A differenza dello storico, il marxista non si limita a mettere i fatti storici unicamente in una sequenza temporale: egli vi cerca la base di tali fatti nello sviluppo delle forze produttive da cui scaturiscono nuovi rapporti di produzione, sui quali si sviluppa in seguito la sovrastruttura ideologica, giuridica e politica. Nella migliore delle ipotesi, lo storico – e non pochi che si richiamano al marxismo – parlano di specifici fatti che causano dei grandi cambiamenti: scoperta del fuoco, rotazione delle colture, la scoperta della polvere da sparo, la rivoluzione industriale, ecc.; queste sono banali semplificazioni e la capacità, ad esempio, di controllare il vapore non ha nulla a che vedere con le vere cause della rivoluzione industriale.
Per comprendere la dinamica dei modi di produzione non basta sottolineare eclatanti episodi al suo interno. La cosa fondamentale è chiedersi se esistono leggi della storia e la risposta diventa positiva se in questa troviamo delle invarianti, delle regolarità, che permettono di parlare di scienza della storia, ossia di trattare dati qualitativi in terminiquantitativi.
Marx parla di categorie che possono passare invariate lungo la storia: famiglia, proprietà, Stato. Queste comunque subiscono delle trasformazioni: ad esempio la proprietà è presente in tutte le società di classe, ma va pure sottolineato che la proprietà capitalistica è diversa da tutte le altre forme di proprietà.
Data l'attuale maturità delle forze produttive, oggi, con il marxismo, si pone fine alla separazione fra scienze umane e scienze fisiche, ed i fatti, o categorie, non vengono più analizzati nella loro successione, o somma, ma nell'insieme delle loro relazioni.
L'importanza del lavoro di Marx, e nostro, consiste nel trovare le relazioni fra lo sviluppo delle forze produttive, i rapporti di proprietà e la sovrastruttura: elementi congiunti in ogni epoca storica. Proprio quando si possono dare relazioni fra grandezze misurabili si può trattare un processo da un punto di vista scientifico e dunque comprenderne il passato quanto il futuro.
Il termine che Marx utilizza per 'formazione economica e sociale' (Ökonomische Gesellschaftsformation) può essere pure letto come 'formazione economica della società': nel primo caso abbiamo una formazione specifica, nel secondo caso un concetto dinamico di un processo. L'ambivalenza del termine tedesco usato da Marx, permette di unificare sia un risultato immediatamente visibile sia l'insieme del processo storico che ha portato a tale risultato, quindi, da questo, proiettarsi nel successivo, il futuro, da cui partire a ritroso per comprendere meglio l'attuale.
Nella Introduzione a Per la critica dell'economia politica del 1857, Marx afferma che parlare di produzione in generale ha senso concreto perché sottolinea un elemento comune a tutti i diversi modi di produzione, pur essendo essa un qualcosa complessamente articolata: alcuni elementi appartengono a tutte le epoche ed altri solo ad alcune.
Che cosa si può leggere in questa impostazione se non la teoria degli invarianti – unico metodo che può rendere possibile una conoscenza scientifica – formulata (in quanto tale) molto più tardi da quanti hanno tentato di matematizzare le più varie esperienze interne al movimento generale della natura?
Nel processo storico, nel divenire successivo delle forme di produzione, non ci si può fermare ad una specifica forma, specie se si tratta di quella in cui si vive. Si cadrebbe inevitabilmente nel più banale soggettivismo che non potrebbe sfuggire ad una qualche forma di principio di indeterminazione sociale e su questo piano non vi potrebbe essere alcuna scienza economica.
La storia dell'umanità diventa quindi serie di relazioni ed il suo studio scientifico deve essere condotto sulla base del succedersi delle forme di produzione che veda in esso la continua presenza di invarianti pur nella loro trasformazione (es., la proprietà). La disposizione delle categorie economiche, si legge sempre in Per la critica… di Marx, non va posta nell'ordine in cui esse furono storicamente determinanti, ma dalla loro connessione organica all'interno della moderna società borghese, e questo mostra come la categoria 'famiglia' che era al primo posto agli albori della storia umana, nel capitalismo passi all'ultimo posto, la stessa categoria 'proprietà' perde la sua importanza quando vediamo il capitalista proprietario di fabbrica sostituito da un suo stipendiato.
È per tale motivo che riteniamo importanti i lavori (veri e propri semilavorati, a suo tempo pubblicati ne il Programma comunista) sulle società in fase di transizione, particolarmente quelle impegnate nelle lotte di liberazione nazionale: importanti perché in essi si possono cogliere elementi scientificamente utili per lo studio di tutto il corso dell'umanità, dal comunismo primitivo al futuro comunismo pienamente realizzato. Insomma, come diceva il titolo originale degli articoli, le lotte di classi e di Stati nel mondo dei popoli non bianchi, rappresentano uno storico campo vitale per la critica rivoluzionaria marxista.
Il metodo che si assume da questo studio ci porta, ad esempio, a dare risposte precise sulla scomparsa dell'URSS che solo dei cretini possono definire 'crollo del comunismo'. A parte il fatto che in URSS non vi è mai stato comunismo, ma capitalismo puro, è veramente possibile passare da un capitalismo di Stato ad uno di libero mercato?
Le nostre tesi escludono questa possibilità di regresso storico: il capitalismo di Stato rappresenta sempre un fase successiva a quello 'liberista' e nella Russia odierna si può verificare sperimentalmente che dopo n (capitalismo) può esserci solo n+1 (comunismo), oppure una degenerazione totale dell'umanità, ipotesi non assurda ma piuttosto improbabile, dato che ogni sistema contiene in sé gli elementi necessari al nuovo ordine.
