Per comprendere il periodo che andremo ad analizzare è necessario tenere presente le peculiarità geostoriche che contraddistinguono l'Italia, una su tutte quella di essere il capitalismo più vecchio del mondo. Nella penisola ogni residuo di feudalesimo viene spazzato via secoli prima dell'avvento dell'unità nazionale; anche per questo il periodo che la storiografia ufficiale inscrive tra il Congresso di Vienna, 1815, e la proclamazione di Roma capitale d'Italia, 1871, si configura come un mix di rivoluzione e controrivoluzione, in cui si accende la contrapposizione tra le diverse componenti di classe coinvolte nel processo di unificazione nazionale.
Nel dipanarsi dello scontro è a volte difficile tracciare una linea netta che separi le istanze rivoluzionarie borghesi da quelle comuniste. Ciò è dovuto alla maturità dei rapporti sociali in Italia, capitalistici da mille anni. Marx descrive con efficacia la realtà italiana e le potenzialità del suo proletariato:
"In Italia, dove la produzione capitalistica si sviluppa prima che altrove, anche il dissolvimento dei rapporti di servitù della gleba ha luogo in anticipo sugli altri paesi. Qui il servo della gleba viene emancipato prima ancora di essersi assicurato un qualsiasi diritto di usucapione sulla terra, cosicché la sua emancipazione lo trasforma immediatamente in proletario nudo e crudo, che, per di più, trova già pronti i suoi nuovi padroni nelle città quasi tutte tramandatesi dall'epoca romana" (Il Capitale, vol. I, L'accumulazione originaria)
È in tale contesto geostorico che cominciano a porsi rivendicazioni di classe che vanno ben oltre i programmi di sistemazione nazionale di Cavour o Mazzini, e maturano le posizioni dei rivoluzionari italiani, molti dei quali lottarono non solo con parole e scritti ma impegnandosi anche sul piano militare.
È il caso di Carlo Pisacane e Carlo Cattaneo, entrambi capaci, seppur in modo diverso l'uno dall'altro, di spingersi oltre i confini dell'epoca in cui vissero. Il primo fu considerato dalla nostra corrente un significativo precursore del movimento socialista, il secondo rappresentò la più lucida espressione della rivoluzione borghese lungo tutto il Risorgimento, esprimendo anch'egli tesi di frontiera. A queste due importanti figure se ne contrapposero altre, ambigue, quelle della rivoluzione nazionale "dall'alto". Ad esempio Mazzini, la cui attività politica impregnata di idealismo fu influente non solo nella rivoluzione nazionale ma giunse fino alle soglie della Prima Internazionale. O Garibaldi, buon soldato e anche stratega elogiato da Engels, disposto a combattere per la Comune, ma trattato da Marx come "asino politico" per la sua propensione a un socialismo idealista e romantico. Oppure ancora Bakunin, che si scontrò, sì, con Mazzini ma successivamente anche con Marx, rompendo con il Consiglio generale di Londra e inventando l'anarchia.
Questi rapporti si svilupparono nel crogiolo italiano risorgimentale sullo sfondo di una borghesia putrefatta prima ancora di essersi data uno Stato. Ma lo sviluppo dell'industria e del proletariato favorivano intanto la critica del "movimento reale" contro le sopravvivenze del passato. La Plebe, periodico socialista diretto da Bignami, cominciava a diventare un punto di riferimento internazionale, il primo embrione di un nucleo marxista in Italia. Da quel momento fino alla degenerazione staliniana, la storia del socialismo "italiano" fu la storia della Sinistra Comunista.
Ci preme inoltre sottolineare che la lotta tra correnti e partiti che andremo qui ad approfondire e che a volte prende il nome di singoli uomini, è in realtà il riflesso di una lotta titanica tra modi di produzione. I grandi e piccoli scontri tra le varie componenti sociali sono il prodotto dello scontro fra la vecchia società che sta morendo e la nuova che sta emergendo. Se non si capisce questo, battaglie, guerre e biforcazioni storiche sono declassate a misera contesa politica.
La forza dell'associazione: Carlo Cattaneo
Uno dei protagonisti del Risorgimento italiano fu indubbiamente Carlo Cattaneo. Conosciuto per lo più per il ruolo di guida svolto, suo malgrado, durante l'insurrezione di Milano, egli è fautore di istanze rivoluzionarie, capaci di oltrepassare il paradigma borghese. Fin dai suoi primi scritti elabora una linea teorica tesa a mostrare la necessità dell'associazione, non solo in termini federalisti, ma anche in un'accezione molto più ampia comprendente l'intero spettro delle attività umane.
Questo tipo di approccio si può vedere all'opera già ne Il Politecnico – Repertorio mensile di studj applicati alla prosperità e coltura sociale, che Cattaneo fonda a Milano nel 1839 e che diventa ben presto un faro per la borghesia, non solo milanese. Il giornale si presenta come una rassegna di studi originali e recensioni approfondite sugli argomenti più disparati, dalle scienze esatte alla critica letteraria, ed ha l'intento di favorire il progresso tecnico-scientifico dei suoi lettori in tutti settori della conoscenza. L'impostazione rivela l'influenza esercitata da Giandomenico Romagnosi, importante esponente del positivismo italiano e deciso assertore dell'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali, che Cattaneo conosce a Milano negli anni '20 quando frequenta le sue lezioni di Diritto.
Nel 1848, con l'esplosione della Primavera dei Popoli, Cattaneo si trova coinvolto nel movimento generalizzato contro i vecchi assetti politici e sociali che scuote l'Europa. La rivolta scoppia a Milano tra il 18 e il 22 marzo: la popolazione milanese si solleva contro i dominatori austriaci e sfida le truppe del comandante Radetzky asserragliate nel Castello Sforzesco, le quali infine saranno costrette ad abbandonare la città. Ma la vittoria è breve e la liberazione dagli stranieri è fatto temporaneo; di lì a poco infatti, con la sconfitta nella prima guerra d'Indipendenza, Milano tornerà sotto il dominio austriaco.
Nel saggio Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra (1849) Cattaneo esprime una visione lucida dello svolgimento dei fatti.
Durante l'insurrezione egli è a capo del Consiglio provvisorio di Guerra degli insorti. La sua posizione democratico-rivoluzionaria si scontra con quella moderata della Congregazione municipale che, sotto la guida del podestà Gabrio Casati, raccoglie nobili e patrizi e spinge per la collaborazione con i sabaudi e l'annessione al Piemonte. Cattaneo ritiene che l'atteggiamento tenuto dai signori della città abbia determinato la sconfitta, poiché il partito dei servili - così li definisce -, intimorito dalla possibilità che la sollevazione venisse diretta da una componente popolare e volontaria, e dalla prospettiva di sconvolgimenti rivoluzionari, non aveva favorito bensì boicottato la lotta anti-austriaca nel tentativo di preservare fino all'ultimo gli equilibri preesistenti.
I caduti delle Cinque Giornate sono ricordati da Cattaneo sull'Italia del Popolo con il Registro mortuario delle barricate in Milano, dove riporta un lungo elenco di artigiani, operai e piccoli commercianti morti sulle barricate.
Stabilitosi in Svizzera, nel Canton Ticino, Cattaneo tiene, tra il 1859 e il 1866, cinque lezioni al Regio Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti, che si tradurranno qualche tempo dopo nel saggio Psicologia delle menti associate. Collocandosi a metà strada tra positivismo e materialismo storico, nel testo egli delinea il canone di una "filosofia civile" capace di cogliere l'interrelazione tra gli eventi italiani e quelli europei; e indica come finalità del movimento politico in corso in Italia non solo l'indipendenza nazionale, ma anche l'avanzamento sociale ed economico della società intera attraverso l'associazione/cooperazione.
Psicologia delle menti associate
Già a partire dal titolo, il saggio lascia presagire la peculiarità del pensiero di Cattaneo. Egli infatti vuole qui dimostrare che lo studio dei popoli e degli individui deve partire non tanto da ciò che essi dicono o pensano, ma da ciò che fanno. Conviene perciò studiare quanto producono collettivamente:
"A me parve sempre che l'inefficacia dei nostri studii si debba al metodo prediletto ai fondatori della Psicologia. Essi per conoscere le umane facultà presero a scrutarle nel senso intimo, nella coscienza, nell'io. Ma parve a me che per apprezzar l'artefice convenisse studiar le opere, che per conoscere le facultà, ossia le attitudini a fare convenisse studiare i fatti ch'esse compiono veramente; che pertanto convenisse perlustrare tutto il circuito delle scienze fino al punto più eccentrico delle loro scoperte, e vedere di quali facultà si potesse discernere in esse lo speciale intervento."
