La teleriunione di martedì sera è iniziata facendo il punto sulla crisi automobilistica tedesca.
Ad agosto, in tutti i paesi del vecchio continente, le immatricolazioni hanno subito un calo: rispetto allo stesso mese dell'anno precedente sono scese del 16,5%, e rispetto al 2019 hanno registrato un crollo quasi del 30%. In Germania, nell'agosto 2024, le vendite di automobili elettriche sono calate del 68%, anche a causa della fine dei sostegni statali. Tutti i produttori sono in difficoltà a causa della concorrenza della Cina, che riesce a mantenere bassi i costi di produzione grazie ai sussidi statali. La crisi riguarda Volkswagen, Mercedes, Porsche, Audi. Ma non è la crisi del settore dell'automobile a determinarne una crisi generale; al contrario, è la crisi di sovrapproduzione mondiale a manifestarsi anche in questo settore.
Le prospettive di chiusura degli stabilimenti e la riduzione dei posti di lavoro hanno portato a scioperi e manifestazioni in Germania. Il paese, considerato la locomotiva economica d'Europa, ha attraversato un lungo periodo di relativa pace sociale. La Mitbestimmung, cogestione in italiano, prevede la collaborazione fra operai e padroni, sancita dalla natura corporativa dei sindacati esistenti. Il fascismo non è una forma di governo tipica prima dell'Italia e poi della Germania ("La socializzazione fascista ed il comunismo"), ma un cambiamento del capitalismo avvenuto a livello globale, con l'Italia che ha fatto da pilota e subito seguita dal New Deal negli USA, dal nazismo in Germania e dalla controrivoluzione stalinista in Russia. Il fascismo rappresenta un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive che richiede che l'economia regoli sé stessa per mezzo degli interventi dello Stato: la Tennessee Valley Autority negli USA, le bonifiche dell'Agro Pontino in Italia, la costruzione della diga sul Dnepr in Unione Sovietica e la rete autostradale in Germania (Autobahn) avevano il chiaro obiettivo di modernizzare le infrastrutture pubbliche. La nuova autostrada tedesca aveva bisogno di una vettura del popolo, e si cominciò a produrre la Volskwagen. Così facendo, si diede lavoro a migliaia di disoccupati (conquistandoli al regime) e si rilanciò l'economia nazionale. Il corporativismo nazista viene rifiutato politicamente dalla Germania democratica, ma l'impianto economico sopravvive con la cogestione.
La teleriunione di martedì sera è iniziata facendo il punto sulle ultime corrispondenze con lettori e simpatizzanti.
Negli ultimi mesi è stato pubblicato materiale di n+1 su siti e blog altrui; chi l'ha fatto, evidentemente, sente in qualche modo "proprio" il lavoro che portiamo avanti. In particolare, i resoconti settimanali sono stati tradotti in inglese, spagnolo e altre lingue da compagni del Sud America e dell'Est Europa. Ciò va letto alla luce di quanto scritto in testi come "Principii di organizzazione": i legami forti sono fondamentali per mantenere uniti i moduli, i legami deboli per rendere possibili ponti a lunga distanza che permettono ai sistemi, come quelli biologici e sociali, di darsi struttura e stabilità. La plasticità delle reti è permessa, dunque, dall'esistenza sia di legami forti che deboli.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le recenti manifestazioni degli agricoltori, in Germania e altrove, che con i loro trattori stanno bloccando il traffico su diverse arterie stradali.
Quando masse di uomini scendono in strada non si può rimanere indifferenti, non bisogna però analizzare il fenomeno limitandosi alle parole d'ordine, alle bandiere o agli slogan, bensì tentare di individuare le cause materiali che hanno prodotto il movimento. Nell'articolo "L'uomo e il lavoro del sole" abbiamo scritto che nei paesi di vecchia industrializzazione il settore agricolo, dal Secondo Dopoguerra in poi, è praticamente sovvenzionato dallo Stato dato che, se fosse stato lasciato alle leggi del mercato, le popolazioni rischierebbero di patire la fame:
"Il bilancio di uno Stato moderno rivela l'insostituibile funzione della ripartizione del plusvalore all'interno della società al fine di stabilizzare il 'corso forzoso' dell'agricoltura in questa fase di massimo sviluppo capitalistico. Più il peso specifico dell'agricoltura si fa insignificante nel complesso dell'economia reale, cioè nella produzione di valore, più i sussidi statali a suo sostegno si accrescono. Il tasso di crescita delle sovvenzioni è infatti assai più elevato dell'incremento dello sviluppo agricolo, ma, nonostante ciò, l'agricoltura non potrà mai più essere abbandonata all'investimento del singolo capitale e meno che mai al mercato."
