A suo tempo Vi chiesi qualcosa sulla "filiazione" da Lotta Comunista [di diversi nuovi gruppi]. Sembraste assai sbrigativi nel riassumere ed anzi, ricordo bene, ovvero con "dispiacere", il tono quasi sussiegoso con cui liquidaste la richiesta di confronto, parlando di "inutilità del dibattito, che poi si risolve in votazioni sulla giusta tesi…". Se ancora non ricordo male, parlaste perfino di "discussione" contrapposta a "dibattito"; tanto che io, sorpreso più che mai, andai a verificare sul dizionario, e trovai piena conferma della loro analogia, anche nella composizione, se non uguale, "omologa". […] [I vecchi rivoluzionari] non facevano un divieto assoluto di dibattito con altri teorici e simili, tant'è che contro Proudhon, come contro Bakunin, Kautzky, Luxemburg, Trotzky, ecc., hanno scritto numerose opere, facendo anche apertamente i nomi dei destinatari dei loro attacchi. A me sembra ovvio che ci si possa confrontare con chiunque, se l'argomento, il modo con cui la figura di riferimento l'affronta, sono degni d'interesse. Non vi è nulla di "assurdo" nel considerare tesi altrui. E un ulteriore motivo di sostegno a tale mio ragionamento sta nel termine "dialettica", che traduce il greco διαλεκτική. Tale termine viene usato da Platone e Aristotele nel senso di (arte del) discutere, (del) dialogo, ecc. E "don Carlo" apprezzava la lingua classica, che cercava d'insegnare alla fedele Jenny. […] Potremmo dire che anche la "letterale" definizione del metodo c'impone di non escludere l'esame di alcuna posizione. Almeno in generale. […] [Persino il buon Simplicio trova posto nel dialogato galileiano], dunque: se siete "aperti" come dichiarato, dovreste confrontarvi senza altezzosità con chiunque lo meriti […] [segue un lungo passo sulla Frazione all'estero e sulla scissione del '52, con le quali Bordiga non si sarebbe "storicamente" confrontato].
Ma veniamo ad un altro punto, che per mie perplessità non sono certamente in grado di dirimere. Si tratta dell'insufficiente analisi della guerra in epoca di tardo capitalismo. Per quanto ho visto, e per le poche righe espresse a riguardo nelle tesi, rifacendosi a Lenin, mi sembra che ci sarebbe bisogno di un maggior approfondimento. Invece, con mia sorpresa, ho visto che avete risposto [ad un compagno] con atteggiamento di ingiustificato risentimento. Come se il solo porre il problema, o denunciare la carenza di quanto detto Vi avesse offeso.
Prima di concludere, per il momento, aggiungo che avrei molte riserve anche sui termini. Il termine "Sinistra" nasce per casuale disposizione nella Convenzione francese di fine ‘700. Ma si tratta di parti di borghesia. Chi si contrappone ad essa, è fuori di tale schieramento. Nel comunismo non ci saranno tali schieramenti. È giusto? Ancora maggiori perplessità sorgono sul termine "filisteo", che purtroppo Marx, Engels e tanti seguaci hanno usato in senso spregiativo, come gli studenti tedeschi del ‘700. Ma "filisteo" è esatto sinonimo di "palestinese" ed è di carattere storico-nazionale la vicenda del conflitto tra Israele e i Filistei, narrata nella Bibbia; è interessante per comprendere l'attuale scontro, che è tra gli stessi popoli, almeno alla lettera. Così come il termine "rivoluzione" in senso non cinematico: oggi se ne fa abuso come di certi sciattissimi anglicismi. È il caso di cercare sinonimi alternativi, anche perché Bordiga in questo era a mio avviso ottimo, doveroso esempio.
[…] Ancora alcune domande: vorrei sapere come giustificate la vera "bestemmia" della Fondazione Amadeo Bordiga; vorrei che mi parlaste della Vs. attività sindacale, dato che mi sembra d'aver letto più volte di un Vs. impegno in questo campo, del tutto essenziale per un'organizzazione che assuma il programma della "Sinistra" (Vi sarei grato se m'inviaste qualche Vs. materiale, usato in tale settore); vorrei infine qualche Vs. parola sul social-nazionalismo russo (sono dispiaciuto di non aver visto fin qui una trattazione adeguata anche nei suoi aspetti più aberranti, che saranno poi scelti a modello in Cina, Cuba, Albania, Corea, Vietnam ecc.).