Compito della "scienza nuova" è quindi di indagare la storia, alla ricerca di quei principi costanti che fanno presupporre l'esistenza di leggi. E per fare ciò è necessario appropriarsi di un metodo storico e dialettico che permetta di analizzare i rapporti di produzione. La citazione sopra riportata non ci stupisce, alcuni anni prima Marx ed Engels scrivevano ne L'ideologia tedesca:
"Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione."
Se Cattaneo da una parte mette sotto accusa lo studio della storia dell'uomo basata sull'indagine psicologica dei tanti "io" che l'hanno incarnata, dall'altra riconosce il ruolo determinate svolto nel processo di sviluppo della società umana da quelle forze interne a ogni individuo, slegate dalle idee ma potentissimi coefficienti di ogni lavoro scientifico:
"Considerate l'istinto. L'istinto è la facultà di compiere certi atti senza previa cognizione. L'istinto è l'azione senza l'idea. È una facultà che per ciò appunto può dirsi estrania all'intelletto. Eppure molti degli istinti nostri non possono dirsi superflui ed indifferenti alla complessiva elaborazione del nostro sapere."
Il ragionamento di Cattaneo è lineare: se dalla notte dei tempi riusciamo a produrre in maniera associata, vuol dire che esiste una forza innata, un istinto appunto, che spinge all'associazione tra gli uomini. E l'avanzamento della scienza non è opera delle facoltà solitarie di un uomo, bensì delle facoltà associate di più individui e di più popoli collegati tra loro nello spazio e nel tempo:
"È dunque una necessità della costruzione scientifica ch'essa surga nel seno d'una società, anzi di molte società, dimodoché al mancar dell'una per qualche avversità l'opera possa venir continuata da un'altra. All'elaborazione della scienza non basterebbero dunque tutte le facultà dell'intelletto, se l'uomo non fosse già per istinto di natura un essere socievole, s'egli avesse, non l'istinto del castoro, ma quello dell'aragno il quale abita solitario nel centro della sua tela. Ecco dunque l'istinto entrare nell'opera scientifica come un necessario coefficiente."
Dunque, istinto alla cooperazione. Ma non solo. È necessario infatti un altro importante coefficiente di sviluppo, e cioè l'imitazione, quella capacità tipicamente umana di copiare il comportamento di altri individui o di altri gruppi quando questo venga ritenuto conveniente.
"La sensazione nell'essere umano non è dunque un nudo scontro del soggetto cogli oggetti, non è un fatto puro; fin da' suoi primordii è un fatto sociale. Nel cieco nato che legge la parola colle dita, nel sordomuto che legge la parola sui moti delle labbra, una sensazione artificiale, ch'è già una tarda invenzione della società, supplisce all'incompleta sensazione naturale."
Il selvaggio ha sensazioni limitate e conosce solo il territorio in cui vive; l'istinto, all'associazione e all'imitazione, lo spinge a mettersi in relazione con la società e ad attingere informazioni dalla conoscenza generale. In questo senso, il tesoro di sensazioni rappresentato dal sapere della specie è un dono che la natura ci porge per mezzo della società, e attraverso di essa l'uomo ha la possibilità di conoscere molto più di quanto gli stia attorno, accedendo a un sapere universale.
Nel 1844 Marx scrive nei Manoscritti economico-filosofici:
"Anche quando io esplico soltanto un'attività scientifica, attività che io raramente posso esplicare in comunità immediata con altri, io esplico un'attività sociale, perché agisco come uomo. Non soltanto mi è dato come prodotto sociale il materiale della mia attività – come la stessa lingua di cui lo scienziato si vale per esplicare la propria attività -; ma è un'attività sociale la mia stessa esistenza, onde quel che io faccio da me, lo faccio da me per la società e con la coscienza di essere un essere sociale."
Sono molte le affinità con gli scritti di Marx ed Engels che si possono trovare nel testo di Cattaneo. Già nel titolo, come si faceva notare più sopra, cogliamo il legame con l'idea di cervello sociale elaborata nei Grundrisse. A chi possa sembrare eccessivo affiancare il borghesissimo Cattaneo ai due famosi teorici del comunismo, ribadiamo che non siamo di fronte alle elaborazioni di individui isolati, ma al risultato di spinte generali che attraversano l'intera società del periodo e di cui ritroviamo l'influenza in diverse correnti di pensiero.
Continua il Cattaneo:
"Così dalla vaga, incerta, spesso contradittoria sensazione individuale, sorge a poco a poco la sensazione sociale e scientifica che rappresenta l'ordine dell'universo."
L'associazione tra uomini porta alla formazione di un qualcosa di nuovo capace di travalicare i singoli individui che compongono la società; il "progresso" scientifico ne è il frutto. Attraverso di esso l'uomo associato riesce a dotarsi di nuovi sensi (il telegrafo, il microscopio, ecc.) tendendo a uno sviluppo extra-organico. Il lavoro di più cervelli permette l'atto di analisi: esso separa in più parti che successivamente riunisce per giungere a sintesi. L'analisi scientifica è quindi l'atto più sociale degli uomini e per questo la filosofia "deve proporsi uno studio fondamentale: l'analisi della libera analisi", deve cioè capire come l'uomo fa a capire.
E' questa la base teorica da cui Cattaneo parte per spiegare il divenire della società umana, storia in cui lo sviluppo della conoscenza arriva a un limite dato da un vincolo di classe. Facciamone un breve riassunto.
Le più grandi aggregazioni di popoli hanno luogo in Oriente lungo i grandi fiumi, dove condizioni geografiche particolari facilitano l'avvento dell'agricoltura e della pastorizia. La stanzialità favorisce la coltivazione e genera un surplus. L'eccedenza, a sua volta, permette ad una componente della società di autonomizzarsi dal corpo sociale, cosicché il tempo libero dei pochi può essere dedicato all'ozio per lo studio (otium studio, come scrive Cicerone, riposo e pensiero). Lo sviluppo della forza produttiva sociale fa sì che tra genti e popoli diversi non solo si scambino prodotti ma pure idee e invenzioni, e quando una di queste ha effetti dirompenti essa si propaga velocemente da un posto all'altro, globalizzando la conoscenza.
Con lo sviluppo della divisione sociale del lavoro, la scienza si diffonde in tutta la società. Ma essa non è ancora libera:
"L'analisi si estende e fra i signori e fra i servi; ma non è libera; i potenti segnano un limite agli altri; segnano un limite a sè stessi; l'analisi diviene nuovamente preordinata e fatale. La potenza dunque, senza avvedersi, segna un limite alla potenza. È il fatto odierno della Russia, dell'Austria, della Francia stessa e dell'Italia."
Nel caso della società italiana, il vincolo politico che limita lo sviluppo dell'analisi e quindi l'avanzamento scientifico, sociale e civile, è rappresentato dalla dominazione dell'Austria sulla Lombardia e sul Veneto.
Divisione del lavoro e libera analisi portano all'articolazione della conoscenza in diverse branche (chimica, fisica, medicina, ecc.): l'analisi universale si compie grazie all'opera d'innumerevoli studi particolari.
"Oramai non dobbiamo curarci di rinvenire tra le reliquie del mondo fossile l'unità primordiale del genere umano. Da dovunque egli sia venuto il genere umano procede alla libera unità del pensiero."
Trova qui esplicazione teorica l'intento, e il nome, del Politecnico: farsi precursore e operare la riunificazione delle scienze, delle arti e del sapere. Scrive Marx nei Manoscritti del 1844:
"La scienza naturale sussumerà in un secondo tempo sotto di sé la scienza dell'uomo, allo stesso modo che la scienza dell'uomo sussumerà la scienza della natura: allora ci sarà una solo scienza."