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul marasma sociale in corso in Europa. Dopo la Francia, ad entrare in subbuglio è ora l'Ungheria dove da giorni si susseguono manifestazioni di piazza. Le proteste sono state la reazione ad una proposta di legge che eleverebbe il limite degli straordinari annui fino a 400 ore. Secondo il governo di Viktor Orban il provvedimento serve a rendere il paese più competitivo; per tutta risposta i sindacati hanno chiesto al capo dello Stato Janos Ader di non siglare la nuova norma e hanno promesso, nel caso in cui la legge entrasse in vigore, di dare battaglia: "Faremo scioperi in tutto il Paese, combinati con blocchi stradali", ha minacciato il presidente della confederazione 'Mszsz' Laszlo Kordas. Quello ungherese non è un caso isolato: dal 2008 ad oggi ci siamo abituati a vedere piazze piene di manifestanti che chiedono il cambiamento.
Come diciamo nell'articolo "Necessarie dissoluzioni" (n+1 n. 36), le grandi "questioni" che rappresentavano degli ostacoli all'avvento della rivoluzione comunista sono state via via risolte dallo stesso capitalismo. Basti pensare al problema nazionale, o a quello coloniale che ha dato filo da torcere a generazioni di militanti; oppure alla doppia rivoluzione in Russia che, portata avanti dai bolscevichi, doveva farsi carico della industrializzazione del paese facendo propri compiti borghesi. Già negli anni '50 del secolo scorso la nostra corrente affermava che non è rimasto più nulla da costruire all'interno del capitalismo, ma solo da distruggere.
Abbiamo poi ripreso i temi trattati nella relazione "Fiorite primavere delle rivoluzioni" (svolta durante l'ultima riunione redazionale), ovvero l'accumulo di tensioni economiche e sociali che hanno il loro sbocco nel cambiamento del modo di produzione.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando le news in arrivo dal Venezuela, dove in seguito agli assalti a supermercati e negozi da parte della popolazione, ormai ridotta alla fame, il governo Maduro ha costretto gli esercenti ad abbassare i costi dei beni di prima necessità. Nel paese i prezzi delle merci sono arrivati alle stelle a causa di un'inflazione a livelli da record, mentre il Bolivar, la moneta locale, non viene più accettata nelle transazioni.
La situazione economica in cui versa il paese è molto simile a quella di altre aree del mondo dove storicamente vengono attuate misure per calmierare i beni di prima necessità. Quando le condizioni economiche peggiorano e tali misure non possono più essere mantenute, quando i governi non riescono più a sfamare le popolazioni, scattano le rivolte, i saccheggi e le manifestazioni.
La teleriunione di martedì sera, collegati 16 compagni, è iniziata dal commento dell'ennesima tragedia del mare in cui hanno perso la vita centinaia di uomini e donne. I flussi migratori, aumentati dal marasma sociale in corso in Nordafrica e Medioriente, dalle guerre e dalla miseria crescente, rappresentano per il Capitale un enorme massa di forza-lavoro disponibile a tutto. L'immigrazione verso i mezzi di produzione stimola la concorrenza fra i salari e quindi il loro ribasso, e si traduce nella generalizzazione del lavoro precario e nell'introduzione di nuove forme di schiavitù. Inoltre, essendo la forza-lavoro una merce liberamente circolante sul mercato interno dei singoli paesi ma ancora poco liberamente su quello estero, l'attività di farla arrivare a destinazione diventa ovunque molto lucrativa, come in tutti i casi di "contrabbando". Il traffico di esseri umani produce complessivamente, a seconda delle stime, un fatturato che va dai cinque ai sette miliardi di dollari l'anno.
Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 13 compagni.
