Studiare e fare sacrifici per poi ritrovarsi disoccupati o precari a vita produce odio verso il sistema. L'ondata di rifiuto del lavoro non è un movimento (almeno per adesso), e non è nemmeno un fenomeno chiaro come, ad esempio, la mobilitazione del settore automobilistico negli USA. Chi incrocia le braccia ha un obiettivo collettivo da raggiungere, ha delle rivendicazioni; chi si licenzia lo fa individualmente e senza una motivazione esplicita, se non quella che non ce la fa più. Scioperare in America non è una passeggiata, non ci sono i cuscinetti sociali che invece esistono in Europa, l'operaio è in balia del mercato. Occupy Wall Street ha rappresentato una boccata d'ossigeno in un panorama asfittico portando per le strade il 99%, senza riserve che si sono ribellati al sistema dell'1%, colpevole di affamarli. Abbiamo detto che il fenomeno delle "great resignation" non è organizzato, bisogna però notare che sono nate pagine social che registrano moltissimi utenti. "r/antiwork", su Reddit, conta quasi due milioni di membri. Insomma, sta crescendo nel mondo un sentimento anti-lavoro che mette in discussione le vetuste ideologie di matrice ordinovista, fascista e socialdemocratica.
Questo cambio di paradigma ricorda quanto scritto dalla Sinistra in "Tracciato d'impostazione" (1946):
"Rivoluzionari (e adotteremo il termine provvisorio di antiformisti) sono i movimenti che proclamano ed attuano l'assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l'antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove."
Analizzando la situazione in cui versano gli Stati Uniti, abbiamo ricordato il saggio di Werner Sombart Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo? (1906). Nel libro è riportata l'intervista ad un sindacalista americano dell'AFL in cui questi dichiara che il sindacato non è pregiudizialmente contrario al sistema salariale, perchè se il capitalismo migliora le condizioni di vita della classe operaia, allora la sua organizzazione è ben lieta di tenerselo; secondo costui, ergo, solo se il capitalismo peggiorasse il livello di vita dei lavoratori, si potrebbe considerare l'idea di cambiare sistema e di sostituirlo con altro. Per Sombart il socialismo negli Usa non si è mai radicato (mentre in Europa è stato tutto un fiorire di movimenti e partiti socialisti), perché c'è ancora una frontiera da oltrepassare (siamo agli inizi del Novecento) e ampi spazi vergini da conquistare; qualora tali confini si restringessero, le cause che hanno fatto crescere e prosperare il capitalismo americano gli si ritorcerebbero contro facendolo collassare e facendo sorgere dalle sue ceneri il socialismo.
Proprio tale restringimento è una delle cause alla base dell'attuale crisi americana (crisi della deterrenza, come la definisce Limes). Il vecchio ordine mondiale non funziona più, e allora ecco che scoppia la guerra in Ucraina, aumenta la penetrazione di Cina e Russia in Africa, la Francia viene scacciata dalle ex colonie, e la Chiesa cattolica vive una profonda lacerazione interna. Ragionando per temi concatenati, risulta un quadro nitido della situazione mondiale: "Caoslandia" fa il giro del mondo.
Il tema principale dell'ultimo numero di Limes ("Africa contro Occidente") è la fine della "Françafrique" (la relazione privilegiata di Parigi con i paesi francofoni africani), dato che la presenza francese non è gradita in Mali, Niger, Burkina Faso e Gabon. Oltre a perdere influenza economica, politica e militare nelle ex colonie, la Francia ha problemi anche in casa, in quelle banlieue dove vivono i figli e i nipoti degli immigrati dalle vecchie colonie. Delle sorti dell'Africa gli USA se ne sono disinteressati, mentre Russia e Cina si sono fatte avanti. La crisi del centro dell'imperialismo globale si ripercuote anche sugli equilibri africani, che sono mutati e vedono i vari paesi procedere per conto proprio, rivendicando spazi di manovra e portando all'aumento dei colpi di stato. Qualcuno sostiene che il continente africano, emancipandosi dalla presa degli ex paesi coloniali, potrebbe aprirsi al capitalismo dando il via a nuovi cicli di accumulazione; ma è difficile che ciò avvenga dato che il mercato mondiale è già ingolfato da una pletora di merci e capitali. La principale fonte di crescita economica dell'Africa è l'esportazione di materie prime, mentre la manifattura langue da anni. Le borghesie indigene vivono di rendita, che non viene investita sul territorio se non in minima parte, finendo invece nei circuiti della finanza mondiale, in fondi d'investimento occidentali.