Psicologia delle menti associate si conclude proprio con un ricordo legato al Politecnico, e cioè con la risposta "ad una cortese inchiesta che l'onorevole Matteucci, allora ministro, mi faceva sulla riforma da lui proposta per gli studi scientifici in Italia". Ovviamente per Cattaneo il principio da seguire è quello della divisione tecnica del lavoro: affinché non vengano mai proposti nelle diverse università identici programmi se non per le sole scienze generali e necessarie, ognuna di queste dovrebbe istituire propri insegnamenti speciali, a cui "si potrebbe aggiungere una relativa appendice militare; perché ad ogni più alto pensiero la gioventù deve sempre intessere un pensiero di guerra, come il popolo che rialzando dalle ruine la sacra sua città: unâ manu faciebat opus et alterâ tenebat gladium (Esdra, XI, 4)".
Le diverse branche del sapere formerebbero così l'università totale, l'universitas studiorum.
Carlo Pisacane
Tra le figure più affascinanti del Risorgimento, Carlo Pisacane rientra a pieno titolo tra coloro che si fanno interpreti delle istanze rivoluzionare socialiste del periodo. Oggi spesso strumentalizzato da più parti, vedremo attraverso i suoi scritti che egli si scagliò con decisione contro il capitalismo e la società borghese.
Pisacane nasce a Napoli nel 1818 da una famiglia aristocratica decaduta, e all'età di dodici anni viene avviato, insieme al fratello, alla carriera nell'esercito. Raggiunti i trent'anni diventa refrattario e insofferente all'ambiente militare e aristocratico borbonico; fugge da Napoli e con la sua innamorata Enrichetta, compagna di tutta la vita, si trasferisce in un primo tempo a Marsiglia per poi spostarsi a Londra e Parigi. Nella capitale francese, dove i due amanti vivono in povertà, ha luogo il suo battesimo politico: conosce figure importanti come Dumas, Hugo, Lamartine e George Sand, e inizia a leggere i libri degli utopisti. Nel 1847 decide di arruolarsi nella legione straniera e viene mandato in Algeria, ma poco dopo, avute notizie dello scoppio della rivoluzione in tutta Europa e in seguito alla lettura degli scritti di Mazzini, decide di ritornare in Francia e di qui in Italia. Partecipa all'insurrezione di Milano: durante i moti diventa comandante della quinta compagnia cacciatori dei corpi volontari lombardi e viene ferito ad un braccio in uno scontro con gli austriaci; dopo la sconfitta si rifugia in Svizzera con l'amico Cattaneo. Nel 1849 è di nuovo in Italia dove fonda con Mameli, Garibaldi, Saffi e Mazzini la Repubblica Romana.
In seguito al fallimento dell'esperimento repubblicano, Pisacane parte per Marsiglia, poi per Losanna e in seguito per Londra. Ecco come Nello Rosselli in Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, descrive l'aria che Pisacane respira durante il suo soggiorno londinese:
"Nel luogo e nell'ambiente in cui un Marx andava studiando ed esponendo le cause economiche dello scoppio rivoluzionario del '48, e un Ledru-Rollin dipingeva nella sua opera sulla Decadenza dell'Inghilterra un quadro impressionante delle condizioni del proletariato britannico; in cui si compilavano, per seminarli poi in tutto il continente, giornali e riviste ispirati al socialismo; in cui si formavano tra gli esuli delle varie nazionalità clubs socialisti e comunisti; in questo luogo e in questo ambiente Pisacane, all'indomani del '48-'49, non poteva trascorrere sette mesi senza che il suo orientamento spirituale ne risentisse profondamente."
Dalla capitale inglese si sposta a Lugano dove comincia a scrivere la Guerra combattuta in Italia nel 1848-1849. Successivamente Pisacane si ritira dalle parti di Genova e inizia un lungo periodo di studio e riflessione che culmina nel voluminoso manoscritto Saggi storici-politici-militari sull'Italia, punto terminale della sua evoluzione teorica. Conosce il filosofo russo Aleksandr Herzen, che lo persuade del potenziale rivoluzionario delle masse contadine. Con Mazzini ha invece un rapporto ambiguo: in lui, nonostante le differenze politiche, vede un punto di riferimento per la riuscita dell'insurrezione e uno strumento utile per i suoi progetti socialisti.
Verso la metà degli anni '50 matura l'idea di una spedizione armata nel Sud dell'Italia che contrasti da una parte il murattismo e dall'altra un'unità nazionale sotto l'egida dei Savoia (è convinto che, piuttosto del dominio di Casa Savoia, sia meglio che tutto resti come prima). L'impresa militare prevede in primo luogo la liberazione dei prigionieri politici detenuti sull'isola di Ponza, e in seguito lo sbarco delle truppe a Sapri da cui ripartire alla volta di Napoli, in una marcia che coinvolga la popolazione e la spinga alla sollevazione. Come è noto la spedizione fallisce: nonostante Pisacane e i suoi non trovino ad attenderli, come speravano, masse pronte all'insurrezione, danno inizio alla rivolta, ma l'arrivo dei gendarmi borbonici li costringe a ritirarsi nell'abitato di Padula dove rimangono uccisi a decine. I superstiti riescono a rifugiarsi a Sanza, ma una nuova trappola li attende: all'alba del 2 luglio il parroco del paese suona le campane per lanciare il segnale di allarme a tutta la popolazione dell'arrivo di "briganti". I ribelli sono aggrediti e massacrati e la maggior parte di loro, Pisacane compreso, viene uccisa da quegli stessi contadini che voleva emancipare.
Dalla Guerra combattuta al Testamento politico
L'opera più conosciuta di Carlo Pisacane è la Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, un bilancio lucido e appassionato dell'esperienza politico-militare vissuta in quegli anni tra Milano e Roma. Il 23 gennaio del '51 Pisacane spedisce a Carlo Cattaneo parte del manoscritto con la preghiera di leggerlo e dargliene giudizio. Anche Mazzini legge il testo e pur lodando il "bel libro" non risparmia censure e consigli di soppressioni e revisioni.
La tesi sostenuta nel saggio è semplice e incisiva: il principio nazionale era sì abbastanza diffuso e popolare in Italia nel 1848, così come il disagio per la dominazione straniera e tirannica; ma non era stato compreso che il "popolo" sarebbe andato fino in fondo nella lotta solo se avesse visto la possibilità di vantaggi tangibili di natura economica, punto che nessun gruppo politico o partito aveva in programma.
Il testo comincia con l'analisi della figura di Carlo Alberto, il quale si qualifica fin da subito come temporeggiatore (di qui il nomignolo "re tentenna"):
"Carlo Alberto, trascinato dall'esaltazione dell'esercito e del suo popolo, spinto dall'aristocrazia lombarda che mostravagli inevitabile la repubblica in Milano, dichiarò la guerra all'Austria, mentre assicurava ai gabinetti stranieri che esso moveva per soffocare il germe repubblicano. Passa il Ticino allorché il nemico ebbe passato l'Adda, e lo sostituisce lentamente nel paese da esso abbandonato. Se il movimento lombardo-veneto avesse avuto una valida direzione, ed il popolo fosse stato meno facile a credere alle promesse; oppure, se il re di Sardegna fosse escito in campo con quella prontezza che avrebbe dovuto attendersi da un uomo che si dichiarava da lungo tempo deciso alla guerra, si sarebbe vinto nell'esordire. Ma il popolo si affidò, il re esitò, e l'Austria fu salva."
I Savoia capiscono che lasciando briglia sciolta al popolo la situazione potrebbe volgere a loro svantaggio. La diffidenza verso il movimento repubblicano e la possibilità di un'insurrezione da parte dei volontari in armi sono la vera preoccupazione di Carlo Alberto. Tra timori reali e valutazioni scorrette, passano così i mesi decisivi e arrivano le sconfitte. La direzione militare fu dunque, secondo Pisacane, una lunga sequela di scelte sbagliate.
"L'esercito una volta strumento di conquista e di gloria nazionale, divenne strumento di oppressione."
Sulla base di questa esperienza occorre impostare diversamente la questione militare, poiché la rivoluzione italiana è affare di tutto il popolo ed esso soffre sotto la tirannide. Bisogna pertanto adoperarsi per la formazione della "nazione armata" dove tutti sono militi e nessuno è soldato, dove si forma un esercito di volontari non distaccato dalla popolazione.
