Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  9 maggio 2023

Un mondo sempre più disintegrato

La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra, con particolare attenzione a quello che sta succedendo in Sudan e alle cause generali che hanno portato allo scoppio del conflitto.

La rivista Limes, nell'articolo "Prove di guerra per procura (anche) in Sudan", afferma che "lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale". Sarebbe più corretto dire nuovo disordine mondiale. Cina, Russia e Stati Uniti hanno interessi nel paese e sono presenti, mentre Onu e Unione Europea sono politicamente assenti. Il Sudan ha una popolazione di 48 milioni di abitanti, è il terzo paese più popoloso del continente africano e ha un'estensione di oltre 1,8 milioni kmq (circa 6 volte l'Italia). Ha una posizione geopolitica importante, poiché si affaccia sul Mar Rosso in un tratto che collega i paesi arabi con quelli africani, e per la disponibilità di materie prime (acqua, petrolio, oro). Non è troppo distante da Gibuti, dove ci sono le basi militari di Italia, Cina, Francia, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita. Pochi mesi fa aveva dato il via libera alla costruzione di una base navale russa sul proprio territorio.

Secondo l'Espresso, "la guerra in Sudan rischia di far collassare l'Africa". Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" avevamo visto che già nel 2011 diversi paesi (Egitto, Siria, Libia) erano stati travolti da moti di piazza, in alcuni casi evoluti in guerra civile. A partire dal 2019, il Sudan è stato teatro di manifestazioni di massa che hanno contribuito alla cacciata del presidente Omar al-Bashir, al potere da oltre trent'anni, e poi di un golpe dell'esercito che però non ha risolto la situazione. In un quadro di instabilità generale proliferano le guerre civili. Esse diventano endemiche in quanto le cause che le generano sono molteplici: migrazioni, siccità, crisi economiche e politiche, mutati assetti internazionali.

Da qualche tempo Tel Aviv stava stipulando accordi con Karthoum nell'ottica di una normalizzazione dei rapporti e per una maggiore integrazione nella regione (vedi Accordi di Abramo), ma ora il confronto si è arenato a causa della guerra civile. Sono in corso colloqui per il cessate il fuoco condotti da Arabia Saudita e Stati Uniti, ma anche altri paesi, come ad esempio la Turchia, stanno cercando di stabilire una trattativa tra le parti. Al momento le agenzie di stampa parlano di oltre 150 mila persone in fuga, ma c'è la possibilità che a breve siano in milioni a spostarsi verso i paesi limitrofi (Chad, Etiopia, Egitto, Repubblica Centrafricana, Eritrea), che non hanno certo una struttura statale solida.

Molti analisti ammettono che è sempre più difficile rimettere insieme i cocci quando un paese sprofonda in queste dinamiche, e ciò è dovuto al fatto che sono saltati gli equilibri a livello internazionale. La nostra corrente ha scritto nel 1950 un articolo intitolato "Corea è il mondo", volto a dimostrare come nella penisola asiatica si stavano concentrando rivalità imperialistiche. Oggi le "Coree" si moltiplicano, i conflitti si generalizzano. Come dice il Papa, quella in atto è una guerra mondiale combattuta a pezzi.

Durante la "guerra fredda" gli scontri tra USA e URSS si svolgevano per procura, il mondo era diviso in due blocchi e questo assetto era, tutto sommato, un fattore di ordine. Oggi, scomparso il blocco sovietico e date la decadenza degli USA e la mancanza di un sostituto alla guida del capitalismo, i problemi regionali vanno fuori controllo e gli scontri tra grandi potenze si sommano a quelli tra piccole potenze e signori della guerra che cercano di ritagliarsi spazi di manovra. Fino a pochi anni fa, ad esempio, l'India era un paese smaccatamente filoamericano, ora sta cercando una sua autonomia sullo scacchiere mondiale.

Dovrebbero essere gli Americani o i Cinesi a gestire questo caos, ma i primi non hanno più la forza per essere presenti ovunque con i propri soldati, e i secondi non hanno una proiezione di potenza globale. La contesa USA-Cina è il tema di un articolo dall'Economist ("China v America: how Xi Jinping plans to narrow the military gap"): la marina cinese è cresciuta enormemente negli ultimi anni, arrivando a superare quantitativamente quella americana (317 unità navali contro 283) ma senza raggiungerne il livello dal punto di vista qualitativo. Ciò che manca alla Cina, inoltre, è l'esperienza militare degli USA. Nel 2023 il budget militare ufficiale di Pechino dovrebbe essere di 224 miliardi di dollari, secondo solo a quello americano, che è circa quattro volte di più. I Cinesi hanno le mani libere e possono concentrarsi su Taiwan, mentre gli Americani devono fare la guardia al mondo intero. Il Pentagono prevede che l'arsenale nucleare cinese sarà quasi quadruplicato entro il 2035. La Cina, sempre secondo The Economist, dovrebbe agire ora per annettere Taiwan, perché tra non molto dovrà fare i conti con gravi sfide interne, ad esempio l'invecchiamento della popolazione, che la priverebbero dello slancio necessario.