Penso che ci sia in generale un disprezzo anche pesante, verso coloro che hanno subìto tali mostruosità. Per chi li ha vissuti, quei violenti, paurosi disinganni, era veramente "buio". Ridurre tutto a fredde cifre da ufficio contabilità mi sembra riduttivo e insufficiente. A me fa schifo già l'architettura, bolsa, tronfia, in "ribassante gara col peggior fascismo". E non diciamo della mania monumentalistica: già questi sono segni inconfutabili, seppur indiretti, che "qualcosa di profondo non va".
[…] L'atteggiamento "disperantemente sussiegoso e sprezzante", che è forse tipico di certo esasperato "settarismo", mi sembra quanto di più lontano e inconcepibile da quello necessario, ma starei per dire indispensabile, per chi deve portare l'umanità, o dovrebbe, nella storia cosciente, adulta. […] Ma l'aspetto, a mio "personalissimo" avviso, meno comprensibile del settarismo, soprattutto per quanto riguarda il disprezzo sistematico del confronto, della discussione, è la totale contraddizione col fine, che nel caso di un organismo sedicente "socialista", dovrebbe tendere alla liberazione dell'umanità dall'inconsapevolezza, dall'asservimento verso le leggi economiche. Insomma: il fine è generale, di "amore"/‘αγάπε, ma il metodo è di chiusura, ripiegamento su sé stessi. Si potrebbe obiettare che le stesse comunità, o "sette", paleocristiane si prefiggevano uno scopo "universale" e razzolavano male, ma un simile atteggiamento si giustificava con la persecuzioni cui erano sottoposte. E comunque è nota l'espressione di Marx per cui "i comunisti sdegnano di nascondere le proprie idee…", e ciò è ovvio per chi segua un metodo scientifico-critico, e ancor più, come ho detto sopra, "dialettico", ovvero, etimologicamente, "di confronto" […].
Grazie per la tua lettera, un po', diciamo, inusuale. La rivista attuale sostituisce le Lettere ai compagni, non le edizioni, che continuano ad essere Quaderni Internazionalisti. Occorre chiarire la questione della discussione contrapposta a dibattito e confronto. Se è vero che il vocabolario pone l'unica differenza nel fatto che la discussione è fra privati individui mentre il dibattito è anche una discussione, ma di carattere pubblico (Sabatini-Coletti), è pure vero che per noi ciò fa una bella differenza. Quindi: dal nostro punto di vista discussione vale lavoro di approfondimento, scambio positivo d'informazione, mentre dibattito, specie nell'accezione comune, vale blablaggio, confronto fra opinioni che restano tali.
Per quanto riguarda, poi, il comunicare agli operai, noi abbiamo smesso da un pezzo di preoccuparci per questa faccenda dei testi "difficili". Sappiamo per esperienza che gli operai possono capire benissimo discorsi e testi che, pur nella cristallina esposizione di un Marx o di un Engels, sono inaccessibili ai professori di marxologia. La nostra rivista non ha una diffusione di massa, non certo perché sia "difficile", bensì perché di quello che diciamo non importa nulla alla quasi totalità della popolazione mondiale, compresa la quasi totalità dei cosiddetti comunisti. E comunque sinora abbiamo ricevuto da più d'un lettore riscontri positivi per la chiarezza con cui esponiamo "cose difficili" rendendole comprensibili, mentre dai sinistri riceviamo in genere l'accusa di "intellettualismo". Naturalmente non ce ne importa nulla, chiamalo pure sussiego, se vuoi. In realtà ci siamo prefissati il compito di discutere con quei lettori che riscoprono con noi la vastità dell'opera iniziata da Marx e continuata da tanti altri (non solo Bordiga), il cui mondo non è di frasi fatte. Comunque, da alcune cose che scrivi, sembra che anche tu senta l'esigenza di rompere con il super-marxismo-leninismo-trotskismo-bordighismo coltivato dagli epigoni degli epigoni.