Quando si parla di dinamica dei processi storici, va inteso per 'processo' l'interazione fra produzione e consumo la cui dinamica non può essere fatta iniziare dall'uno o dall'altro . Per Marx, ogni forma raggiunta non è che l'intera dinamica analizzata dal punto di vista del risultato: non c'è una partenza e non c'è un arrivo, ma solo forme transitorie di una dinamica complessiva.
Nello studio della dottrina dei modi di produzione, che non è un modo di dire politico usato perché 'suona bene', adotteremo un procedimento matematico ampiamente utilizzato in tutte le scienze della natura.
Ogni forma sociale è prodotto della dinamica delle forme precedenti e, nello stesso tempo, fattore dello sviluppo delle categorie interne ad essa che, giunto il tutto a maturità, ne forzeranno il superamento, mostrando la contraddizione fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale, quindi il conflitto fra le classi che la suddetta contraddizione mette in moto.
È partendo da questi presupposti che studiamo il fermento del mondo coloniale, combattendo l'indifferentismo di quei 'marxisti' che sottovalutavano l'importanza del passaggio dalla proprietà coloniale alla proprietà capitalistica della borghesia nazionale, rendendo possibile l'accumulazione locale e dunque la base per lo sviluppo del proletariato nelle aree interessate; perfino in una 'riforma agraria' timida finché si vuole non si riusciva a vedere il legame rivoluzionario fra la terra ed il capitale. L'indifferentista basa la propria analisi non sul movimento reale della successione dei modi di produzione, non su ciò che le classi sono costrette a fare, ma su ciò che esse dicono di se stesse: egli dimentica che lo sviluppo del proletariato nazionale è la condizione primaria affinché esso possa unificarsi con quello mondiale e innanzitutto deve almeno esistere, ed esiste nella misura in cui esiste una borghesia.
Le due classi fondamentali – proletariato e borghesia – inizialmente nascono complementari: non possono esistere l'una senza l'altra; solo ad un certo grado di sviluppo del capitalismo, la borghesia non può vivere senza il proletariato, mentre quest'ultimo può fare a meno di quella, superando ad un certo punto (con la fase di transizione della dittatura del proletariato) la sua stessa condizione di classe fra le altre classi.
Se dunque l'analisi scientifica ci deve portare oltre l'apparenza delle manifestazioni superficiali di una data formazione economica e sociale, ciò significa che scopo della conoscenza è trovare le leggi di mutamento dei fenomeni e delle relazioni fra di essi; meglio ancora: si fa indagine scientifica quando si ricercano le leggi del trapasso dei fenomeni da una forma nell'altra, da un ordine tra relazioni ad un altro ordine tra altre relazioni.
In una lettera ad Engels del 27.06.1867, Marx critica il modo di vedere dell'economia volgare da 'borghesucci' che si accontentano delle apparenze immediate delle cose e non cercano le loro intime correlazioni. "Del resto – continua – se così fosse, che bisogno ci sarebbe infine di una scienza? […] ogni scienza sarebbe superflua se la forma fenomenica e l'essenza coincidessero immediatamente".
È proprio la ricerca di queste 'intime correlazioni' che porta Bordiga ad utilizzare la seguente schematizzazione, contro ogni affabulazione 'a soggetto' caro al politichese: "Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n+1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma".
In questa schematizzazione apparentemente banale vi è l'applicazione di un importante principio matematico, enunciato da Peano e sviluppato da Poincaré (a cavallo fra XIX e XX secolo). Tale principio era stato posto da Marx, in modo discorsivo, alla base del Capitale, e che porta a conclusioni di questo tipo: su ogni elemento semplice della società che produce, è possibile costruire ragionamenti che possono essere utilizzati per elementi più complessi; su ogni tipo di società che produce, si possono costruire ragionamenti utilizzabili per le società che vengono dopo, più complesse.
Bordiga conosceva bene non solo lo sviluppo della matematica, ma anche tutte le implicazioni relative alla teoria della conoscenza. Nei suoi schemi vediamo tratteggiata quella che vent'anni dopo Thom chiamerà la teoria delle catastrofi. Non si tratta della anticipazione, da parte di Bordiga, della teoria stessa: il nome sicuramente deriva dalle critiche che la socialdemocrazia di inizio secolo faceva al 'catastrofismo' di Rosa Luxemburg.
Però Bordiga cita espressamente Peano e si forma nell'ambiente napoletano particolarmente sensibile, a quell'epoca, al legame fra scienze 'umanistiche' e scienze della natura che dello strumento matematico facevano una questione epistemologica che portava alla rottura con l'ambiente accademico dominante. Bordiga quindi impara ad utilizzare il quinto assioma di Peano nell'accezione estesa di Poincaré, con riferimento esplicito al metodo di Marx purtroppo solo accennato nella Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica: ogni forma storica è un trapasso di forma, e ogni nuova forma, contiene, trasformate, le determinazioni della forma precedente e viceversa.
A differenza della logica formale (un cigno è bianco, tutti i cigni sono bianchi, allora il cigno è bianco: ragionamento valido solo sul piano probabilistico, finché non si incontra un cigno nero in Australia), e a differenza del numero delle osservazioni empiriche (il sole è sempre sorto ad Est, continua a sorgere ad Est, quindi sorgerà sempre ad Est), che possono portare a spiegazioni utili dei fenomeni, mai alla loro generale dimostrazione, con l'induzione matematica vi è la possibilità di stabilire la verità di un teorema in una successione infinita di casi escludendo ogni gradazione di certezza dovuta al numero di osservazioni.
Supponiamo, a titolo d'esempio, che una qualsiasi proposizione A risponda ad un criterio di "verità" relativamente al proprio campo di applicazioni e supponiamo che A sia un teorema applicabile al piano euclideo e che reciti: la somma degli angoli di un poligono convesso che abbia n+2 lati è sempre n angoli piatti.