La discussione è cominciata analizzando la proposta di Confindustria ai sindacati di "un patto in fabbrica" per ricostruire il Paese. La segreteria della CGIL, e prima ancora la Cisl, si sono dichiarate disponibili a mettere da parte gli interessi particolari e ad aprire le trattative per un non meglio definito tentativo di risollevare le sorti dell'economia nazionale. "Possiamo fare tanto ma da soli non ce la faremo", hanno spiegato gli industriali all'appuntamento biennale della Piccola Industria. "Dobbiamo salvare il Paese, occorre una assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori in gioco". Un patto dei produttori, sottolinea il leader della Piccola Industria, è "un dovere e una responsabilità" nel momento "più difficile della storia della nostra Repubblica".
Alla riunione via Skype si è naturalmente commentata quella del 51° Incontro redazionale di "n+1" , aperto ai lettori, (Sharing Hotel, Torino, 15-16-17 marzo 2013). In base alle prenotazioni, si è ricordato che erano presenti 52 compagni, mentre altri 5 erano collegati via Internet. Tutto si è svolto in un ambiente sereno e conviviale. Le relazioni, al solito per argomenti concatenati, hanno suscitato interesse, mostrando intorno al nostro lavoro persiste immutata e anzi rafforzata quell'attenzione che dura da più di trent'anni, anche se in un ambiente quantitativamente limitato. I semilavorati che presentiamo di volta in volta sono in elaborazione continua e integrati anche dopo la stampa sul nostro periodico o sul sito internet. Tra l'altro la nostra corrente ha sempre utilizzato il lavoro collettivo con il metodo che oggi è ampiamente alla base di Wikipedia e che ebbe un precedente storico illustre in Alessandro Dumas. Il laboratorio da cui uscivano i "suoi" romanzi era composto da una decina di autori che coordinavano e fondevano le loro conoscenze per il risultato finale. Essi si chiamavano fra di loro, scherzosamente, "negri", appellativo ripreso fin dall'immediato dopoguerra dai nostri vecchi compagni.
Uno degli ultimi post pubblicati sul sito di OWS intitolato Occupy Wall Street, Not Palestine (è stato rimosso!) affronta in modo interessante l'attuale conflitto israelo-palestinese. Le guerre, dicono gli occupiers, sono frutto degli interessi dell'1% e bisogna rivoltarsi contro il nemico interno: bisogna prendersela con la propria classe dirigente evitando la guerra tra poveri. Nel suddetto post si riportava pure il "Manifesto dei giovani di Gaza", scritto l'anno scorso sull'onda della Primavera araba.
Nella east coast americana dopo Sandy c'è stata una bufera di neve e quindi altri danni. Lo Stato è andato in tilt, soprattutto a New York, dove in migliaia vivono in roulotte e tende organizzati male. Le strutture di Occupy al contrario funzionano bene e sono ormai permanenti, supplendo al ruolo delle pubbliche autorità. Ultimamente si è verificata una curiosa alleanza tra alcune Unions e Occupy Wall Street. Tale alleanza si è verificata sia sul terreno della piattaforma di mutuo soccorso Occupy Sandy che per l'agitazione dei dipendenti ultra-precari della Walmart.
In apertura della riunione abbiamo condiviso alcune impressioni rispetto agli incontri pubblici tenuti da Loren Goldner organizzati a Milano e a Torino. Goldner ha affrontato il discorso su OWS e sulla cosiddetta ripresa della lotta di classe statunitense a partire dal crash finanziario del 2008 in maniera assolutamente sociologica senza riuscire ad individuare una prospettiva nelle lotte che si sviluppano a livello globale, senza mettere a fuoco i processi economici e le risposte sociali. Trattandosi di un sociologo, non ci si aspettava grandi teorizzazioni ma quantomeno un'analisi più articolata, dal momento che Goldner ha anche scritto alcuni articoli dedicati a Bordiga e alla "comunità materiale". Oltre al taglio profondamente sociologico quindi, è emerso anche quello vetero-sindacale che vede la lotta di classe esclusivamente legata alla presenza di un proletariato industriale produttivo, proprio quel proletariato idealisticamente compianto che negli Stati Uniti si è drasticamente ridotto a seguito della deindustrializzazione iniziata negli anni Settanta.
Editoriale: Non potete fermarvi
Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra
Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto
Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera
Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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