Non facciamo polemica con gruppi, gruppetti e partitini. E' una nostra scelta, della cui correttezza siamo profondamente convinti. E troviamo sbagliato da parte tua fare confronti con epoche diversissime dalla nostra. E' vero che i nostri grandi predecessori hanno fatto polemica per tutta la vita contro i "Bakunin, Kautsky, Luxemburg, Trotsky, ecc., hanno scritto numerose opere, facendo anche apertamente i nomi dei destinatari dei loro attacchi". Ma è anche facile capire che oggi non si scontrano forze di quella grandezza e ogni dibattito si risolve inevitabilmente in una miserabile batracomiomachia. C'è in più una cosa: sarà per deficienza nostra, ma non riusciamo proprio a capire la differenza fra certi inimicissimi gruppetti. Cerchiamo di distinguerci con il nostro lavoro. In realtà non sapremmo neppure su che cosa fare polemica perché quasi sempre ci sono del tutto estranei gli argomenti sui quali si vorrebbe dibattere e confrontarsi: nella quasi totalità dei casi siamo invitati ad esprimerci su contenuti specifici della tattica Terzinternazionalista (quando non della Prima o della Seconda Internazionale), senza che venga tenuto minimamente in conto il concetto di "rivoluzione in permanenza" di Marx, per cui ogni rivoluzione deve iniziare ad un gradino superiore della precedente (altrimenti a che è servita quest'ultima?).
Tu stesso del resto trovi "soffocante" non solo il neo-illuminista Scalfari e il "socialismo reale", ma anche la sclerosi che si è impadronita del sinistrismo. Perciò una cosa che non riusciamo a capire è come mai fai differenza fra quelli che chiami ultra-leninisti e altri che sono ultra-qualcun-altro. In genere non è che evitiamo per principio di prendere in esame scritti o azioni altrui, è ovvio che c'interessa moltissimo ciò che succede intorno a noi; ma non partecipiamo mai a diatribe sulle "posizioni". L'esempio di Simplicio non è valido; Galileo lo ha posto nel Dialogo per poter avere un interlocutore virtuale; un Simplicio in carne ed ossa non avrebbe "dibattuto" ma sarebbe andato subito a fare la spia ai preti affinché si bruciasse senza indugio l'eretico. E tu sai bene che proprio fra i sinistri gli anatemi si sprecano.
Noi non sappiamo perché il vecchio partito non abbia preso in considerazione l'esperienza della frazione all'estero. Leggendo la produzione di quest'ultima e guardando a ciò che fu la sua continuità nel dopoguerra, possiamo immaginare che ci fossero cose più urgenti cui dedicarsi, e non ci dobbiamo rammaricare se il risultato è quella raccolta di formidabili testi che oggi adoperiamo. Cosa avrebbe aggiunto una discussione sul contenuto di Bilan? Condividiamo pienamente la scelta di Alfa, dopo il 1945, di non nominare i bersagli delle sue critiche all'interno del partito, per spersonalizzare al massimo la discussione, evitando che diventasse dibattito. D'altra parte è chiaramente comprensibile, a chi legge per esempio Olimpiadi dell'amnesia, quali precisamente fossero non tanto le persone quanto i rigurgiti di "proudhonismo resistente e tenace". Comunque non ha importanza: se nell'Antidühring al posto del nome di Dühring ci fosse un asterisco, nessuno ricaverebbe meno insegnamento per questo.
Condividiamo l'osservazione che fai sulla rivendicazione dei personaggi e delle correnti: oggi dire "nostro" riferito ad un nome o ad un avvenimento storici è come dirlo di Democrito o delle Termopili. Per i comunisti la storia è tutta "nostra".
Su altri argomenti, per carità, non si è offeso proprio nessuno. Ci disturba soltanto la pedanteria di chi isola un problema unico fra milioni e ne fa la ragione della sua esistenza. Le soluzioni storiche a problemi complessi esulano da schemi precostituiti ed è sbagliato farsene una fissazione. Questo diciamo a tutti e questo ribadiamo, senza acrimonia, ma anche senza nessuna voglia di parlare all'infinito su assunti personali, al di fuori di un lavoro e di un obiettivo comuni.