Appare subito evidente come sia impossibile dimostrare empiricamente un simile teorema. Con l'induzione matematica possiamo dimostrare valido il teorema per i casi più semplici e, quindi, per tutti gli infiniti casi successivi.
Il postulato delle parallele di Euclide afferma che per un punto sul piano passa una sola retta che sia parallela alla retta data. Ne consegue che la somma degli angoli coniugati interni (o esterni), formati da una trasversale alle due rette, è sempre pari ad un angolo piatto, cioè a 180°. Corollario di questo teorema è che, se la somma dei coniugati è diversa da 180°, le due rette ad un certo punto si incontrano, formando un triangolo la cui somma degli angoli interni sarà sempre di un angolo piatto, cioè 180°.
Ma vediamo subito che il triangolo è il poligono con il minor numero di lati che sono dati dalle due rette che si incontrano più il segmento della retta trasversale fra di esse compreso. Chiamiamo n il numero dei lati del triangolo e, dopo aver dimostrato che la somma degli angoli interni del triangolo è pari ad un angolo piatto di 180°, potremo scrivere che n-2=3-2=180°. Ma allora, nel caso di un quadrilatero avremo (n+1)-2=4-2=2*180°=360° … e così via.
Questo termine, "e così via", che viene correntemente usato nel comune linguaggio di tutti i giorni, mostra come il principio di induzione matematico sia costantemente presente nella nostra vita senza che se ne abbia chiara consapevolezza. E "così via", infatti, non significa che qui si devono fare empiricamente tutte le successive verifiche per sapere la somma degli angoli interni di un poligono, ad es., di 187 lati. E così via, significa soltanto che è possibile trovare una formula universale per questa classe di problemi che dia sempre una risposta esatta, al di là del numero dei lati del poligono in questione. Nel caso del poligono di 187 lati, la somma degli angoli interni sarà data da (n-2)*180 = (187-2)*180 = 185*180 = 33.300° .
A questo punto ci rendiamo conto che possiamo generalizzare in questo modo: se all'interno della classe di problemi che sto affrontando, la legge è valida per il numero n dei soggetti osservati ed è valida per il suo predecessore n-1, allora è valida pure per il successore n+1. Ma allora abbiamo scoperto una legge invariante per tutti gli infiniti nappartenenti a quella classe di problemi. La conseguenza dunque del ragionamento induttivo (matematico e non empirico) e l'uso del principio di ricorrenza, è questa: se sappiamo che la proposizione A con un numero n qualsiasi (An) è vera, ne consegue la validità di An+1 e dunque ogni successione di A (A1, A2, A3, ecc.) è vera, quindi A è dimostrata.
Da tutto ciò, è evidente che possiamo ricavare la nostra tesi fondamentale: se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n+1. Quel '+1' non sta ad indicare che la storia umana si fermerà al successivo modo di produzione: con quel segno si vuole solamente (e non è certamente poco!) indicare il deterministico superamento dell'attuale società borghese, sottolineando come la nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma.
Marx ci ha insegnato (pur non conoscendo la simbologia moderna) che tale legge va applicata non soltanto nello studio del succedersi dei diversi modi i produzione, ma anche nello studio della formazione del valore all'interno delle differenti sfere di produzione. Non può esserci formazione di valore, quindi merce, senza separazione fra comunità umane diverse: una determinazione del valore è possibile soltanto attraverso il confronto di differenze che debbono essere ricondotte ad un unico criterio di misura e ciò è possibile se nelle comunità diverse esiste un 'metro' uguale per tutti.
Scrive Engels a Pease (27.01.1886): "Le nostre concezioni sulle differenze tra la futura società non capitalistica e la società odierna sono deduzioni esatte basate sui fatti storici e sui processi di sviluppo. Se non sono presentate in stretto legame con questi fatti e questo divenire, esse non hanno alcun valore teorico e pratico".
Ovviamente il metodo che difendiamo è valido non solo per il passaggio da una forma sociale all'altra, ma anche per lo sviluppo interno ad una stessa forma. Dire che in Russia oggi non c'è comunismo, è dire nulla: averlo detto 50 e più anni fa è tutt'altra cosa. La stessa cosa vale per l'odierna Cina: la guerra civile, la 'rivoluzione culturale', Tien An Men, sono episodi di assestamento della società cinese verso la sua forma n matura. Il comunismo n+1 contiene e supera n, per cui, se la nostra proposizione A è la transitorietà di ogni modo di produzione fino al comunismo, tutte le proposizioni della successione devono essere vere, quindi An è dimostrata e n+1, il comunismo, è una realtà necessaria, determinata.
Giunti a questo punto, è importante distinguere la legge generale del succedersi delle forme sociali, dalle leggi particolari interne allo sviluppo di una data forma e sopratutto al suo disgregarsi e salto verso una forma successiva. Col Capitale, Marx non vuole parlare di economia 'in generale'; egli vuole svelare la legge economica della moderna società borghese: quindi cogliere quegli elementi che caratterizzano la forma nuova e che all'interno della vecchia crescono al punto tale da trovare insopportabile l'esistenza racchiusa in quest'ultima.
Questo modo di affrontare i problemi risulta contraddittorio ai più e può essere affrontato solo con la dialettica che è l'unico modo per non impantanarsi in un sillogismo puramente formalistico che vede la concatenazione di cause ed effetti solo sul piano linearmente spaziale e temporale.
È ovvio che per il borghese la dialettica è scandalo perché essa non si lascia imbrigliare da nulla ed è, per essenza critica rivoluzionaria, quindi preannuncio della fine del modo di produzione che gli è proprio.