L'Africa rappresenta un grosso problema per la stabilità del capitalismo a causa del proliferare delle guerre per procura, delle insorgenze jihadiste, della crisi sociale, e infine della massa di senza riserve in costante movimento verso le metropoli occidentali. Il continente copre un'area più grande di America, Cina, India, Giappone ed Europa occidentale messe insieme, ed è il paese in più rapida crescita demografica. The Economist, nell'articolo "Africa's coups are part of a far bigger crisis", riporta alcuni dati interessanti: un sondaggio rileva che in 24 paesi su 30, negli ultimi anni l'approvazione verso un governo militare è aumentata; buona parte degli africani è favorevole ai golpe purché migliorino le condizioni di vita dei cittadini. La popolazione è stufa di stati fragili che non garantiscono né sicurezza né prosperità, ma nemmeno i militari riescono ad invertire il trend. Dal 1990 al 2018 il numero di persone che vivono in povertà estrema nell'Africa sub-sahariana è passato da 284 milioni a 433 milioni, il Pil pro-capite è inferiore a quello di dieci anni fa, l'80% dei paesi ha visto raddoppiare il tasso di inflazione dall'inizio della pandemia.
L'assetto del capitalismo a guida americana è finito e non si vede all'orizzonte un ordine alternativo. Si affacciano sullo scacchiere mondiale nuovi importanti attori: Russia, Cina, India, Turchia e Brasile, ma ognuno gioca la sua partita. C'è un disordine crescente, e il pianeta è piccolo, come già diceva la Sinistra negli anni '50.
Fare previsioni è un compito arduo, ma nessuno impedisce di esercitarci facendo un wargame basato su dati reali e, magari, prendendo spunto da quanto scritto in 2034, un romanzo di Elliot Ackerman e James G. Stavridis sulla prossima guerra mondiale. L'America dispone di 11 portaerei in servizio, la Cina solo di 2. Le navi da guerra americane sono monitorate continuamente dalla Cina e, viceversa, quelle cinesi dall'America. In caso di conflitto, i Cinesi ne perderebbe un paio, gli Americani molte di più, e così i primi vincerebbero la guerra distruggendo quello che la nostra corrente chiamava l'imperialismo delle portaerei. Sia Mosca che Pechino hanno missili ipersonici (che viaggiano a 20 volte la velocità del suono e mettono a dura prova le capacità di rilevamento dei radar), Washington sta procedendo più lentamente nel campo. La Cina ha raggiunto un livello tecnologico pari a quello americano, e l'intelligence USA avverte della presenza di armi informatiche cinesi in grado di dirottare i satelliti nemici. La prossima guerra è quella dell'informazione, dei segnali (emessi e captati) e dell'intelligenza artificiale.
È dunque confermato quanto scritto nel volantino "La Quarta Guerra Mondiale": la guerra che si sta combattendo in Ucraina, dal punto di vista del tipo di armi utilizzate, non ha niente a che fare con quella che potrebbe svilupparsi nei prossimi anni. Comunque, anche se non scoppiasse una guerra di dimensioni mondiali, il crollo delle catene di valore provocato da un crack finanziario potrebbe provocare milioni di morti. Anni fa l'ingegnere Roberto Vacca ha scritto il saggio Medioevo prossimo venturo, incentrato sulla degradazione dei grandi sistemi, a cui è seguito il romanzo La morte di megalopoli dove un piccolo incidente scatena un effetto domino che si ripercuote su infrastrutture e logistica. Le supply chain ("catene di distribuzione") muovono merci, e quindi valori d'uso, da una parte all'altra del mondo. Se per qualche motivo queste saltassero, metropoli di dieci o venti milioni di persone resterebbero senza cibo, medicine ed elettricità con conseguenze facilmente immaginabili.