Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  3 ottobre 2023

Disordine crescente

La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata affrontando il fenomeno delle "grandi dimissioni".

È uscito Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (Einaudi, 2023), un'analisi sociologica di Francesca Coin sul cambiamento del mondo del lavoro e della società. Sulla rivista abbiamo già avuto modo di recensire testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin ha il merito di affrontare la nuova tendenza che si sta sviluppando in diversi paesi del mondo e che si risolve in una disaffezione crescente verso il lavoro salariato. Il fenomeno è esploso in concomitanza con la pandemia: nel 2021 negli Stati Uniti 48 milioni di lavoratori hanno deciso di licenziarsi, e nello stesso anno in Italia sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro. Anche in Cina i lockdown hanno rappresentato un giro di boa, portando all'emersione dei fenomeni "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" (bailan, "lascialo marcire"): siccome il sistema si è rotto, i giovani cinesi pensano che tanto vale sdraiarsi e lasciare che esso marcisca. Come nota Coin, "in India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato."

Studiare e fare sacrifici per poi ritrovarsi disoccupati o precari a vita produce odio verso il sistema. L'ondata di rifiuto del lavoro non è un movimento (almeno per adesso), e non è nemmeno un fenomeno chiaro come, ad esempio, la mobilitazione del settore automobilistico negli USA. Chi incrocia le braccia ha un obiettivo collettivo da raggiungere, ha delle rivendicazioni; chi si licenzia lo fa individualmente e senza una motivazione esplicita, se non quella che non ce la fa più. Scioperare in America non è una passeggiata, non ci sono i cuscinetti sociali che invece esistono in Europa, l'operaio è in balia del mercato. Occupy Wall Street ha rappresentato una boccata d'ossigeno in un panorama asfittico portando per le strade il 99%, senza riserve che si sono ribellati al sistema dell'1%, colpevole di affamarli. Abbiamo detto che il fenomeno delle "great resignation" non è organizzato, bisogna però notare che sono nate pagine social che registrano moltissimi utenti. "r/antiwork", su Reddit, conta quasi due milioni di membri. Insomma, sta crescendo nel mondo un sentimento anti-lavoro che mette in discussione le vetuste ideologie di matrice ordinovista, fascista e socialdemocratica.

Questo cambio di paradigma ricorda quanto scritto dalla Sinistra in "Tracciato d'impostazione" (1946):

"Rivoluzionari (e adotteremo il termine provvisorio di antiformisti) sono i movimenti che proclamano ed attuano l'assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l'antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove."

Analizzando la situazione in cui versano gli Stati Uniti, abbiamo ricordato il saggio di Werner Sombart Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo? (1906). Nel libro è riportata l'intervista ad un sindacalista americano dell'AFL in cui questi dichiara che il sindacato non è pregiudizialmente contrario al sistema salariale, perchè se il capitalismo migliora le condizioni di vita della classe operaia, allora la sua organizzazione è ben lieta di tenerselo; secondo costui, ergo, solo se il capitalismo peggiorasse il livello di vita dei lavoratori, si potrebbe considerare l'idea di cambiare sistema e di sostituirlo con altro. Per Sombart il socialismo negli Usa non si è mai radicato (mentre in Europa è stato tutto un fiorire di movimenti e partiti socialisti), perché c'è ancora una frontiera da oltrepassare (siamo agli inizi del Novecento) e ampi spazi vergini da conquistare; qualora tali confini si restringessero, le cause che hanno fatto crescere e prosperare il capitalismo americano gli si ritorcerebbero contro facendolo collassare e facendo sorgere dalle sue ceneri il socialismo.

Proprio tale restringimento è una delle cause alla base dell'attuale crisi americana (crisi della deterrenza, come la definisce Limes). Il vecchio ordine mondiale non funziona più, e allora ecco che scoppia la guerra in Ucraina, aumenta la penetrazione di Cina e Russia in Africa, la Francia viene scacciata dalle ex colonie, e la Chiesa cattolica vive una profonda lacerazione interna. Ragionando per temi concatenati, risulta un quadro nitido della situazione mondiale: "Caoslandia" fa il giro del mondo.