Non si tratta dunque, nell'analisi della transitorietà della società presente, di catalogare fatti (lavoro indubbiamente utile nella sua fase iniziale) in uno sviluppo spaziale e temporale lineare: si tratta di leggere tutto il complesso delle relazioni tra struttura e sovrastruttura e, su questa base, tracciare la dinamica storica.
Portando ad esempio la Russia, o la Cina attuale, non si tratta si catalogare gli aspetti capitalistici maturi interni a queste società e le forme magari precapitalistiche ancora presenti; non si tratta di fare una somma dei vettori acceleranti lo sviluppo e di quelli frenanti: si tratta di cogliere i nessi, le relazioni, in questo complesso groviglio di soggetti e, da questo, trovare la legge di sviluppo sociale che permette di sancire la maturità o meno del modo di produzione nel suo insieme. Fatto questo: sparare con tutta l'artiglieria teorica sulla mistificazione di un capitalismo che si vuole far passare per socialismo.
Solo spingendoci a n+1, la forma successiva, possiamo criticare la precedente, perché nessun sistema è giudicabile rimanendo rinchiusi al suo interno e le sue contraddizioni risultano evidenti solo passando ad un sistema di potenza superiore .
Marx ricorda che come il fisico studia i fenomeni della natura là dove appaiono nella forma meno disturbata, così egli ha ricavato le leggi del modo di produzione capitalistico là dove si presentavano nella forma più 'pura', ossia l'Inghilterra, perché il paese industrialmente più evoluto non fa che presentare al meno evoluto l'immagine del proprio avvenire. Allo stesso modo, il paese industrialmente più evoluto non fa che presentare a se stesso l'immagine del suo proprio avvenire, con il vulcano della produzione (il lavoro associato) che preme contro la crosta sempre più debole dell'anarchia produttiva e distributiva capitalistica.
Contro dunque ogni volgarizzazione del 'materialismo storico' (Gramsci, ecc.) che tende a sottolineare la importanza del secondo termine rispetto al primo, il marxismo combatte ogni concezione che parli di un preteso 'progresso finalistico dell'umanità', sottolineando invece l'importanza di cogliere quel movimento reale che liberacatastroficamente le forze produttive imbrigliate dalle catene delle vecchie forme di produzione.
Nella teoria di Marx abbiamo dunque: l'insieme dei rapporti di produzione rappresenta la struttura sulla quale poggia una sovrastruttura data da un apparto giuridico e politico, al quale a sua volta corrisponde l'insieme delle idee (consapevolezza sociale) . Questo si riscontra in tutti i fondamentali lavori di Marx ed Engels. In una lettera ad Annenkov (28.12.1846) Marx critica Proudhon ("l'interprete scientifico della piccola borghesia francese [che] accecato dallo splendore della grande borghesia e compassionevole per le sofferenze del popolo, diventa borghesia e popolo al tempo stesso") per la sua incapacità di comprendere le leggi di sviluppo delle transizioni storiche: cosa che gli impedisce di vedere che la società futura è un movimento reale e non un'idea.
La Cina, oggetto di questo libro, è diventato il laboratorio scientifico di una tale contraddizione ('contraddizione in seno al popolo', tanto cara a Mao che, alla maniera di Proudhon, fonde in uno borghesia e popolo allo stesso tempo, al di là di ogni sua professione di marxismo) che ha visto realizzarsi una rivoluzione capitalistica ammantata di socialismo. Lo sviluppo della rivoluzione in Cina riconferma quanto sia fondamentale comprendere che alla base delle 'idee sulla rivoluzione', alla base di ogni struttura ideologica sta il livello della struttura delle forze produttive: la 'rivoluzione culturale' ed il conseguente 'Grande Balzo' esprimono il sussulto ideologico prodotto dalla necessità dell'accumulazione capitalistica di base.
La Cina ha fatto passi da gigante dal 1949 dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo; a ciò sicuramente non corrisponde ancora un ammodernamento della sua sovrastruttura giuridico-politica. Le passate manifestazioni di Tien An Men hanno espresso indicazioni democratiche tipiche dell'Europa del XVIII secolo, ma la comparsa minacciosa del proletariato ai margini della rivolta, ci mostra senza dubbio che le forze produttive incominciano a sentire come catene non solo il capitalismo arretrato, ma il capitalismo in quanto tale.
La Cina, come la Germania ai tempi di Marx, può guardare alla Russia per vedere il proprio futuro; come la Russia, dovrà adeguarsi al dispiegarsi della produzione di massa, della concorrenza, della finanza, ponendo fine pure alla sua arcaica forma di capitalismo di Stato.
L'Asia è una polveriera sociale. Quello che sembra un luogo comune, si misura giorno dopo giorno soprattutto nei grandi centri urbani cinesi – e dintorni – dove ad un polo si accumula la ricchezza sfrenata ed all'altro la miseria più esplosiva. Ed in India si sviluppa un processo che è simile a quello cinese.
L'orecchio occidentale si accontenta di ascoltare le rivendicazioni piò o meno democratiche che salgono da quelle aree. Ma ogni movimento non deve essere analizzato sulla base delle sue grida, bensì sulla base della struttura economica che sta dietro ad esse.
Ormai, irreversibilmente circa tre miliardi di uomini sono stati strappati alle loro condizioni di lavoro; non torneranno più alla terra, alla bottega artigiana, al commercio minuto e, come dice il testo: "Non dovrà essere dubbio allora, se si sarà saputa vincere la battaglia della teoria, che descrivere il capitalismo nella sua profonda essenza come separazione del lavoratore dalle condizioni del lavoro non significa inserire in una scienza passiva una fredda definizione, ma significa, per il comunismo dialettico, lanciare la conseguenza incendiaria per la lotta distruttiva del sistema capitalista".
