L'analizzare i fatti francesi dal punto di vista sociologico o marxologico non porta da nessuna parte. E comunque non è esatto ciò che anche tu ci attribuisci. Ci troviamo infatti di fronte a una situazione generalizzata cui hanno partecipato sia proletari puri, sia semiproletari, sia lumpen, quelli che Sarkozy ha chiamato feccia, rapportando l'intero movimento al livello che gli conveniva. Detto questo, per noi è ovvio che la rivolta non è stata di segno proletario, ma aggiungiamo subito che è esplosa a un livello politico più alto rispetto alle lotte "proletarie" che siamo abituati a vedere e che vedremo ancora per molto tempo.
Abbiamo fortunatamente dei fatti eclatanti che ce lo dimostrano, come ad esempio le grandi manifestazioni, sempre in Francia, contro il CPE, contratto di primo impiego. Le prime di esse raccolsero circa due milioni di persone, giovani studenti, lavoratori precari operai di fabbrica. Si trattava di un esteso movimento rivendicativo di tipo riformista classico, che infatti si risolse al tavolo delle trattative, accettato da tutte le componenti politiche e sindacali del movimento, che erano almeno una dozzina. Noi non siamo assolutamente d'accordo con coloro che diedero molta importanza a queste manifestazioni oceaniche, motivando il loro entusiasmo con il fatto che i principali protagonisti erano i giovani, futuri proletari disoccupati. La rivendicazione era sindacale, ma di un tipo un po' speciale: gli studenti o ex studenti disoccupati e precari, rivendicavano di avere un "posto" adeguato agli studi che avevano compiuto (una protesta identica, quasi neppure annotata sui giornali, vide in corteo a Roma almeno centomila persone). Tutti gli altri richiedevano allo Stato una diversa politica del lavoro. Le oceaniche manifestazioni contro il CPE erano politiche e riformiste, come la manifestazione, celebre, contro il terrorismo e per l'articolo 18 in Italia, che a detta degli organizzatori aveva mobilitato tre milioni di persone.
Grandi numeri, decisamente molto più grandi di quelli che riguardano le banlieues, le quali hanno visto attive un paio di decine di migliaia di persone, ma come un tutt'uno con una popolazione intrinsecamente eversiva. Qui siamo al solito punto già passato alla critica di Marx: una rivolta politica può avere aspirazioni universali fin che si vuole, ma resterà meschina se non è espressione di un movimento reale di cambiamento; mentre una rivolta per spinte reali apparirà meschina fin che si vuole, ma avrà invece un contenuto sovversivo universale. Questa ci sembra la chiave di lettura principale della rivolta francese. I banlieusards non avevano rivendicazioni da avanzare, non volevano niente, erano solo incazzati, soprattutto aborrivano l'integrazione con il nemico, che invece è l'obiettivo di ogni riformismo.
Solo in un secondo tempo si può passare a un'analisi più dettagliata. Ma anche in questo caso vediamo che la "feccia" straniera che Sarkozy s'era inventato non era altro che la seconda o terza generazione, francesissima, di quegli immigrati che hanno fatto con le loro mani il capitalismo francese, lavorando nei cantieri e nelle fabbriche, proliferate non sotto la Tour Eiffel o davanti a Notre Dame, bensì, appunto, nelle banlieues.
In Francia abbiamo solo avuto una piccola avvisaglia di ciò che potrà succedere in futuro, quando un miliardo di diseredati urbani esploderà senza controllo. Perché la banlieue non è un luogo pittoresco, ma una parte vitale del sistema capitalistico. Il Capitale non globalizza solo l'economia, globalizza soprattutto il proletariato, di fabbrica o precario o disoccupato. L'interlocutore storico del Capitalismo non è assolutamente una "moltitudine" né una "classe universale", come va di moda inventarsi oggi: rimane, è, il proletariato, il quale si universalizza, non perché se ne possa fare un censimento sociologico, ma perché all'operaio parziale all'interno della fabbrica deve corrispondere l'operaio globale, così come alla merce discreta corrisponde sempre più la merce continua, quella che si paga a canone, che non è un oggetto fisico da comprare una volta e consumare, ma si paga per tutta la vita, come il tram, il telefono, la televisione, l'energia elettrica.
C'è chi ci accusa di inventare novità rispetto al buon vecchio Marx: la verità è che bisogna saper leggere sia le parole scritte che i fatti maturati da quando esse lo furono. E i fatti sono una conferma clamorosa di ciò che Marx poteva appena intuire per anticiparne la critica. Quello che abbiamo appena detto discorrendo, senza citare esplicitamente, non è una "nostra" analisi sui fatti francesi: è una verifica sperimentale di certi assunti di partenza esposti un secolo e mezzo fa in opere che a volte fa comodo dimenticare.
È sbagliato pensare che nelle banlieues sia successo qualcosa di così eclatante da essere considerato quasi anormale, come i media inducevano a credere. Di fatto c’è stata un’estensione quantitativa, esplosa per un periodo limitato, di un qualcosa che avviene quotidianamente e regolarmente. Il territorio in cui è scoppiata la scintilla è abbastanza preciso e delimitato. Si tratta della banlieue settentrionale, a sua volta suddivisa in diverse fasce urbane, che guarda caso coincide con la vecchia struttura industriale smantellata, dove è concentrato il proletariato parigino. La novità è appunto l’elemento quantitativo, dato che la scintilla ha incendiato l'intera Francia urbana, dove la banlieue dei precari, dei disoccupati e degli incazzati non è altro che il riflesso della vecchia industria morente e di quella nuova, rinascente sotto altra forma. Per questo il proletariato non sparisce affatto, non cambia natura e rimane il direttissimo complemento della nuova industria.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 22 - dicembre 2007.)