Nel nostro programma di lavoro c'è anche uno studio sulla guerra in epoca di capitalismo attuale. Oggi l'imperialismo non è più quello descritto da Lenin, non lo diciamo noi ora, lo dice già la Sinistra Comunista. A noi piace molto Engels quando afferma che, scrivendo parole d'ordine rivoluzionarie, bisogna prima di tutto capire che cosa significhi materialmente metterle in pratica: in un teatro di guerra moderno la parola d'ordine "disfattismo" e la conseguente opera per trasformare la guerra in rivoluzione, il tentativo di prendere il controllo di sistemi complessi, ha un significato diverso da quello che poteva avere tra i soldati durante la Prima Guerra Mondiale. Già la Seconda ha comportato la definitiva scomparsa del concetto di "fronte", unificando le masse combattenti con quelle civili, e questo fa una grande differenza rispetto a ciò che dicevano e facevano i bolscevichi. Soprattutto occorre chiedersi che cosa significhi per il capitalismo avviare una guerra senza che la rivoluzione l'abbia potuta evitare. Dato che ci concedi di essere "gentili", ribadiamo gentilmente che il capitalismo moderno ha come sua prerogativa lo sviluppo estremo della forza produttiva sociale e, siccome già Lenin, Trotsky e… Bordiga avevano ben capito che nessuna rivoluzione è possibile se non si disgrega l'apparato di potere della borghesia, oggi a maggior ragione la loro asserzione è valida. Amadeo non ha fatto che costruire su questo assunto le sue affermazioni. Oppure qualcuno crede veramente che a vincere la guerra contro gli Stati Uniti siano stati i Vietcong?
Sulla terminologia: da almeno vent'anni cerchiamo di non parlare e scrivere a base di luoghi comuni, tanto che abbiamo anche coniato un termine, "luogocomunismo", per indicare la "langue de bois" dei post bolscevizzatori di tutte le risme. Quindi ben venga un chiaro e netto modo di esprimersi, magari con l'introduzione di nuovi termini.
Sulla nostra attività sindacale. Com'è noto, per contare i nostri effettivi non occorre un super-computer, mentre il presupposto essenziale per poter parlare di attività sindacale in senso proprio è invece la presenza di una forza reale in grado di "influenzare le masse". Oggi questa forza non l'ha nessuno, nemmeno i sindacati con milioni di iscritti passivi. Perciò, dal punto di vista quantitativo, l'azione sindacale dei nostri militanti sui posti di lavoro è quella tipica di ogni comunista che agisca in una situazione storicamente sfavorevole. Essa è descritta in mille passi dei testi che pubblichiamo e non è il caso di fotocopiare qui le solite citazioni. Dal punto di vista qualitativo, abbiamo la pretesa di aver detto e fatto cose interessanti, quando abbiamo potuto, a proposito di scioperi parziali, anche abbastanza estesi. Non sempre ne è rimasta documentazione, ma per esempio puoi trovare alcuni articoli "piemontesi" su Programma comunista ante-éclatement oppure, per cose più recenti, abbiamo pubblicato alcuni volantini sul nostro sito (nella pagina "Archives", pulsante "Leaflets").
Su eventuali trattazioni riguardo ai fenomeni sociali aberranti del nazionalcomunismo: le rivoluzioni hanno un loro "stile" (Fiorite primavere del Capitale) e le controrivoluzioni anche; non è un caso che vi sia stata una gara dei russi col fascismo e col nazismo, e non solo dal punto di vista estetico (Patria, Famiglia, Stato, Lavoro). L'argomento è interessante, merita una riflessione e una trattazione eventuale in futuro (un po' ne abbiamo già parlato qua e là).
Infine sul settarismo: non ti sarà sfuggito cosa disse Amadeo nella sua intervista poco prima di morire. Ricorderai che abbiamo pubblicato una Lettera ai compagni intitolata provocatoriamente con le sue affermazioni: Astratti, schematici, rigidi e pure settari.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 4 - giugno 2001.)