1 – La dottrina dei modi di produzione valida per tutte le razze umane
La grande serie marxista
Dall'affermazione che il capitalismo in occidente è giunto già, con l'inizio del XX° secolo, alla sua fase imperialistica e si presenta come un cadavere che ancora cammina, non si deve concludere che non interessa più quanto succede in altre arree geostoriche, all'interno di altre società razziali.
Un'affermazione del genere equivarrebbe alla riproposizione del 'popolo (o 'popoli') eletto' e porterebbe ad una delle peggiori forme di nazionalismo e razzismo. Questa elezione di superiorità sarebbe data, per il fideista, da Dio; per il pensiero borghese illuminista questa superiorità sarebbe data a quel popolo che per primo ha scoperto la 'fonte immanente' di quelle 'leggi naturali' che esso avrebbe il compito di far conoscere ad altri popoli.
È cosa da ridere poi presupporre a se stessi una qualsivoglia superiorità razziale, da 'popolo eletto', quando si pensi che in fatto di Dèi, di filosofie, di cultura e di scrittura e perfino di scienza tecnologica, molti di quei popoli 'arretrati' hanno preceduto di millenni non solo gli odierni occidentali (slavi compresi, stalinizzati o meno), ma gli stessi classici greco-romani e le civiltà del vicino oriente.
Il senso del marxismo è quello di distruggere il concetto di 'destino innato' che accompagnerebbe ogni singolo popolo, come si cerca di distruggere la pretesa funzione dell'individuo di fronte ai processi storici: vero battilocchio che tenacemente risorge ad ogni cambiamento di vento storico.
La dottrina del materialismo dialettico e storico non esclude che tutta una serie di altri popoli entrino nel gioco dello sviluppo e della finale chiusura, a livello mondiale, la chiusura del ciclo delle società di classe e quindi la chiusura del ciclo stesso del capitalismo.
Struttura e sovrastruttura
Sottolineare che un popolo è sempre diviso in classi e che lo Stato è un organismo della classe dominante, e che ai comunisti interessano le lotte di classe e non quelle di popoli e di Stati e dei partiti a questi interni (come se tutto ciò fosse una 'semplice' sovrastruttura), è cadere nei discorsi vuoti da presidentello di assemblee di chiacchieroni che amano ascoltare il suono delle proprie parole, non riconoscendo il dinamismo vitale del succedersi storico delle lotte reali.
Dalla lettura di questo lungo percorso storico, è stato possibile da parte del marxismo, classificare in una serie storica e causale di tipi, le particolarità e allo stesso tempo leinvarianti interne a questi tipi, e dunque di elaborare dei modelli di indagine storica.
Non si potrebbe parlare di sistema capitalista (o altro sistema), quindi di un succedersi storico di sistemi economici e politici se non fossimo in grado di elaborare tali modelli in una serie continua formanti un immenso ponte ad arcate multiple tra la forma iniziale del comunismo primitivo e quella finale del comunismo futuro.
La grande "serie" dei "modi" di produzione
Non temiamo di essere derisi, per questo nostro metodo, dai diretti avversari borghesi: più preciso sarà il tentativo dei nostri avversari di scoprire dei nostri errori, più saldo diventerà questo nostro strumento. Lasciamo pure ai revisionisti che vogliono porsi nel mezzo, il balbettio consistente nel pretendere di ritenere proprio il metodo marxista di partenza, senza accettarne le conclusioni che per noi, grazie ai nostri modelli, sono date dalla ricca fecondità storica di urti di classi e Stati che proviene dai popoli di colore, di fronte alla passività ed alla degenerazione sociale presente all'interno delle società bianche.
Quanto diciamo, possiamo rafforzarlo con pagine e pagine delle opere di Marx, ma qui faremo riferimento particolarmente ai Grundrisse e precisamente al capitolo Forme che precedono la produzione capitalistica. In tale capitolo, il 'mago' svela con tratto preciso il modo con cui gli uomini vivono la loro storia, nonché la contraddizione fra le forze produttive ed i rapporti di produzione.
Ed è grazie a questo lavoro che Marx dimostra il teorema dell'invarianza, col quale scolpisce i connotati della futura società comunista che desume da quella borghese, e dimostra la derivazione di questa da quelle passate. Non può accampare pretesa di chiamarsi dialettico e marxista chi non sa leggere, ogni qualvolta si discute del passaggio da precapitalismo a capitalismo, i taglienti enunciati del passaggio da capitalismo a comunismo.
Il meraviglioso disegno
Per la descrizione del comunismo, non abbiamo bisogno di arrivare oggi a chissà quali scoperte: si rida finché si vuole (da parte della borghesia e di ex-marxisti che hanno trovato una loro nicchia all'interno di questa società), ma da parte nostra non abbiamo paura di affermare che dal 1858 sappiamo tutto.
Lo enunceremo in modo schematico. Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n+1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma. Neghiamo che in futuro possa presentarsi una forma intermedia fra capitalismo e comunismo e che la nostra diventi dunquen+2; combattiamo dunque questa specie di 'intermedismo' che si presenta nelle sue due forme: stalinista, secondo la quale il socialismo può presentare le categorie di mercato-moneta-salario, e trotzkista, secondo la quale n+1 sarebbe caratterizzato dal 'potere della burocrazia'.