A rivoluzione fallita, a Pisacane preme demistificare il mito di Garibaldi e denunciare l'operazione retorica e le strumentalizzazioni operate dal partito repubblicano, che "invece di ispirare le idee si affaticava a creare popolarità". Proprio per la paura di diventare "fautrice di discordia", la componente repubblicana ha mancato di attuare a Milano, Roma e Venezia riforme radicali, mettendosi in una posizione subalterna al partito regio e facendo sì che il popolo si disaffezionasse alla lotta. Temere il popolo significa opporvisi, sostiene Pisacane: "le rivoluzioni materiali si compiono allorché l'idea motrice è già divenuta popolare" (operai e contadini avevano infatti già dato esempio di lotta anche senza capi e direzione politica), bisogna ora unire il programma politico dell'unità nazionale a quello economico dell'emancipazione degli operai e dei contadini, affinché il popolo ritorni in campo.
L'opera successiva di Pisacane è una sorta di zibaldone: i Saggi storici-politici-militari sull'Italia hanno come fine quello di contribuire a "determinare l'avvenire d'Italia, studiandone il passato". I saggi, pubblicati postumi, si dividono in quattro parti. Nel Cenno storico si sostiene che la divisione della società in un'oligarchia ricchissima e in una plebe "oltremodo misera" è la causa principale della decadenza delle civiltà. I motivi della decadenza dei regimi politici risiedono nel diritto di proprietà che, per quanto "scosso" dalla rivoluzione francese, non è stato in realtà "divelto" del tutto. Ne Dell'Arte bellica, viene criticata ogni politica pacifista, mentre nell'Ordinamento dell'esercito italiano vi è una durissima requisitoria contro le milizie stanziali in cui sopravvivono la scissione e l'opposizione tra cittadino e soldato. È perciò necessario passare dall'attuale ordinamento militare all'eleggibilità e revocabilità dei gradi insieme al principio dell'uguaglianza dei salari. Ne La Rivoluzione, Pisacane afferma che il vero progresso è quello che sa realizzare il miglioramento delle condizioni di vita in una società dove libertà e uguaglianza, sentimento e ragione, trovano conciliazione. E lo stesso vale per i diritti politici, i quali trovano validità solo in una collettività organizzata in base a quei criteri. Il suffragio universale è solo un "inganno", se esercitato nel contesto di disuguaglianze economiche e sociali:
"La prima verità che non può disconoscersi senza negare l'evidenza, senza negare quaranta secoli di storia, è che la ragione economica nella società domina la politica: quindi senza riformare quella, riesce inutile riformare questa."
E ancora:
"[…] nella continua lotta che si fanno i vari prodotti, i vari capitali, la ricchezza sociale si accresce, ed il numero di coloro che la posseggono diminuisce."
In questo capitolo viene inoltre abbozzata, attraverso l'analisi del modo di produzione capitalistico, una sorta di teoria del plusvalore:
"Il capitalista che paga otto di salario ad ogni operaio che produce dieci non solo ruba due ad ognuno di essi, ma ruba eziandio la loro potenza collettiva, quella potenza per cui l'azione simultanea di cento persone è superiore all'azione successiva di tutti gli uomini della terra; potenza per cui accrescesi oltre misura il prodotto; potenza generatrice del capitale."
"La miseria dell'operaio", così si esprime Pisacane, "cresce al crescere della ricchezza sociale, del prodotto netto dell'industria". Questa contraddizione insanabile porterà il popolo a "fare massa", a trasformarsi in "nazione armata", per passare dall'insurrezione alla guerra rivoluzionaria anticapitalistica:
"Banchieri! Monopolisti! Cercate di gioire nel presente, giacché l'avvenire non vi appartiene."
E' interessante notare che all'interno del movimento per l'unità d'Italia un "patriota" come Pisacane introduca una "sua" teoria del valore, arrivando conseguentemente a teorizzare l'inevitabilità della rivoluzione socialista. E che, nonostante questo, oggi egli venga strumentalizzato da progressisti, patrioti, riformisti, anarchici. Ma sembrerebbe che l'avesse previsto, e, nel suo Testamento politico, ha una scudisciata per tutti.
Per i progressisti:
"Sono convinto che le ferrovie, i telegrafi, il miglioramento dell'industria, la facilità del commercio, le macchine, ecc., ecc., per una legge economica e fatale, finché il riparto del prodotto è fatto dalla concorrenza, accrescono questo prodotto, ma l'accumulano sempre in ristrettissime mani ed immiseriscono la moltitudine; epperciò questo vantato progresso non è che regresso; e se vuole considerarsi come progresso, lo si deve nel senso che accrescendo i mali della plebe la sospingerà ad una terribile rivoluzione la quale, cangiando d'un tratto tutti gli ordinamenti sociali, volgerà a profitto di tutti quello che ora è volto a profitto di pochi."
Per i patrioti e per i democratici:
"Per me, non farei il menomo sacrificio per cangiare un Ministro, per ottenere una costituzione, nemmeno per cacciare gli Austriaci dalla Lombardia ed accrescere il regno Sardo; per me dominio di Casa Savoia o dominio di Casa d'Austria è precisamente lo stesso."
Per gli idealisti, i riformisti e gli anarchici:
"L'educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero quando sarà educato, ma sarà educato quando sarà libero."
L'eredità di Pisacane
Nello Rosselli fu uno dei primi liberali in Italia ad indagare storicamente lo sviluppo del movimento operaio, ricerca che diffuse con numerosi articoli pubblicati tra il 1923 e il 1927 su alcune riviste storiche italiane. Scrisse inoltre tre importanti saggi: Mazzini e il movimento operaio dal 1861 al 1872 (1923), Mazzini e Bakunin (1927), Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano (1932). Altri suoi scritti sul Risorgimento vennero pubblicati postumi.
Nella prefazione di Leo Valiani all'edizione del 1967 del saggio Mazzini e Bakunin, vengono affrontati alcuni importanti aspetti dell'opera dello storico italiano: Rosselli, su consiglio di Rodolfo Mondolfo, autorevole recensore dell'epoca, comprese che per scoprire le radici del socialismo italiano doveva risalire più indietro del 1860. Quando nel 1932 scrisse la biografia di Pisacane, esaminò a fondo il socialismo del rivoluzionario napoletano, scoprendone il collegamento con quello di Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli e Ausonio Franchi, e soprattutto osservando la coincidenza con alcuni punti della successiva predicazione anarchica di Bakunin, intuizione che però non riuscì a sviscerare.
Lo nota Valiani, che cita Aldo Romano (Storia del movimento socialista), assertore dell'importante influenza del pensiero di Pisacane su Bakunin. Se in molti fanno risalire l'origine di un movimento socialista a Napoli all'opera dell'anarchico russo, in realtà si può affermare con certezza che l'evoluzione verso il socialismo di alcuni militanti democratici napoletani, fra i quali vi era chi aveva conosciuto Pisacane e, soprattutto, ne aveva letto i saggi, cominciò sin dal 1860: nella città partenopea era attivo infatti un gruppo socialista prima dell'arrivo di Bakunin nel 1865. Questo può essere verificato sul Popolo d'Italia, giornale che si pubblicava a Napoli dal 1860 e che trattava le grandi questioni del momento. Romano sostiene che il collettivismo a cui era approdato Bakunin e di cui si fece portavoce al Congresso dell'Internazionale di Basilea del 1869, derivava dalla lettura, durante il soggiorno italiano, dei Saggi di Pisacane.
Mazzini e lo sviluppo del movimento operaio
Le società di mutuo soccorso sono i primi nuclei operai a darsi un'organizzazione sotto forma di aiuto reciproco per affrontare le vicissitudini della vita. Sorte da tempo sotto la tutela paternalistica dei governi con scopi di mutua assistenza, che all'epoca si attuava con fondi provenienti da modesti versamenti degli associati e da cui si traevano sussidi di malattia e di infortunio (talvolta con vaghi scopi educativi che la Chiesa faceva in modo di avocare a sé), raccolgono ognuna solo qualche decina di operai, crescono per imitazione (come direbbe Cattaneo), e arrivano all'idea di associarsi tra di loro e darsi un coordinamento nazionale.
Le forze politiche presenti sulla scena italiana cominciano a tenere d'occhio il fermento di una classe sociale che inizia ad alzare la testa e a porre all'ordine del giorno i propri interessi. Tra queste, in opposizione al programma moderato-conservatore, vi sono anche i mazziniani, visto che lo sviluppo del mutuo soccorso e delle cooperative non contrasta con gli obiettivi repubblicani.
Reduce dai moti del '48 e dall'esperienza della Repubblica Romana, Mazzini, di fronte alla tendenza socialista che sta prendendo piede in campo operaio, lavora per la costituzione della "Umana collettività". Alla parola d'ordine della socializzazione dei mezzi di produzione, egli contrappone la proprietà privata prodotta e santificata dal lavoro umano.
