In solidarietà con lo sciopero francese, in Germania è stata occupata una sede dell'Spd e in Spagna sono stati organizzati sit-in davanti all'ambasciata di Francia. In Italia, i facchini dell'interporto di Bologna hanno bloccato l'importante centro logistico, mentre a Milano una ventina di militanti dei sindacati di base hanno interrotto la circolazione del Tgv diretto a Parigi. Sempre nel capoluogo lombardo, da segnalare la lotta di un gruppo di operai della Marcegaglia che da mesi si batte contro il trasferimento coatto e ha dato vita, il 14 giugno scorso, ad un presidio davanti alla prefettura; l'iniziativa è stata sostenuta da Nuit Debout Milano che ha invitato simpatizzanti e sindacati a partecipare.
La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", ci ha lasciato in eredità formidabili strumenti teorici per inquadrare quello che succede intorno a noi. In Partito rivoluzionario e azione economica viene specificato che "ogni movimento economico e sociale conduce a un movimento politico e ha importanza grandissima in quanto estende l'associazione e la coalizione proletaria, mentre le sue conquiste puramente economiche sono precarie e non intaccano lo sfruttamento di classe".
Perché una situazione sia a tutti gli effetti rivoluzionaria devono essere presenti tre fondamentali fattori: "1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda una imponente parte del proletariato; 3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori, ma al quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese."
Se manca anche uno solo degli elementi elencati la situazione sociale è controrivoluzionaria.
In Francia si è determinato un movimento esteso a tutto il paese che ha lanciato uno sciopero politico con rivendicazioni economiche. La Loi Travail è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: la ribellione è causata dal costante peggioramento delle condizioni di vita. E quello che il parlamento francese si appresta a fare, è trasformare il paese in un Cile modello Pinochet con l'introduzione di elementi inerenti al capitalismo liberista dei Chicago boys. Questo processo è stato descritto con dovizia di particolari da Naomi Klein nel libro Shock economy.
Negli Stati Uniti la situazione è forse peggiore di quella francese: siamo alla guerra civile endemica. Donald Trump non ha esitato a sfruttare la strage di Orlando a fini elettorali attizzando l'odio verso immigrati e islamici. Nel Paese il fenomeno degli scontri a fuoco rischia di andare fuori controllo: secondo alcuni studi riportati da Il Sole 24 Ore, "tra il 2004 e il 2013 (ultimo anno disponibile) sono morte, colpite da armi da fuoco, 316.545 persone. Secondo il dipartimento di Stato, i cittadini statunitensi uccisi all'estero in attacchi terroristici sono stati, negli stessi anni, 277."
La vittoria elettorale di Trump si inserirebbe in un contesto di per sé catastrofico e potrebbe far precipitare la situazione. L'attivismo statunitense, con lo schieramento di portaerei ai quattro angoli del globo, è sintomo di debolezza: in declino, la potenza a stelle e strisce non ha più la forza di far da traino al resto del mondo, ma allo stesso tempo ha ancora potere di ricatto perché il mondo capitalistico non ha la vitalità sufficiente per generare un erede.
Gli Stati Uniti sono debitori della Cina, ma l'hanno obbligata ad accumulare credito in dollari, e a commerciare sull'intero pianeta usando dollari dato che lo Yuan non è convertibile (lo è solo in casi particolari, con accordi limitati fra paesi). Chi deve avere paura di chi? Gli Usa sono clienti che comprano tanto e si indebitano tanto, la Cina è un fornitore che impresta denaro al suo cliente migliore. Secondo la norma è quest'ultima a doversi preoccupare: 1) che il cliente si dilegui; 2) che diventi insolvente; 3) che da un bilancio in surplus passi essa stessa ad un bilancio "deficit spending" come nei maggiori paesi capitalistici.
La domanda che ci siamo posti è: può il pianeta sopportare una struttura del debito come quella attuale protratta per altri decenni?
Parte del marasma sociale da noi analizzato ha radici nel debito, o meglio: nella situazione che rende obbligatorio il debito. Ed è una situazione assai critica, perché di fronte a un mercato ormai globale si riproducono a scala altrettanto globale tutte le contraddizioni classiche del modo di produzione capitalistico.