Questo principio della unicità della serie storica vale a condannare la possibilità che questa possa svilupparsi a livello nazionale, passando da n-1, a n, a n+1, ossia dal precapitalismo, al capitalismo fino al comunismo. Allo stesso tempo, essa serve a rifiutare la posizione di quanti negano importanza alle lotte di liberazione dei popoli di colore, condannandoli alla passività ed all'attesa dello sviluppo della 'patria russa del socialismo', passando da n-1 ad n+1, improvvisando dal nulla la lotta fra la classe dei salariati e quella dei borghesi. Dal tempo delle prime rivoluzioni borghesi, oggi constatiamo che il modo di produzione capitalistico si è grandemente sviluppato nel mondo intero. Quindi, quella che abbiamo sempre chiamata doppia rivoluzione, vale a dire rapido passaggio da n-1 ad n, fino ad n+1, si presenta come una probabile eventualità storica, come a suo tempo si è presentata in Russia, ma la sua realizzazione è condizione internazionale. In mancanza di questa ultima condizione, la rivoluzione in Russia è stata costretta a fermarsi alla rivoluzione borghese, ossia al passaggio da n-1 a n.
Non potendo in questa fase storica attendersi (anni '50) una rivoluzione comunista internazionale, i paesi pre-capitalistici che si apprestano a condurre una lotta verso la forma borghese, saranno costretti a fermarsi al livello della rivoluzione nazionale, essendo il proletariato, qui come in Occidente, assente come classe.
Per lo sviluppo di una situazione con diversi connotati di classe, dovremmo trovarci di fronte: a) una critica radicale dei limiti del programma nazionale borghese, b) una organizzazione del proletariato completamente indipendente da qualsiasi partito della borghesia e c) inserire nel proprio programma per il comunismo, l'obbiettivo della rivoluzione nazionale e anti-imperialista, come indicato dal II congresso del 1920.
Addurre la rivalità fra imperialisti per non appoggiare le lotte dei popoli colorati è discorso da scemi, ed equivale a condannare il disfattismo di Lenin di fronte alla prima guerra mondiale: opportunismo classico, smaccato!
Pagine classiche
Fin dal Manifesto dei Comunisti si ricorda che con la scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa e il grande sviluppo delle più diverse rotte oceaniche, vi è stato un vertiginoso aumento del commercio mondiale che ha portato alla rapida decadenza dell'aristocrazia feudale ed all'emergere prepotente di una borghesia industriale e commerciale. Questa, con il giganteggiare mondiale della produzione e della circolazione delle merci e con l'artiglieria pesante dei bassi prezzi delle proprie merci, travolge ogni resistenza ai propri esclusivi interessi e costringe le nazioni ed i popoli 'barbari' ad accettare la propria civiltà borghese. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.
Il fatto che questi 'barbari' siano inizialmente costretti a capitolare di fronte alla forza dei paesi colonialisti, vede in ogni caso i comunisti alleati non con il borghese bianco, ma con il combattente colorato.
Fin dal 1848, la posizione del marxismo è chiara: la società borghese possiede troppa ricchezza, troppa civiltà, troppe merci; le sue forze produttive premono contro i rapporti di produzione e, per superare le proprie crisi, la borghesia è costretta a trovare risorse nuove nei paesi sottoposti a sfruttamento coloniale.
Per tale motivo, il braccio levato contro l'oppressione coloniale, sia pure armato di una semplice zagaglia del Mau-mau, è di un fratello del proletariato comunista.
Le pagine centrali del Capitale
È tesi della borghesia che il lavoro salariato sia sempre esistito e che il suo modo di produzione capitalistico sia indispensabile per la liberazione finale dell'umanità.
Nel suo magistrale capitolo del Capitale, a proposito de La cosiddetta accumulazione originaria, Marx dimostra come, per sorgere, il capitalismo abbia avuto bisogno di una violenza senza uguali nella storia. Non solo: nell'ultimo paragrafo su La tendenza storica della accumulazione capitalistica, egli dimostra come questa forma sia destinata storicamente a lasciare il posto alla forma comunista.
Il fatto che Marx studi soprattutto lo sviluppo del capitalismo inglese, non significa affatto che egli abbia costruito un modello valido esclusivamente per il Capitale dell'isola. In realtà Marx indica, con il suo lavoro, il passaggio inevitabile attraverso il quale tutti dovranno prima o poi passare ed il modello che si ricava dalla sua opera diventa il modello del capitalismo di qualsiasi paese e, per estensione, mondiale.
Marx osserva il passaggio dal pre-capitalismo al capitalismo attraverso due grandi fasi storiche: 1) formazione di un mercato interno con lo sviluppo di un proletariato nazionale e 2) formazione del mercato mondiale attraverso il soggiogamento forzato delle popolazioni di oltremare. Ma quando descrive queste fasi, Marx, ossia il partito comunista, dialetticamente si pone al fianco del piccolo produttore espropriato, delle popolazioni coloniali asservite ed oppresse.
Il rovesciamento del passato
I compagni dunque devono imparare a leggere, nello scritto di Marx, il programma del partito rivoluzionario che si svela di botto una volta per tutte. Il movimento storico che trasforma i servi della gleba in salariati, si rende possibile quando questi vengono espropriati di qualsiasi mezzo di produzione e sono costretti a vendere la loro forza lavoro per vivere. La storia della loro 'liberazione' è scritta negli annali dell'umanità a lettere indelebili di sangue e di fuoco, e queste 'lettere' passano per il culmine dell'azione dello Stato. Con l'aiuto della macchina dello Stato – senza il quale la borghesia nascente nulla potrebbe – è stata conquistata la terra per l'agricoltura capitalistica, incorporato il suolo al Capitale, e creato per le industrie delle città l'offerta necessaria di un proletariato senza focolare né tetto, che impara ad accettare la sua condizione di nuovo schiavo, al fine di favorire l'accumulazione del Capitale.
Con l'espropriazione dei contadini, viene distrutta l'economia domestica e quanto serve ai bisogni va trovato ormai sul mercato interno e soddisfatto dalla produzione capitalistica.
I crimini borghesi di oltremare
Data una base stabile al mercato nazionale, l'esuberanza del Capitale si spinge oltre le frontiere verso una colonizzazione e spoliazione delle Americhe, dell'Africa, i cui abitanti sono resi schiavi (particolarmente quelli dell'Africa), ed intere popolazioni sono distrutte: questi sono gli idillici processi dell'accumulazione originaria capitalistica.