L'VIII Congresso delle società di mutuo soccorso si tiene a Milano nel 1860 e vede l'affermarsi della corrente mazziniana. La parte più combattiva, quella rappresentata dai tipografi milanesi, va in minoranza a causa della strenua opposizione alla lotta per il suffragio universale. Durante l'incontro viene proposta un'organizzazione per settori d'arte e di mestiere. Comincia a manifestarsi la tendenza a passare dal campo della "mutualità" a quello della "resistenza", contro i delegati piemontesi che reclamano invece un'aggregazione indistinta o "cumulativa" atta solo a scopi di assistenza.
E' un periodo di miseria, ma anche di scioperi e di sviluppo delle società operaie. Nei primi mesi del 1861 nasce a Firenze la Fratellanza artigiana, un'associazione promossa da democratici e mazziniani che, nel nome della "Patria, dell'Umanità e del Progresso", punta al "miglioramento intellettuale, morale e materiale" degli artigiani d'Italia "mediante la istruzione, il soccorso reciproco e il credito".
Durante i preparativi per il IX Congresso, previsto per il settembre del 1861 a Firenze, Mazzini si adopera per l'unificazione delle forze operaie italiane al fine di incanalarle in un movimento unitario per la rivoluzione repubblicana. Al Congresso fiorentino si dibattono temi quali l'aumento dei salari, il lavoro minorile, l'unificazione delle società operaie, l'istruzione del proletariato, ecc. Dalle pieghe di queste discussioni, legate alle problematiche del lavoro, emerge la questione della politicità su cui si impernia il profondo dissidio tra democratici e moderati: la componente mazziniana sostiene che per migliorare e difendere le condizioni di vita degli operai questi devono interessarsi di politica. Tale posizione passa e i mazziniani si impadroniscono della direzione delle società di mutuo soccorso, mentre le forze di tendenza moderata si scindono.
La divisione consumatasi al IX Congresso porta al “controcongresso", di stampo chiaramente anti-mazziniano organizzato dagli "apolitici" ad Asti. Mazzini taccia i promotori della riunione d'immaturità e di primitivismo politico. Ma la separazione non dura molto, anzi viene superata spontaneamente poco dopo quando i due gruppi si ritrovano a lavorare assieme nella Società emancipatrice, associazione fondata il 10 marzo 1862 e avente lo scopo di annettere Roma e Venezia, a cui aderirono molte società operaie dell'una e dell'altra corrente.
Intanto la situazione politica in Italia si fa più tesa. Le condizioni del paese sono gravi per il ripetersi di tumulti nelle grandi città, mentre il viaggio e la permanenza di Garibaldi in Sicilia e la partenza di gruppi di volontari per il Sud Italia alimentano il timore di un'azione armata. Il presidente del Consiglio Urbano Rattazzi presenta un progetto alla Camera per la restrizione della libertà di associazione: di lì a qualche tempo la Società emancipatrice e molte società operaie, che ormai hanno assunto un profilo politico repubblicano, sono inquisite e costrette a sciogliersi, molti militanti perquisiti e arrestati. Nonostante questa crisi, il 1862 non segna affatto una sosta nel movimento di organizzazione operaia.
Il 3 gennaio del 1864 si tiene il Congresso di Parma. L'ordine del giorno prevede l'unificazione delle società operaie e una deliberazione in merito alla fondazione di un giornale che ne sia l'organo ufficiale. In questa sede Mazzini tenta di far passare il suo programma: Patria, Dio e Progresso. Queste parole d'ordine religioso-morali non sono però accolte con la stessa tranquillità con cui erano state accettate fino ad allora, e nascono dibattiti intorno alla loro validità. Comincia a profilarsi un'altra biforcazione, quella tra la componente patriottico-nazionalista mazziniana e un proletariato che cerca faticosamente la propria autonomia politica.
Cattaneo viene chiamato in causa da alcune società operaie per discutere del programma mazziniano e gli viene sottoposto lo statuto della Fratellanza artigiana affinché possa darne la sua opinione. Egli consiglia di lasciar perdere le parole d'ordine senza contenuto empirico per ragionare piuttosto sul da farsi per migliorare le condizioni di vita della classe operaia, e presenta un regolamento per la federazione delle società operaie italiane in cui elimina di netto il vetusto preambolo di Mazzini:
"Le società operaie italiane costituiscono un potere federale all'intento di provvedere ai propri bisogni morali e materiali rappresentato da nove membri eletti ogni anno in occasione del Congresso degli operai. Nel mentre le società operaie costituiscono questa complessiva rappresentanza, conservano la rispettiva autonomia nella interna amministrazione."
Se da una parte Mazzini tenta di tradurre nello statuto il nucleo delle sue idee religiose, politiche, sociali, con l'intento di fondare una grande associazione operaia da lui guidata ("Credenti in Dio, in una Legge Morale che ci comanda di lavorare e progredire moralmente, intellettualmente, economicamente pel bene comune"), dall'altra Cattaneo indica i pochi punti indispensabili al coordinamento dell'azione operaia in tutto il paese.
Il compromesso è trovato al congresso successivo, quello di Napoli del 25 ottobre 1864, in cui viene discusso e approvato l'Atto di Fratellanza e accolta la proposta di far partecipare alcuni delegati al I Congresso dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori indetto per l'anno successivo a Bruxelles.
La Prima Internazionale
La delibera del Congresso di Napoli per la partecipazione al I Congresso dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.L.), detta anche Internazionale, allarga lo scenario su scala europea.
L'Internazionale è fondata a Londra il 28 settembre 1864 da democratici e operai appartenenti a vari paesi d'Europa. Nasce con l'intento di collegare i movimenti operai dei paesi europei in un'unica grande organizzazione finalizzata all'emancipazione sociale. Mazzini vi legge la possibilità di riproporre lo schema della Giovine Europa, quello di un'associazione internazionale atta a promuovere l'indipendenza e l'emancipazione dei popoli dalla sudditanza ai regimi assoluti.
Alle prime assemblee, in cui si discute della costituzione dell'associazione, i mazziniani sono rappresentati da Wolf e Fontana, i quali vengono nominati membri del comitato provvisorio. In questa sede presentano l'Atto di Fratellanza delle società operaie italiane e fanno approvare una dichiarazione in cui si afferma esser scopo dell'Internazionale "il promuovere il progresso morale intellettuale ed economico delle classi operaie europee, attraverso un accordo fra le varie associazioni operaie in tutta Europa, al fine di ottenere unità d'intenti e unità d'azione."
Marx viene avvisato della piega che sta prendendo la neonata associazione e decide di partecipare, il 19 ottobre, alla terza seduta del comitato provvisorio. Pochi giorni dopo scrive all'amico Engels:
"Restai proprio spaventato quando udii il buon Le Lubez (il rappresentante francese) leggere un preambolo inutile, fraseologico, malamente scritto e assolutamente infantile, che pretendeva essere una dichiarazione di principi, nel quale ad ogni punto si sentiva Mazzini incrostato con pezzi di socialismo francese."
Senza lasciar trapelare lo sbigottimento, Marx comunque approva, insieme a tutti gli altri membri del sottocomitato, il programma italo-anglo-francese; suggerisce però di migliorarne la forma e riesce così ad ottenere che si affidi a lui tale incarico. Deciso a "non lasciare stare, dov'era possibile, neppure un rigo di quella roba", rifà di sana pianta il preambolo e riduce a dieci i quaranta articoli dello statuto già approvato. Scrive insomma un Indirizzo alle classi operaie interamente nuovo, lasciando "due frasi sui doveri e diritti e sulla verità, la morale e la giustizia" che, scrive ad Engels, sperdute nel contesto "non potranno recare alcun danno". Gli altri membri del comitato approvano nella seduta del 1° novembre il testo di Marx.
L'Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale degli operai riporta una serie di ricerche dell'epoca sullo stato in cui versa la classe operaia inglese, sui tassi di povertà, sulla crescita della ricchezza nazionale e la relativa miseria del proletariato. Sarebbe piaciuto a Pisacane, tra i primi a riconoscere che il progresso capitalistico è tale per i capitalisti, ma è regresso per la classe operaia.
