I rappresentanti della società futura non si schierano con ciò che esiste e sta per morire, si buttano in ciò che non esiste ancora, che è anticipato in forme più o meno nascoste ai più, ma visibilissime a loro (avrete notato che evito di dire "comunisti": come s'è letto sulla rivista "n+1", un nostro antenato rivoluzionario disse che la parola "cade dinanzi alla obiezione che, come tante altre, oggimai ci accomuna a troppa gente").
Oggi ragionare politicamente in base a categorie soggettive è un non-senso, e non lo si dovrebbe fare neppure quando si parla di destra e sinistra a proposito della corrente cui facciamo più riferimento. La Sinistra Comunista "italiana", non esiste più. È esistita, e si chiamava così perché, nel partito, ancora funzionante col centralismo democratico nonostante prove pratiche di buona organicità, esistevano anche destrorsi e centristi, come si diceva. Lo pseudo-concetto è tanto risibile da meritar, secondo certa nostra letteratura scientifica... la sonora irrisione non casualmente sintetizzata dallo stesso compagno di cui sopra in "Sua maestà l'opinione". Sberleffo al rigurgito di medioevo. Oggi sembra tutto opinione, e se ne scandalizza perfino il mediocrissimo Michele Serra su La Repubblica. Non se ne può più di veder serpeggiare l'andazzo anche fra i… sinistri.
Al bando quindi destra, sinistra e tanto altro vocabolario sgangherato. Se si deve trattare di argomento qualsiasi, che abbia contenuto minimamente conoscitivo, cioè non sia solo aria rigirata in bocca, è obbligatorio evitare ogni uso di espressioni ormai disintegrate dalla storia, quindi fuorvianti, senza capacità di comunicare direttamente il loro vero significato.
Il socialismo scientifico (scientifico: opposto a tutto ciò che è opinabile e arbitrario), nasce come consapevole sintesi delle tre note scuole di pensiero-azione, l'economica inglese, la filosofica tedesca e la politica francese. E mi sembra di non essere il solo a sentire queste esigenze, dato che anche i redattori di "n+1", sul numero zero della loro rivista, affrontarono l'argomento della banalizzazione generale dei termini, facendone notevole sintesi. Eppure, non si trattava di termini qualsiasi, ma di "comunismo", quello che sembra essere insostituibile per sua intrinseca essenza, sostanza, natura, quindi assai meno agevolmente confutabile nel suo abuso ufficial-istituzionale; eppure, anch'esso in perenne agguato, nella incessante battaglia per confondere le idee.
Dunque: se si può dare conoscenza, anche di materie socio-storico-economiche, allora non esiste sinistra o destra sociale, così come non esiste aggettivazione della società futura e del percorso per giungervi. Il comunismo è, e basta: come la natura che diviene, non lo si può definire marxista, leninista, trotskista, bordighista, ecc. ecc. Per cui sono sacrosante, in proposito, le sferzate derisorie dei già ricordati redattori di "n+1", quando ci ricordano che non esiste una matematica di destra, una fisica o chimica marxista, o un'astronomia leninista. Anche allo stato attuale delle umane cose è possibile porre la questione di una corretta definizione (nel senso di fondazione, Grundlage) della conoscenza pratica, che vada già, nei fatti, contro la società borghese.
L'unica aggettivazione plausibile di comunismo è in negativo e la diede Marx contro gli avversari: comunismo rozzo, volgare, borghese. Senza infingimenti, dichiaro la mia difficoltà ad uscire dalla generica insopportabilità di termini ormai senza significato e avanzare una praticabile proposta. Quale potrebbe esserne il principio? Abbiamo gli esempi storici, dalla sistematica della conoscenza cristiana operata dai padri della Chiesa a Dante, dal lavoro degli enciclopedisti francesi al linguaggio universale della matematica moderna. Se dunque conoscenza può darsi, organizzarsi e far avanzare, allora non può darsi il persistere nell'uso di termini che hanno significato opinabile a seconda di chi li utilizza.
Secondo i parametri popolari, in Russia, in Cina e nell'Europa orientale vi fu il comunismo, così come dopo il ventennio mussoliniano vi fu l'antifascismo e lademocrazia. Perciò i sei miliardi che abitano il pianeta credono davvero che il comunismo sia qualcosa di analogo al modello russo-cinese, che l'antifascismo sia l'opposto del fascismo, e che la democrazia sia governo di popolo (e che oltretutto sia possibile e sensato "governare" una fabbrica, una rete ferroviaria, o una società intera, col principio democratico). G. Pansa, in libro porcheriola, che sembra tirar bene alle rivendite, dice che a quel tempo infausto, passavan per le armi tutti quelli che... non accettavano il comunismo. Esagerato: con criteri scientifici, che non sono quelli del Pansa, avrebbero dovuto far fuori prima di tutto Togliatti, Amendola, Pajetta e compagnia, tutti quelli che erano corresponsabili dello sterminio di milioni di comunisti, in Russia, in Cina, in Ispagna. La Repubblica, fondata dal sé-credente illuminista Scalfari, non lascia passar giorno senza infilare da qualche parte delle sciocchezze a proposito della morte del comunismo. Contro costoro non possiamo nulla, ma noi dobbiamo fare un minimo di attenzione. È un primario indirizzo di teoria-azione che vada lasciato all'avversario, ogni qualvolta sia possibile, il linguaggio ambiguo della controrivoluzione.
Il problema affrontato dal lettore non solo esiste ma è importante. Solo i grandi svolti storici portano a nuove forme della comunicazione, ma riteniamo sia possibilissimo evitare il linguaggio luogocomunista e almeno provare a comunicare senza la langue de bois dell'Internazionale degenerata in versione russa. Se non si può sostituire velleitariamente il vocabolario della rivoluzione-controrivoluzione in corso, è comunque necessaria un'attenzione particolare nel suo uso. Il problema del linguaggio sarà prossimamente oggetto di studio da parte nostra.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 14 - marzo/giugno 2004.)