Lo sviluppo della produzione e circolazione di merci porta allo sviluppo della guerra mercantile fra nazioni che ha per teatro il mondo intero. La serie dello spostamento della potenza imperialistica vede Portogallo, Spagna, Olanda, Francia, Inghilterra. In tutto questo movimento si può vedere la costante ed indispensabile presenza della violenza organizzata dello Stato; e qui si mostra come tale violenza sia la levatrice di ogni società nuova presente in quella vecchia: essa stessa è una potenza, un vero agente economico.
Le feroci imprese del colonialismo sono sempre state denunciate da Marx e da allora il partito rivoluzionario comunista fa proprio il movimento anticolonialista dei popoli di colore.
Il monopolio della Compagnia inglese delle Indie, imponendo piantagioni utili al proprio commercio, portarono all'impoverimento delle popolazioni locali e in molti casi a vere e proprie carestie. Nel caso di territori quali l'America, l'Australia e il Sud-Africa, si favorì una forte migrazione di coloni bianchi con il contemporaneo sgomberò delle popolazioni indigene sottoposte a vere e proprie stragi (vedi spagnoli e portoghesi in Sud-America e inglesi e francesi in Nord-America). Qui, il carattere cristiano dell'accumulazione primitiva si mostra sempre evidente (Marx): gli indiani d'America, non essendo compresi nei tre grandi ceppi descritti dalla Bibbia, non erano esseri umani e non avevano un'anima e per tal motivo li si poteva scalpare senza timore di peccato.
In breve, con la ferocia più inaudita, il sistema coloniale sviluppò la navigazione oceanica e pose le basi della rete del commercio mondiale; drenò ricchezze da ogni area geografica del mondo verso i centri dell'accumulazione del capitale (primo fra tutti l'Inghilterra) e, nello stesso tempo che in Inghilterra si introduce la schiavitù salariata dei bambini, negli Stati Uniti diventa sistema corrente il lavoro degli schiavi neri (con importazione forzata dall'Africa) nelle piantagioni.
Marx attese la rivoluzione dalla Cina
Fin da Marx ed Engels (non solo da Lenin dunque) si pone nell'unico programma rivoluzionario e la lotta del proletariato contro la propria borghesia e la lotta dei popoli di colore contro l'azione colonialista della stessa.
Nelle Neue Rheinische Zeitung del febbraio 1850, Engels ricorda il missionario cristiano Gutzlaff che era tornato in Europa al tempo della rivolta dei Tai-ping, dopo una sua trentennale presenza in Cina. Questi, sentendo della dottrina del socialismo in Europa, esclamò che erano le stesse 'perniciose' rivendicazioni che aveva sentito in Cina. Engels descrive nelle sue grandi linee questo movimento cinese, ponendo in rilievo l'origine economica dei moti rivoluzionari il cui processo è fatto storico che si verifica in pieno anche in quel lontano popolo che si spinge fuori da millenarie immobilità. "È un fatto confortante che il più antico ed irremovibile impero della Terra sia stato posto nello spazio di otto anni dalle balle di cotone della borghesia inglese alla vigilia di una rivoluzione sociale che deve assolutamente avere le conseguenze più importanti per la storia della civiltà" ed è augurabile che si possa leggere ben presto, per chi voglia entrare in Cina per le porte della Grande Muraglia: "Repubblica Cinese – Libertà, Eguaglianza, Fraternità".
Fra il 1853 e il 1860 vengono pubblicate sul New York Herald Tribune otto lettere di Marx sulla Cina. In esse si trova la denuncia della prima guerra dell'oppio (1839-1942) condotte dall'Inghilterra per imporre alla Cina il sistema della 'porta aperta' e cioè, oltre a Canton, aprire alla navigazione inglese i porti di Amoy, Fu-chow, Ning-po e Shanghai, cedendo Hong Kong all'Inghiltera che ne fece una colonia.
Nel 1850 comincia il grande movimento dei Tai-ping che conquistò diverse province ed ebbe come capitale Nanchino dal 1853 al 1864. La loro legge agraria di contenuto comunista – ben oltre rispetto a quanto farà il moto di Mao Tse-tung – non ammette spartizione, né in proprietà né in esercizio: "Tutta la terra che è sotto il cielo dovrà essere coltivata da tutto il popolo che è sotto il cielo … che la coltivino tutti insieme e quando raccolgono il riso che lo mangino insieme".
Nel 1856 l'Inghilterra e la Francia cominciano la seconda guerra dell'oppio che si conclude provvisoriamente con la firma del trattato di Tien-tsin, per riprendere subito dopo con la conquista e il nuovo trattato di Pechino.
A questo punto, un esercito congiunto degli europei e dell'imperatore cinese, schiaccia definitivamente il movimento dei Tai-ping ed entra a Nanchino.
La prima lettera di Marx
In questa prima lettera – Rivoluzione in Cina e in Europa, del 14 giugno 1853 – Marx afferma che può sembrare un'assurdità, ma è molto probabile che un movimento rivoluzionario in Europa possa svilupparsi a seguito di quanto succede in Cina, più di quanto possa provocare una generalizzata guerra europea.
Nella sua analisi, Marx osserva che la rivolta dei Tai-ping è stata provocata dal cannone inglese che ha imposta alla Cina il commercio dell'oppio. Fino al 1830 la bilancia commerciale cinese era in attivo, grazie alle esportazioni di tè e derrate alimentari principalmente verso India, Inghilterra, Stati Uniti ricevendo in cambio valuta pregiata, soprattutto argento. L'imposizione, col cannone e con la corruzione dei funzionari imperiali, del commercio dell'oppio da parte del capitalismo inglese inverte il rapporto e l'argento comincia a defluire verso l'Inghilterra.