Il tema principale dell'ultimo numero di Limes ("Africa contro Occidente") è la fine della "Françafrique" (la relazione privilegiata di Parigi con i paesi francofoni africani), dato che la presenza francese non è gradita in Mali, Niger, Burkina Faso e Gabon. Oltre a perdere influenza economica, politica e militare nelle ex colonie, la Francia ha problemi anche in casa, in quelle banlieue dove vivono i figli e i nipoti degli immigrati dalle vecchie colonie. Delle sorti dell'Africa gli USA se ne sono disinteressati, mentre Russia e Cina si sono fatte avanti. La crisi del centro dell'imperialismo globale si ripercuote anche sugli equilibri africani, che sono mutati e vedono i vari paesi procedere per conto proprio, rivendicando spazi di manovra e portando all'aumento dei colpi di stato. Qualcuno sostiene che il continente africano, emancipandosi dalla presa degli ex paesi coloniali, potrebbe aprirsi al capitalismo dando il via a nuovi cicli di accumulazione; ma è difficile che ciò avvenga dato che il mercato mondiale è già ingolfato da una pletora di merci e capitali. La principale fonte di crescita economica dell'Africa è l'esportazione di materie prime, mentre la manifattura langue da anni. Le borghesie indigene vivono di rendita, che non viene investita sul territorio se non in minima parte, finendo invece nei circuiti della finanza mondiale, in fondi d'investimento occidentali.

L'Africa rappresenta un grosso problema per la stabilità del capitalismo a causa del proliferare delle guerre per procura, delle insorgenze jihadiste, della crisi sociale, e infine della massa di senza riserve in costante movimento verso le metropoli occidentali. Il continente copre un'area più grande di America, Cina, India, Giappone ed Europa occidentale messe insieme, ed è il paese in più rapida crescita demografica. The Economist, nell'articolo "Africa's coups are part of a far bigger crisis", riporta alcuni dati interessanti: un sondaggio rileva che in 24 paesi su 30, negli ultimi anni l'approvazione verso un governo militare è aumentata; buona parte degli africani è favorevole ai golpe purché migliorino le condizioni di vita dei cittadini. La popolazione è stufa di stati fragili che non garantiscono né sicurezza né prosperità, ma nemmeno i militari riescono ad invertire il trend. Dal 1990 al 2018 il numero di persone che vivono in povertà estrema nell'Africa sub-sahariana è passato da 284 milioni a 433 milioni, il Pil pro-capite è inferiore a quello di dieci anni fa, l'80% dei paesi ha visto raddoppiare il tasso di inflazione dall'inizio della pandemia.

L'assetto del capitalismo a guida americana è finito e non si vede all'orizzonte un ordine alternativo. Si affacciano sullo scacchiere mondiale nuovi importanti attori: Russia, Cina, India, Turchia e Brasile, ma ognuno gioca la sua partita. C'è un disordine crescente, e il pianeta è piccolo, come già diceva la Sinistra negli anni '50.

Fare previsioni è un compito arduo, ma nessuno impedisce di esercitarci facendo un wargame basato su dati reali e, magari, prendendo spunto da quanto scritto in 2034, un romanzo di Elliot Ackerman e James G. Stavridis sulla prossima guerra mondiale. L'America dispone di 11 portaerei in servizio, la Cina solo di 2. Le navi da guerra americane sono monitorate continuamente dalla Cina e, viceversa, quelle cinesi dall'America. In caso di conflitto, i Cinesi ne perderebbe un paio, gli Americani molte di più, e così i primi vincerebbero la guerra distruggendo quello che la nostra corrente chiamava l'imperialismo delle portaerei. Sia Mosca che Pechino hanno missili ipersonici (che viaggiano a 20 volte la velocità del suono e mettono a dura prova le capacità di rilevamento dei radar), Washington sta procedendo più lentamente nel campo. La Cina ha raggiunto un livello tecnologico pari a quello americano, e l'intelligence USA avverte della presenza di armi informatiche cinesi in grado di dirottare i satelliti nemici. La prossima guerra è quella dell'informazione, dei segnali (emessi e captati) e dell'intelligenza artificiale.