L'Indirizzo sottolinea il dato di fatto per cui la miseria della classe operaia inglese non è diminuita tra il 1848 e il 1864, sebbene il periodo non abbia avuto uguali in termini di sviluppo dell'industria e di incremento del commercio. Prosegue ricordando l'importante conquista della giornata legale di dieci ore. In quella lotta il proletariato, imponendo con la forza una limitazione dell'orario di lavoro, è riuscito a determinare una misura politica e ha perciò imposto la propria economia politica contro quella della borghesia: "la legge sulle dieci ore non è stato soltanto un successo pratico, ma, fatto ben più importante, rappresentò la vittoria di un principio."
Lo sviluppo del lavoro cooperativo su scala nazionale — continua l'Indirizzo — è fondamentale perché dimostra che gli operai si possono organizzare da sé e non hanno bisogno dei capitalisti per produrre ciò che è necessario per vivere:
"Il valore di queste grandi esperienze sociali non può essere esaltato al di sopra della realtà. Non attraverso argomenti, ma attraverso azioni, esse hanno provato che la produzione su larga scala e in accordo con le esigenze della scienza moderna può venir esercitata senza l'esistenza di una classe di padroni che impieghi quella dei manovali; che i mezzi del lavoro, per rendere, non hanno bisogno d'essere monopolizzati né d'essere piegati a mezzi di predominio e di sfruttamento contro il lavoratore; e che il lavoro salariato, cosi come il lavoro degli schiavi, il lavoro dei servi, non è che una forma transitoria e inferiore, destinata a sparire di fronte al lavoro associato, che espleta il proprio assunto in modo vivace, con spirito alacre e con animo felice."
Tuttavia il lavoro cooperativo, limitato all'angusta cerchia di sforzi parziali di operai isolati, non può rompere il monopolio capitalistico:
"Il lavoro cooperativo, per salvare le masse operaie, dev'essere sviluppato in dimensioni nazionali, e conseguentemente sostenuto da mezzi nazionali. Per ciò che riguarda il presente, i padroni della terra e del capitale non vogliono che una cosa: impiegare i loro privilegi politici per difendere e perpetuare i loro monopoli economici. Non certo vogliono favorire la via dell'emancipazione del lavoro, anzi, non vogliono se non continuare a frapporle ogni sorta di ostacoli."
Ne deriva che il compito storico del proletariato è la conquista del potere politico.
L'Indirizzo si chiude, come il Manifesto del Partito Comunista, con le parole: "Proletari di tutti i paesi, unitevi!".
Mazzini cercherà di neutralizzare l'influenza di Marx sul movimento operaio ma non ci riuscirà: la storia stava andando in un'altra direzione e un'importante biforcazione attendeva ora il movimento operaio.
La biforcazione Mazzini-Bakunin
Bakunin nasce nel piccolo villaggio russo di Primuchino, vicino Tver, il 30 maggio 1814. Figlio di nobili proprietari terrieri, frequenta la scuola di artiglieria di Pietroburgo e completa i suoi studi nel 1832. Due anni dopo viene nominato giovane ufficiale della Guardia Imperiale Russa, e così mandato a Minsk e Goradnia. Nel '35 si trasferisce a Mosca per studiare filosofia (passione che coltiva anche a Dresda dove si appassiona in particolare agli scritti di Fichte, Schelling ed Hegel). Durante gli anni '39-'40 conosce Aleksandr Herzen e Nikolái Ogariov e nel 1842 si trasferisce in Germania, entrando in contatto con il movimento socialista. L'evento che cambia la sua vita è l'insurrezione di Dresda del 1849. Catturato dalle truppe tedesche, viene condannato alla pena di morte, commutata poi in ergastolo. Nel 1851 è trasferito nella fortezza di Pietro e Paolo, in Russia. Lì scrive la famosa confessione allo Zar in cui ritratta tutto il suo percorso politico rivoluzionario. Nel 1857 la pena è commutata in esilio a vita in Siberia. Da qui riesce a scappare in Giappone e di lì negli Stati Uniti per poi ritornare in Europa.
Bakunin arriva a Firenze nel 1864; Mazzini e Saffi – che ha conosciuto in Inghilterra – lo presentano agli uomini più influenti della sinistra italiana (incontra Garibaldi a Caprera). Nel capoluogo toscano si mette in contatto con l'estrema sinistra di cui fa propri alcuni punti programmatici: riforma delle basi politiche e sociali dello stato italiano, emancipazione delle classi oppresse, difesa e sostegno delle libertà nazionali dei singoli popoli.
Con Mazzini rompe quasi subito. In Italia la questione religiosa ha sempre avuto una certa importanza, fin dal 1848 difatti la lotta per l'unità italiana si è identificata con una vivacissima campagna contro il potere temporale dei papi. Secondo il rivoluzionario russo la religiosità mazziniana è in antitesi con lo sviluppo del materialismo e il risveglio dell'attività scientifica, temi che invece vengono discussi ed elaborati in Italia non solo dal Cattaneo, che con il suo Invito alli amatori della filosofia (1857) aveva posto le basi per una critica della filosofia - "La filosofia è lo studio del pensiero: sommo sforzo del pensiero è la scienza" –, ma anche da altri importanti teorici, tra cui Ferrari, Macchi e Franchi. Bakunin entra in contatto con questo ambiente e ne viene subito influenzato.
Sempre nel 1864, durante un breve viaggio in Inghilterra, si incontra a Londra con Marx. I due pur avendo posizioni politiche diverse finiscono con l'intendersi per la lotta contro Mazzini. Verso la fine dell'anno, Bakunin fonda a Firenze l'Alleanza della democrazia socialista, una società segreta (non riuscirà mai ad affrancarsi da questo metodo organizzativo) chiamata anche Fratellanza. L'organizzazione ha come fine "l'affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religioso politico di Mazzini" e il suo programma prevede l'abolizione del diritto divino, la rinuncia a ogni propaganda nazionale, la libertà dell'individuo nel comune, la libera federazione dei comuni, l'abolizione del diritto pubblico e privato, l'uguaglianza politica di ogni cittadino, l'abolizione di ogni privilegio, la proprietà della terra ai contadini e degli strumenti di lavoro agli operai.
A Firenze la Fratellanza non riesce a mettere radici, così Bakunin nella primavera del '65 si sposta a Napoli dove entra in contatto con alcuni esponenti della sinistra tra cui Giuseppe Fanelli, superstite dell'impresa insurrezionale di Pisacane (a cui aveva partecipato in qualità di responsabile del consiglio rivoluzionario di Napoli). Si avvicina anche all'ambiente democratico-massone e ai giovani garibaldini. Infine la propaganda che da quasi due anni sta svolgendo in Italia comincia a dare i primi risultati: nel 1867 viene fondato a Napoli il circolo Libertà e Giustizia.
Nel settembre del '67 si attendono due importanti appuntamenti: il Congresso democratico per la pace di Ginevra e il II Congresso dell'A.I.L. a Losanna (al I, svoltosi a Ginevra fra il 3 e l'8 settembre 1866 non aveva partecipato nessun rappresentante italiano). Bakunin interviene a Ginevra in rappresentanza della sezione napoletana della Fratellanza, tentando di convincere i suoi uditori che tutti i problemi affrontati dai rappresentanti democratici della Lega non possono essere risolti che con la rivoluzione sociale.
Anche Garibaldi partecipa al Congresso in Svizzera e ascolta le parole di Bakunin. Di lì a qualche mese combatterà nella famosa battaglia di Mentana, in cui le truppe franco-pontificie si scontrano con i volontari italiani diretti a Tivoli. L'episodio segnerà lo sviluppo del bakuninismo e delle idee socialiste in Italia: la sconfitta dei volontari distacca molti giovani dalle agitazioni mazziniane e dalle spedizioni garibaldine ormai dimostratesi inefficaci, spingendoli verso il socialismo e favorendo la nascita di giornali dedicati alle lotte della classe operaia.
La Plebe
Il 1868 è un anno importante per le rivolte del macinato e si assiste a un movimento di sciopero generalizzato. I giornali conservatori e moderati sono allarmati e attribuiscono i disordini alla regìa dell'Internazionale. Bakunin, comprendendo l'importanza che andava assumendo l'A.I.L. in Europa, chiede l'iscrizione insieme a moltissimi altri membri della Fratellanza.