Con l'oppio cominciano ad invadere la Cina i tessuti inglesi, prodotti da un'industria che in quegli anni ha avuto uno sviluppo straordinario dovuto ad una rivoluzione borghese che ormai si è saldamente piantata nella madrepatria, e questi porteranno alla rovina la piccola industria tessile e l'artigianato locale.
Va ricordato che nel 1857 l'industria inglese vive una grave crisi di sovrapproduzione e per essa diviene vitale la fine dell'isolazionismo cinese con conseguente drenaggio del suo argento verso l'India (e quindi l'Inghilterra) dove vi è un grande sviluppo delle piantagioni di papavero, ovviamente sempre imposto dagli inglesi.
La cosa fondamentale in questa lettera del 1853 è il legame causale fra la rivoluzione in Cina ed il sollevamento in Europa: le rivoluzioni nasceranno in Europa solo in seguito a potenti crisi industriali, commerciali e finanziarie e tale segnale verrà principalmente dall'Inghilterra.
Oggi (si scrive negli anni '50) si parli pure del mondo capitalistico dominato da America, Inghilterra ed Europa e ben venga la mina che lo farà saltare da qualunque angolo del mondo di colore, infestato dai predatori e massacratori bianchi!
Originalità integrale del marxismo
Non ci sono particolari novità da scoprire. Già col Manifesto "i comunisti appoggiano ogni moto diretto contro le condizioni sociali esistenti". Tale discorso non è valido solamente per i paesi capitalisticamente maturi (a quel tempo, sul territorio europeo, si parlava di Inghilterra e Francia), dove si presenta la possibilità della lotta diretta del proletariato contro la borghesia, ma anche per quei paesi dove deve ancora compiersi una rivoluzione borghese antifeudale.
Quello che valeva per l'Europa fino al 1871, rimane valido oggi per quanto riguarda Asia e Africa, retti da forme statali precapitalistiche.
In ogni caso, va sottolineato un dato di base comune. Non si tratta soltanto del concetto di rivoluzione in parmanenza, cioè appoggiare le lotte rivoluzionarie della borghesia per poi, sull'onda della possibile vittoria, girare le armi contro l'alleato di ieri; e nemmeno basta sapere, che la borghesia sarà pronta a massacrare i proletari al fine di impedire la permanenza delle ondate rivoluzionarie. L'elemento essenziale è dato dalla funzione primaria del partito che, nella permanenza del moto rivoluzionario, pur nel momento in cui sceglie gli alleati del proletariato, non nasconde mai la sua critica e i suoi scopi. "Mai i comunisti nasconderanno i loro scopi".
Questa dottrina esiste fin dal 1848, dove le basi programmatiche del partito di classe sono date in blocco con pieno carattere internazionale, con l'Inghilterra patria delle lotte economiche, la Francia della lotta politica, e la Germania patria della sintesi teorica.
Nel periodo 1918-'20, la lotta, armi alla mano, non ha raggiunto gli scopi finali ed in questo dopoguerra il movimento del proletariato non è che una immensa fogna di opportunismo.
La ripresa sarà possibile quando il proletariato farà proprio il programma del comunismo, ossia farà propria la finalità dell'uomo-sociale comunista e si organizzerà dunque in partito politico che sarà l'anticipazione dell'uomo-società, rappresentando la morte di ogni individualismo. Definiamo il partito: proiezione nell'oggi dell'Uomo-Società di domani.
Fine della società non è la produzione, ma l'Uomo
Nei Grundrisse Marx scrive che presso gli antichi non vi è tanto la ricerca su quale sia la migliore forma di proprietà per aumentare le ricchezze, quanto quale sia la migliore forma per formare i migliori cittadini dello Stato. La ricchezza appare come fine a se stessa soltanto presso popoli di navigatori o mercanti (Fenici, Cartaginesi, ecc.). Oggi – continua Marx – da una parte la ricchezza è Oggetto che si contrappone all'uomo in quanto Soggetto, dall'altro è imperio sul lavoro altrui non per dominare la natura, ma per il fine di consumo privato di taluni uomini: "Pertanto l'antica concezione per cui l'uomo […] è lo scopo della produzione, appare molto più elevata che quella del mondo moderno, in cui la produzione è lo scopo dell'uomo, e la Ricchezza lo scopo della Produzione".
A questo punto, dichiarata la superiorità della sovrastruttura ideologica del mondo antico sulla moderna, Marx contrappone al capitalismo non l'antichità classica ma la 'nostra' società comunista: "in effetti, una volta che sia disfatta la limitata forma borghese, che mai sarà più la ricchezza se non la universalità dei bisogni, delle capacità, delle gioie, delle forze produttive, ecc., degli uomini, che sarà prodotta nelle loro relazioni universali?". Ancora: "Nella economia borghese e nell'epoca della produzione che ad essa corrisponde, la espressione totale dell'attività dell'interno umano appare invece come completa alienazione. […] È perciò che l'ingenuo mondo antico, da una parte appare più elevato. D'altra parte esso presenta questa superiorità ovunque si consideri una forma, una figura chiuse [popolo romano, polis ateniese] e una determinata limitazione. Esso è soddisfazione da un punto di vista limitato [lavoro dell'uomo avente per fine non la produzione, ma l'uomo stesso], laddove il mondo moderno lascia insoddisfatti; e quando appare di se stesso soddisfatto, allora esso è triviale!".
Passi la nascente civiltà borghese, perché ha il suo posto nella totalità dello sviluppo, ma porti con sé dalla culla l'epigrafe tombale che la nostra dottrina le incide, in segni indelebili.