È dunque confermato quanto scritto nel volantino "La Quarta Guerra Mondiale": la guerra che si sta combattendo in Ucraina, dal punto di vista del tipo di armi utilizzate, non ha niente a che fare con quella che potrebbe svilupparsi nei prossimi anni. Comunque, anche se non scoppiasse una guerra di dimensioni mondiali, il crollo delle catene di valore provocato da un crack finanziario potrebbe provocare milioni di morti. Anni fa l'ingegnere Roberto Vacca ha scritto il saggio Medioevo prossimo venturo, incentrato sulla degradazione dei grandi sistemi, a cui è seguito il romanzo La morte di megalopoli dove un piccolo incidente scatena un effetto domino che si ripercuote su infrastrutture e logistica. Le supply chain ("catene di distribuzione") muovono merci, e quindi valori d'uso, da una parte all'altra del mondo. Se per qualche motivo queste saltassero, metropoli di dieci o venti milioni di persone resterebbero senza cibo, medicine ed elettricità con conseguenze facilmente immaginabili.

Articoli correlati (da tag)

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

  • L'attenzione verso il linguaggio

    La teleconferenza di martedì sera è iniziata riprendendo gli argomenti trattati durante la riunione pubblica tenuta a Milano lo scorso 20 aprile.

    La conferenza, incentrata sul tema "Guerra e nuove tecnologie", si è tenuta presso il circolo anarchico Bruzzi-Malatesta. Al termine della riunione sono state poste alcune domande riguardo la socializzazione del capitale e le strutture fisiche alla base della guerra cibernetica, che ci hanno dato l'occasione di ribattere alcuni chiodi teorici. L'impressione che abbiamo avuto è stata positiva sia per la presenza di giovani che per l'attenzione del "pubblico" durante lo svolgimento di tutta la relazione.

    L'acutizzarsi della guerra e lo sviluppo di nuove armi fanno parte di un processo unico, di una dinamica di crisi strutturale del capitalismo. I fatti hanno la testa dura, dice Lenin, e la realtà si incarica di fare piazza pulita delle vecchie "questioni" che in passato sono state motivo di interminabili dibattiti (partito, sindacato, ecc.). Nell'introduzione alla relazione di Milano è stato ribadito che il capitalismo non può funzionare senza l'estrazione di plusvalore, e che la guerra, fenomeno invariante, si è trasformata nel tempo essendo soggetta al modo di produzione che la esprime. Engels nota che l'innescarsi della dialettica cannone/corazza porta all'intensificazione del conflitto, motivo per cui, ad esempio, ben presto le barricate risultano obsolete rispetto all'impiego dell'artiglieria.

  • La guerra e il suo contesto

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco dell'Iran ad Israele.

    Secondo un portavoce dell'esercito israeliano, nell'azione compiuta nella notte tra il 13 e il 14 aprile l'Iran ha impiegato 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici, che sono stati quasi tutti abbattuti. L'attacco è stato simbolico, le nazioni arabe erano state avvertite e probabilmente anche gli Americani; dopo il bombardamento di un edificio annesso all'ambasciata iraniana a Damasco il primo aprile scorso, Teheran non poteva non rispondere. Gli USA hanno chiesto ad Israele di evitare una reazione a caldo e di pazientare, onde evitare un'escalation; gli Iraniani hanno dichiarato che se Israele lancerà un nuovo attacco essi colpiranno più duro: "Con questa operazione è stata stabilita una nuova equazione: se il regime sionista attacca, sarà contrattaccato dall'Iran."

    Teheran è all'avanguardia nella produzione di droni, ha sviluppato un'industria bellica specializzata e vende queste tecnologie alla Russia ma anche ad Algeria, Bolivia, Tagikistan, Venezuela ed Etiopia.

    Ciò che sta accadendo in Medioriente conferma l'importanza del lavoro sul wargame, a cui abbiamo dedicato due numeri della rivista (nn. 50 - 51). I giochi di guerra servono a delineare scenari futuri, e le macchine amplificano le capacità dell'uomo aiutandolo a immaginare come potrebbero svilupparsi i conflitti in corso. Gli eserciti e gli analisti militari che lavorano con i wargame sono in grado di accumulare grandi quantità di informazioni, ma sono però costretti a vagliarne solo una parte. È un dato oggettivo: i big data vanno ordinati e l'ordine risente dell'influenza di chi applica il setaccio.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email