Il capitale si è autonomizzato dalle realtà statali, anche da quelle più potenti. Gira per il mondo, compie scorribande dove gli conviene, soprattutto dove collassano gli Stati e si possono fare affari senza avere troppi vincoli. Collassano le piccole nazioni, ma sono a rischio anche i colossi come gli USA.

La Turchia, membro della NATO e fulcro dinamico tra Est e Ovest, è divenuta alleata (per esigenze economiche) della Russia, suo storico rivale. Ankara si avvicina alle elezioni presidenziali e, se vincesse il candidato delle opposizioni Kemal Kilicdaroglu, potrebbe aprirsi un turbolento periodo di transizione (la lira turca è in caduta libera, l'inflazione alle stelle). Se gli scontri interni alla borghesia turca diventassero acuti, l'unica soluzione sarebbe l'impiego della forza da parte dell'esercito. La Turchia è un paese capitalisticamente importante: ha 85 milioni di abitanti, un proletariato combattivo e un'influenza politica che va dalla Libia fino allo Xinjiang.

Come scrive Moisés Naím, invece di ridurre la polarizzazione, le campagne elettorali la ingigantiscono ("Negli Stati Uniti ha vinto la polarizzazione"). Pensiamo al Brasile, il paese più grande del Sudamerica, che ha visto una tensione crescente nelle ultime elezioni presidenziali. I meccanismi storicamente utilizzati dalla borghesia per rinsaldare il proprio dominio di classe e imbonire il proletariato (farsa elettorale), ora promuovono il caos. La società borghese non riesce più a riprodursi in quanto tale, non è più in grado di fare vivere gli uomini alla vecchia maniera: la contraddizione tra contenuto e contenitore, tra lavoro associato e appropriazione individuale, diventa esplosiva. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.

Oramai, anziché elencare i paesi che hanno a che fare con il marasma sociale e la guerra, è più facile nominare quelli che hanno ancora una parvenza di stabilità. Haiti, sconvolta da anni di guerra civile, non ha più neanche una struttura statale, è in mano a bande e gruppi criminali. Nel paese caraibico ci sono stati 600 morti nel solo mese di aprile. Il 50% per cento della popolazione è sottonutrita, non c'è lavoro, non c'è una struttura economica che possa permettere un qualsiasi tipo di sviluppo. A nessuno interessa intervenire, anche perché le truppe dell'ONU non hanno fatto altro che incancrenire una situazione già drammatica. È significativo che la popolazione inizi a reagire ribellandosi alla violenza subita, scontrandosi con le bande armate. Negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni per chiedere aumenti salariali (l'inflazione è quasi al 50%).

Mike Davis, sociologo esperto di sviluppo urbano, nel saggio Il pianeta degli slum si è occupato della condizione in cui versano quei milioni di persone che vivono nelle baraccopoli, dei processi di urbanizzazione svincolati dalla produzione industriale, della parte di umanità che non è più utile ai processi di valorizzazione del capitale. Non si tratta più tanto di esercito industriale di riserva che segue l'andamento del ciclo boom-crisi, quanto di sovrappopolazione assoluta che non ha modo di integrarsi in un mondo che peraltro è sempre più disintegrato.

Articoli correlati (da tag)

  • Sono mature le condizioni per una società nuova

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni sulle strutture intermedie tra il partito e la classe.

    Occupy Sandy non era né un sindacato né, tantomeno, un partito, ma una struttura di mutuo-aiuto nata sull'onda dell'emergenza e dell'incapacità della macchina statale di intervenire efficacemente per aiutare la popolazione. In "Partito rivoluzionario e azione economica" (1951) si afferma che, nella prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale, non possono non essere presenti tali fondamentali fattori: un ampio e numeroso proletariato, un vasto strato di organizzazioni intermedie e, ovviamente, la presenza del partito rivoluzionario. Gli organismi di tipo intermedio non devono per forza essere strutture già esistenti (ad esempio i sindacati), ma possono essere forme nuove (come i Soviet in Russia). Il tema è stato approfondito in una corrispondenza con un lettore intitolata "Sovrappopolazione relativa e rivendicazioni sindacali".