Sull'onda di questo movimento di classe nasce il 4 luglio 1868 La Plebe. Il sottotitolo del giornale è "periodico repubblicano, razionalista, socialista". Repubblicano come risposta a quelli che ritengono che i socialisti debbano essere agnostici in materia istituzionale. Razionalista per chiarire che non si tratta della repubblica alla Mazzini, basata cioè sulla formula Dio e Popolo e quindi nettamente teista. Socialista, per fondersi – come poi fece – con l'Internazionale marxista.
Il suo fondatore è Enrico Bignami. Nato a Lodi nel 1847, Bignami aderisce al mazzinianesimo e partecipa alle campagne garibaldine del '66-67. Deluso da Garibaldi e Mazzini, si avvicina al materialismo e sviluppa una concezione evoluzionista del socialismo.
La Plebe diventa in poco tempo un punto di riferimento internazionale: grazie ad esso si stabiliscono un contatto con Marx ed Engels e una serie di corrispondenze con il Consiglio Generale di Londra. Lo studio di queste lettere rimane uno dei capitoli fondamentali per avere una visione completa della storia del movimento operaio europeo.
La Comune di Parigi
Nel settembre del 1868 si tiene a Bruxelles il III Congresso dell'Internazionale. Esso segna, come dice Mazzini, la fine del primo periodo di vita dell'associazione. Quest'ultima non è più una lega di organizzazioni operaie autonome, ma una grande organizzazione con una fisionomia propria e un programma politico (socializzazione dei mezzi di produzione). L'Internazionale penetra in Italia attraverso l'Alleanza: gli internazionalisti italiani, in quegli anni, fanno capo a Bakunin mantenendo soltanto rapporti amministrativi con il Consiglio generale di Londra. Ma in Italia Fratellanza, Alleanza e Internazionale si sovrappongono a tal punto che è difficile capire dove finisca una e cominci l'altra.
Dal 6 al 12 settembre 1869 si riunisce a Basilea il IV Congresso dell'A.I.L.; vi partecipano, quali rappresentanti dell'Italia, Bakunin, Fanelli e il sarto Stefano Caporusso della sezione di Napoli. Se il Congresso precedente aveva preso atto dell'importanza che andava assumendo l'associazione in Europa, il quarto comincia a discutere le grandi questioni economiche e sociali all'ordine del giorno, per esempio quella del trionfo del collettivismo. In questo incontro si manifestano delle frizioni tra Bakunin e Marx: il tema del dissidio è il "diritto di eredità". Per il primo bisogna iniziare fin da subito una campagna per la sua abolizione; secondo Marx invece non è possibile abolirlo nell'immediato perché è un'espressione del sistema capitalistico e non può che scomparire con esso. I congressisti rimangono incerti e rimandano ogni conclusione al congresso successivo. Mazzini si indigna per l'andazzo politico preso dall'Internazionale.
Nel 1870 cominciano in Italia le persecuzioni contro gli internazionalisti, nel napoletano nascono potenti movimenti di sciopero e l'eco delle discussioni avvenute al Congresso di Basilea allarma le autorità.
Quando in Francia, in seguito alla sua sconfitta nella guerra con la Prussia, viene proclamata la Comune di Parigi e scoppia la guerra civile, un'altra importante biforcazione si pone al movimento operaio italiano. L'avvenimento produce infatti una feroce selezione politica: Mazzini si schiera contro il proletariato parigino in lotta, mentre ai giovani socialisti che hanno partecipato alle imprese garibaldine appare oramai evidente l'inadeguatezza del mazzinianismo. Scrive Andrea Costa nel 1871:
"Mazzini soprattutto si alienò la parte più calda e generosa della gioventù, cresciuta alla scienza nuova, infierendo contro alla Comune caduta, e attribuendo in gran parte alle teorie materialistiche, la disfatta della Francia… Ricordate, o compagni, il '71 e il '72? Come aspettavamo trepidanti le nuove di Parigi – come cercavamo gli statuti di quella potente Associazione internazionale – come leggevamo con ansia ciò che i giornali stessi degli avversari ne scrivevano? Meravigliosa fu la rapidità con cui si propagò in Italia il nuovo spirito… Noi ci gettammo in quel movimento spinti assai più dal desiderio di romperla con un passato che ci opprimeva e non corrispondeva… alle nostre aspirazioni, piuttosto che dalla coscienza riflessa di quel che volevamo." (Bagliori di socialismo. Cenni storici, Firenze 1900)
Viene naturale ai giovani socialisti italiani entusiasmarsi per le notizie che arrivano da Parigi e trovare un nesso tra la Comune e l'Internazionale. Molti mazziniani cominciano a orientarsi verso il socialismo e voltano le spalle all'idealismo. Errico Malatesta è uno di questi.
I difensori della Comune – scrive Garibaldi – sono "i soli uomini che in questo periodo di tirannide, di menzogna, di codardia e di degradazione hanno tenuto alto, avvolgendosi morenti, il santo vessillo del diritto e della giustizia." Fu egli a coniare il detto "l'Internazionale è il sole dell'avvenire", prendendo posizione in favore della Comune di Parigi.
La dissoluzione del mazzinianismo
Nel 1871, in seguito al radicamento dell'Internazionale in Italia, vi sono dure repressioni. La sezione di Napoli, che conta 1000 soci, viene sciolta dalle autorità che procedono anche a numerosi arresti. Ma la diffusione dell'associazionismo operaio e delle idee socialiste non si ferma.
Mazzini gioca le sue ultime carte e cerca di riportare il proletariato italiano sotto il suo controllo: organizza un congresso a Roma per riproporre l'Atto di Fratellanza, copia di quello approvato a Napoli nel 1864. Per evitare deviazioni pericolose, egli stabilisce che i lavori del congresso vengano rigidamente prefissati in un ordine del giorno che elimini la discussione su ogni questione generica, adottando quella stessa posizione che agli inizi degli anni '60 criticava agli "apolitici" (gli operai non devono interessarsi troppo di politica). Scrive inoltre un appello Agli operai italiani in cui si scaglia decisamente contro l'A.I.L., la quale oramai rappresenta la negazione di Dio, della Patria e della proprietà privata:
"Di mezzo al moto normale degli uomini del lavoro è sorta un'associazione che minaccia falsarlo nel fine, nei mezzi e nello spirito al quale v'ispiraste finora e dal quale soltanto otterrete vittoria. Parlo dell'Internazionale."
A rispondere ci pensa Bakunin con una Risposta di un internazionalista a Mazzini:
"Noi chiamiamo materiale tutto ciò che è, tutto ciò che si produce nel mondo reale, tanto nell'uomo quanto al di fuori dell'uomo, e indichiamo con il nome di ideale esclusivamente i risultati dell'attività cerebrale dell'uomo; ma, siccome il nostro cervello è un organismo del tutto materiale e tutte le sue funzioni sono quindi materiali […], ne risulta che ciò che chiamiamo materia o mondo materiale […] comprende necessariamente l'ideale."
La risposta si conclude con un duro attacco: schierandosi contro le rivendicazioni dell'organizzazione internazionale degli operai, Mazzini "ha rotto definitivamente con la rivoluzione e ha preso posto nella reazione internazionale."
Marx è entusiasta della Risposta di un internazionalista a Mazzini, sulle prime è convinto che l'opuscolo sia opera del socialista italiano Carlo Cafiero, si stupisce non poco quando scopre il nome dell'autore.
La crisi del mazzinianismo è definitiva: in poco più di un decennio le condizioni dell'ambiente sociale in Italia sono profondamente mutate e il materialismo storico si è diffuso tra gli operai e la gioventù socialista. Oramai isolato dagli ambienti operai italiani, Mazzini muore a Pisa nel marzo del 1872. Da quella data Bakunin e i suoi seguaci hanno campo libero in Italia per diffondere le loro teorie: il 4 agosto si riunisce a Rimini il primo Congresso internazionalista italiano - presenti i delegati di 21 sezioni - che si schiera sulla linea di Bakunin, rompendo ogni solidarietà con il Consiglio generale di Londra e rifiutando di intervenire all'incontro internazionale indetto per il settembre 1872 all'Aja. Carlo Cafiero, giovane marxista passato armi e bagagli al bakuninismo, è acclamato presidente del Congresso, mentre Andrea Costa ne diviene il segretario. E' costituita la Federazione italiana dell'Internazionale.
