque cosa trovasse sul suo cammino. Roma cresce e si sviluppa proprio grazie ad una sistematica operazione di saccheggio degli altri territori, e più la città-impero cresce, più le occorrono energia, infrastrutture, alimenti, secondo un processo che non si può sostenere all'infinito. Ed infatti, ad un certo punto, si verifica il collasso. Le grandi metropoli americane come Chicago, Los Angeles, New York (e questo vale per tutte le metropoli mondiali) vengono rifornite da catene globali di approvvigionamento: qualora si interrompesse per un qualche motivo il flusso di materie prime, semilavorati ed energia, milioni di persone non avrebbero più di che nutrirsi, scaldarsi e curarsi, e sarebbe il caos (Il medioevo prossimo venturo, Roberto Vacca).

Secondo l'Economist il 2023 sarà l'anno della recessione globale ("Why a global recession is inevitable in 2023"). Ormai il mondo è entrato in un periodo di instabilità e insicurezza, e questo stato di "permacrisis" è stato determinato da tre shock: la guerra in Ucraina, che ha messo in discussione l'equilibrio imperialistico stabilitosi dopo la Seconda guerra mondiale; l'aumento del prezzo dell'energia, che provoca aumenti a cascata e sta rimodellando il sistema macroeconomico globale; l'aumento dell'inflazione e di riflesso il problema del carovita. Cosa succederà dunque nel 2023? Secondo il settimale inglese, tutto dipenderà dall'evoluzione di questi tre shock – geopolitico, energetico ed economico – e da come si influenzeranno a vicenda. Già adesso, in diverse zone del pianeta la debolezza economica potrebbe esacerbare i rischi geopolitici e i conflitti sociali, a cominciare dall'Europa. Il Financial Times definisce l'Italia "l'anello debole" dell'Eurozona: la recessione in arrivo colpirà in particolar modo il Belpaese, il più indebitato tra gli stati dell'Unione (il suo debito supera il 145% del Pil).

Di fronte a un sistema economico-politico che non funziona più, il principale settimanale tedesco Der Spiegel ha scelto per la copertina dell'ultimo numero del 2022 un'immagine di Marx. Titolo: "Dopotutto, Karl Marx aveva ragione?" I borghesi, quelli più avveduti, anche solo per tentare di stravolgere e mistificare l'opera del rivoluzionario di Treviri, sono costretti ad ammetterne quantomeno la potenza analitica. La storia non è finita, diceva Francis Fukuyama, anzi, si è rimessa in moto, nota Lucio Caracciolo nel libro La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa. A più riprese si è tentato di inquinare il lavoro di Marx, facendolo diventare prima socialdemocratico, poi filosofo e infine ecologista, ma egli si prende sempre la rivincita. Morto il "marxismo", per le nuove generazioni è possibile riscoprire l'opera di Marx senza il filtro ideologico della Terza Internazionale degenerata che ne ha pesantemente condizionato la lettura. In "Necrologi affrettati" abbiamo scritto:

"L'apparente contraddizione fra la maturità del capitalismo e l'arretratezza della preparazione soggettiva del proletariato attraverso il suo partito politico, oggi inesistente, si risolve nell'essenza del comunismo, che non è un'utopia o un'ideologia tra le altre e non è per nulla cadavere, ma è un movimento reale verso il futuro."

L'ideologia borghese vuole far credere che questa società è eterna, e proietta la sua ombra anche nel futuro, ma sappiamo che nulla è statico dato che il movimento è il modo di essere della materia. Ergo: il capitalismo, come tutte le cose in natura, ha una freccia del tempo.

Si è poi passati a commentare l'articolo "La malattia non esiste", pubblicato sull'ultimo numero della rivista, frutto di anni di ricerca e raccolta di materiale. Si tratta di un terreno inesplorato perché nessuno in ambito comunista ha mai fatto un lavoro sulla società senza malattia. Il passaggio dalla semplicità sociale delle società senza classi alla complessità dell'attuale forma sociale comporta un profondo cambiamento della vita. La civiltà egiziana, per esempio, perfetta dal punto di vista di una società di transizione, nasce quasi cinquemila anni fa e dura per tremila anni uguale a sé stessa: "Una società che giunge allo stadio omeostatico non ha bisogno di ricette, ha bisogno di non perdere ciò che ha conquistato". Lo stato in Egitto non esisteva come realtà e come concetto, così come la malattia, e quindi non poteva esistere la medicina. Quando appaiono le società divise in classi, si fa strada la malattia e quindi la necessità della cura. In ambito capitalistico, il rapporto tra il medico e l'individuo da curare (paziente) non tiene conto delle condizioni della vita sociale, è dunque un rapporto alienato.

La società capitalistica, nonostante tutti i mezzi a disposizione, o forse proprio a causa di questi, rompe l'unità originaria e introduce elementi che servono alla cura dell'individuo inteso come qualcosa di separato dal resto della natura, come fosse una macchina da riparare. In questo lavoro sulla malattia/salute, ciò che ci interessa non è ovviamente la riforma del presente (più investimenti nella sanità, più ospedali, più medicine, ecc.), ma una rivoluzione completa del nostro modo di vivere e quindi di conoscere.

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