E chi non sarebbe per la sconfitta militare degli Stati Uniti! Tuttavia, come abbiamo ripetuto più volte, chiunque proponga una certa azione politica ha anche l'obbligo di spiegare come realizzarla. Ora, per sconfiggere gli Stati Uniti occorre una forza militare superiore oppure un movimento mondiale che li obblighi a disperdere le forze in modo che possano essere neutralizzate. La prima ipotesi è esclusa, per adesso; la seconda è appunto ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di evitare, attaccando un "problema" per volta, preventivamente, e nel frattempo costruendo e rafforzando basi militari intorno al pianeta.
Ma andiamo con ordine. Il ciclo della formazione degli Stati nazionali si chiude con la scomparsa delle ultime colonie, quelle del Portogallo (1975). Rimangono questioni irrisolte e irrisolvibili come quella irlandese, kurda, basca, palestinese, ecc., ognuna con le sue peculiarità storiche. Rimangono ovviamente Stati-nazione i cui confini sono stati tracciati dai colonialisti e non corrispondono ai reali popoli-nazione. La sistemazione delle immani "questioni" irrisolte è solo possibile con la guerra fra Stati o con un rivoluzionamento generale della società. Ovviamente siamo per quest'ultima soluzione, ma non saremmo indifferenti neppure di fronte a una guerra fra Stati che risolvesse con la forza alcune situazioni incancrenite. Per esempio, una guerra degli Stati arabi contro Israele che eliminasse lo stato confessionale ebraico e imponesse uno stato multietnico come ne esistettero negli antichi califfati, sarebbe una buona soluzione per il proletariato locale. Ma sarebbe una buona soluzione, dal punto di vista comunista, cioè a-nazionalista, anche il contrario: una guerra di Israele per l'unificazione dell'intera Palestina e il raggiungimento dello stesso risultato (comunque è meglio uno stato capitalistico moderno che non una monarchia o satrapia asiatica come quelle che ci sono in molti paesi islamici). Naturalmente tutto ciò non può avvenire a freddo, e oggi mancano le condizioni per soluzioni drastiche di questo tipo, non solo in Medio Oriente.
In Iraq, molto semplicemente, se esistessero dei comunisti, non dovrebbero assolutamente combattere a fianco della borghesia saddamita spodestata dagli americani, né contro questi ultimi e i loro lacchè kurdi e sciiti insediati al governo. In Palestina i comunisti dovrebbero in linea teorica combattere per la formazione dello Stato palestinese ma, trattandosi di un campo di concentramento entro i confini di Israele, dal punto di vista generale rivoluzionario, per loro sarebbe molto meglio una delle due soluzioni precedenti. In questo caso non potrebbero certo combattere a fianco né dei governi arabi né di quello israeliano. In ogni caso, nel ciclo storico attuale, terminato quello della formazione delle nazioni, è meglio che i comunisti si preparino alla loro rivoluzione.
Sulla rivista e sul nostro sito si può trovare abbondante materiale sulla questione nazionale nella nostra epoca.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 19 - aprile 2006.)