Indubbiamente Bakunin segna un'epoca di passaggio del movimento operaio italiano: funzionale alla demolizione di Mazzini, non riesce però ad affrancarsi del tutto dall'idealismo. Egli ha dell'universo una concezione armonicistica e unitaria, secondo la quale tutto si concatena e progredisce insieme e le leggi che governano la materia bruta si conformano a quelle che promuovono lo sviluppo dello spirito umano. Questo determinismo, però, è in contrasto con un'idea di libertà umana che "stacca" l'uomo dalla natura in base al fatto che la nostra specie "ha bisogno di conoscere". L'idealismo che era uscito dalla porta, rientra dalla finestra e prende la forma dell'anarchica "propaganda col fatto". Sia dal punto di vista organizzativo (con le sue sette segrete), sia dal punto di vista politico (con il suo volontarismo), Bakunin rimane legato al cospirativismo. Il suo anarchismo è l'innesto dell'individualismo di Stirner sul collettivismo federalista di Proudhon.
Verso nuove biforcazioni
Quali furono dunque le motivazioni della rottura tra il Consiglio generale di Londra e gli anarchici? Secondo questi ultimi il Consiglio non aveva la facoltà di dirigere l'azione delle federazioni nazionali, le quali dovevano invece governarsi da sé senza nemmeno pretendere di dirigere tutte le loro sezioni provinciali o urbane, autonome anche nell'azione insurrezionale. Il Consiglio non doveva essere che una "cassetta per le lettere", chiamandosi "ufficio di corrispondenza", e non quel centro unico della strategia rivoluzionaria mondiale che ritenevano i comunisti.
Tutti gli anarchici italiani escono dall'A.I.L. e l'unico punto di riferimento in Italia per Marx ed Engels rimane La Plebe del Bignami, primo esempio di nucleo marxista italiano cui a ragione si è fatta risalire l'origine della Sinistra Comunista "italiana".
Ed è infatti a Bignami che Engels indirizza una lettera contro gli anti-autoritari, pubblicata successivamente nell'Almanacco repubblicano per l'anno 1874. Nello scritto sono trattate a fondo le ragioni della rottura con Bakunin e i suoi sostenitori.
Engels spiega che la rivoluzione è la cosa più autoritaria che ci sia, è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni. E il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio con mezzi violenti. Mentre Bakunin vede nello Stato la base di tutti i mali, il motore del capitale e l'origine del padronato capitalista, per Marx ed Engels è vero il contrario.
Con la sconfitta della Comune il movimento socialista si annichilisce temporaneamente in tutta Europa, ma non in Italia dove gli internazionalisti devono fare i conti con una realtà sociale avanzata, matura per fare il salto alla rivoluzione intesa come scienza del cambiamento sociale.
I responsabili della Federazione italiana dell'internazionale anarchica sono Andrea Costa, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta. Negli anni a venire i tre rivoluzionari saranno propugnatori di un anarchismo, del tutto particolare rispetto a quello diffuso nel resto d'Europa, che possiamo definire partitista e comunista. Cafiero scriverà il Compendio del primo volume del Capitale ("Eureka! Ho trovato gli scritti di Pisacane", sembra abbia esclamato quando, ultimato il Compendio, constatò che alcune delle idee di Marx erano state anticipate dal martire di Sapri); Malatesta sarà fautore di un progetto di organizzazione anarchica (cfr. Necessità dell'organizzazione); Costa, con la lettera intitolata Ai miei amici di Romagna, abbandonerà l'anarchismo in favore del socialismo e sarà tra i fondatori del Partito Socialista Italiano:
"Nel '79 il grande agitatore [Andrea Costa] si era staccato dai libertari, dei quali era stato uno dei maggiori esponenti in Italia, e nell'81 aveva fondato a Cesena il glorioso Avanti!. Non è nel nostro proposito svolgere tali dettagli storici, ma lo potrebbero fare ricercatori che non si fermino alle polemiche e alle vicende personali e di persecuzione ed esilio degli agitatori del tempo, ma guardino a fondo al loro apporto alla precisazione dei programmi di partito. È noto che il Costa fu un propagandista e un agitatore magnifico, e non solo, anche un ottimo organizzatore; ma forse la sua opera di teorico è rimasta poco conosciuta mentre indubbiamente fu notevole. Alla fine di quel decennio il marxismo si introdusse in Italia; e con grande fatica si dispersero, seppure non in tutto, le deformazioni polemiche dei Mazzini e dei Bakunin. L'errore libertario cominciò a vacillare. A noi non sembra molto importante che un grande anarchico, Carlo Cafiero, prima di morire nel 1882 abbia inviato al Bignami della Plebe una lettera in cui approvava la partecipazione alle elezioni politiche; molto importante è invece che proprio Cafiero abbia stampato in Italia il famoso riassunto del Capitale, quando era intellettualmente in pieno vigore. Per Andrea Costa, era cosa ben chiara che l'adozione della tattica elettorale, se distingueva i socialisti dagli anarchici (e non da tutti questi), non aveva affatto il carattere, a cui per venti o trent'anni tutti hanno creduto, di ammettere che il potere politico possa dal proletariato essere conquistato per via legale e senza rivoluzione armata." (Storia della Sinistra Comunista, vol. I, Ediz. Programma comunista, 1964)
LETTURE CONSIGLIATE
- Cattaneo Carlo, su Liber Liber, www.liberliber.it/libri/c/cattaneo/index.htm sono disponibili gratuitamente diverse opere.
- Fabbri Luigi, Carlo Pisacane, F. Serantoni, 1904. Disponibile gratuitamente anche sul sito Liber Liber: http://www.liberliber.it/online/autori/autori-f/luigi-fabbri/
- King Bolton, Storia dell'Unità d'Italia, 4 voll., Editori Riuniti 1960.
- Mack Smith Denis, Mazzini, Rizzoli 2000.
- Malatesta Errico, Necessità dell'organizzazione, in L'agitazione, 11 giugno 1897.
- Marx Karl, Engels Friedrich, Sul Risorgimento italiano, Editori Riuniti 1959.
- Marx Karl, Engels Friedrich, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, 2000
- Marx Karl, L'Internazionale operaia, Editori Riuniti 1993.
- Marx Karl, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi 1968.
- Mazzini Giuseppe, su Liber Liber, www.liberliber.it/libri/m/mazzini/index.htm, una dozzina di opere gratuite.
- n+1, La peculiarità della Sinistra Comunista "italiana" e il suo tormentato retroterra storico, http://www.quinterna.org/rivista/12/peculiarit%C3%A0_sinistra.htm
- n+1, La classe dominante italiana a 150 anni dalla formazione del suo stato nazionale, http://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/30/la_classe_dominante_italiana_01.htm
- n+1, L'Italia nell'Europa feudale. Il retroterra storico del capitalismo più antico del mondo, http://www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/35/35_rivista.htm
- PCInt., La classe dominante italiana ed il suo stato nazionale, in Prometeo prima serie n. 2 del 1946.
- PCInt., Il ciclo storico del dominio politico della borghesia, in Prometeo prima serie n. 5 del 1947.
- PCInt. La "mancata rivoluzione borghese" in Italia alla luce dei rapporti tra industria e agricoltura, in Prometeo prima serie n. 1 del 1946.
- PCInt., L'invarianza storica del marxismo, 1952, ora in Per l'organica sistemazione dei principii comunisti, Quaderni Internazionalisti.
- PCInt., I rapporti delle forze sociali e politiche in Italia, in Battaglia comunista n. 47 del 1949.
- PCInt., Il rancido problema del Sud italiano, in Prometeo seconda serie n. 1, novembre 1950.
- PCInt., "Meridionalismo e moralismo". Antiche e nuove paralisi del moto proletario in Italia, in Il programma comunista nn. 20 e 21 del 1954.
- PCInt., Pisacane e loro, in Il programma comunista n. 7 del 1954.
- PCInt., Storia della Sinistra Comunista, vol. I, Ediz. Programma comunista, 1964.
- Pisacane Carlo, La rivoluzione in Italia, Editori Riuniti 1968. Disponibile gratuitamente anche sul sito Liber Liber http://www.liberliber.it/online/autori/autori-p/carlo-pisacane/
- Rosselli Nello, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Einaudi 1967.
- Rosselli Nello, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Einaudi 1977.
- Russi Luciano, Carlo Pisacane. Vita e pensiero di un rivoluzionario, con un monumentale apparato di note bio-bibliografiche, Il Saggiatore 1982.
- Kaminski Hans Erich, Bakunin. Vita di un rivoluzionario, Graphos 1999.