    Nella tavola VIII (Schema marxista del capovolgimento della prassi), riportata in "Teoria ed azione nella dottrina marxista" (1951), vediamo che alla base dello schema ci sono le forme ed i rapporti di produzione, le determinazioni economiche e le spinte fisiologiche, che portano la classe a muoversi verso la teoria e la dottrina (partito storico), passando attraverso strutture intermedie. Si tratta di cicli di feedback che irrobustiscono la struttura del partito formale. Quando si parla di classe, partito e rivoluzione bisogna intendere una dinamica, un processo che si precisa nel corso del tempo:

  • Captare i segnali di futuro

    La teleriunione di martedì sera è iniziata facendo il punto sulla crisi automobilistica tedesca.

    Ad agosto, in tutti i paesi del vecchio continente, le immatricolazioni hanno subito un calo: rispetto allo stesso mese dell'anno precedente sono scese del 16,5%, e rispetto al 2019 hanno registrato un crollo quasi del 30%. In Germania, nell'agosto 2024, le vendite di automobili elettriche sono calate del 68%, anche a causa della fine dei sostegni statali. Tutti i produttori sono in difficoltà a causa della concorrenza della Cina, che riesce a mantenere bassi i costi di produzione grazie ai sussidi statali. La crisi riguarda Volkswagen, Mercedes, Porsche, Audi. Ma non è la crisi del settore dell'automobile a determinarne una crisi generale; al contrario, è la crisi di sovrapproduzione mondiale a manifestarsi anche in questo settore.

    Le prospettive di chiusura degli stabilimenti e la riduzione dei posti di lavoro hanno portato a scioperi e manifestazioni in Germania. Il paese, considerato la locomotiva economica d'Europa, ha attraversato un lungo periodo di relativa pace sociale. La Mitbestimmung, cogestione in italiano, prevede la collaborazione fra operai e padroni, sancita dalla natura corporativa dei sindacati esistenti. Il fascismo non è una forma di governo tipica prima dell'Italia e poi della Germania ("La socializzazione fascista ed il comunismo"), ma un cambiamento del capitalismo avvenuto a livello globale, con l'Italia che ha fatto da pilota e subito seguita dal New Deal negli USA, dal nazismo in Germania e dalla controrivoluzione stalinista in Russia. Il fascismo rappresenta un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive che richiede che l'economia regoli sé stessa per mezzo degli interventi dello Stato: la Tennessee Valley Autority negli USA, le bonifiche dell'Agro Pontino in Italia, la costruzione della diga sul Dnepr in Unione Sovietica e la rete autostradale in Germania (Autobahn) avevano il chiaro obiettivo di modernizzare le infrastrutture pubbliche. La nuova autostrada tedesca aveva bisogno di una vettura del popolo, e si cominciò a produrre la Volskwagen. Così facendo, si diede lavoro a migliaia di disoccupati (conquistandoli al regime) e si rilanciò l'economia nazionale. Il corporativismo nazista viene rifiutato politicamente dalla Germania democratica, ma l'impianto economico sopravvive con la cogestione.

  • La curva del capitalismo non ha ramo discendente

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un approfondimento del testo "Teoria e azione nella dottrina marxista" (1951), ed in particolare del seguente passo:

    "Alla situazione di dissesto dell'ideologia, dell'organizzazione e dell'azione rivoluzionaria è falso rimedio fare assegnamento sull'inevitabile progressiva discesa del capitalismo che sarebbe già iniziata e in fondo alla quale attende la rivoluzione proletaria. La curva del capitalismo non ha ramo discendente."

    L'andamento del capitalismo non è di tipo gradualistico, ma catastrofico e questo dipende dagli stessi meccanismi di accumulazione. Anche se cala il saggio medio di profitto, cresce la massa del profitto, altrimenti non ci sarebbe capitalismo e cioè valore che si valorizza (D-M-D'). La Tavola II ("Interpretazione schematica dell'avvicendamento dei regimi di classe nel marxismo rivoluzionario") di "Teoria e azione" ci suggerisce che non c'è una lenta discesa dell'attuale modo di produzione (fatalismo, gradualismo), ma un accumulo di contraddizioni che ad un certo punto trova una soluzione di tipo discontinuo (cuspide, singolarità).

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email