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  • Resoconto teleriunione  6 novembre 2012

Da OWS ad Occupy Sandy

In relazione alla recenti conferenze tenutesi a Milano e Torino da Loren Goldner, si segnala un'intervista radio allo studioso americano in circolazione su Facebook dal titolo "Dalla crisi al movimento Occupy – una chiaccerata con Loren Goldner".

Durante la teleconferenza erano in corso le votazioni per l'elezione del presidente degli Stati Uniti, elezioni che hanno visto contrapposti il democratico Obama e il repubblicano Romney. Nel periodo di campagna elettorale i siti della galassia Occupy - abbiamo tenuto d'occhio un campione di 12 tra gli hub più importanti del movimento – non hanno pubblicato articoli o interventi in merito all'importante sfida ostentando piuttosto indifferenza verso i risultati della votazione. Solo alla fine della grande baraonda mediatica, da cui è uscito vittorioso Barack Obama, il sito di Occupy Wall Street ha pubblicato un interessantissimo post in cui si mette a confronto l’incapacità dello Stato di gestire l'emergenza (non solo quella legata all’uragano Sandy, ma quella quotidiana del 99%) e la catena organizzativa di solidarietà messa in piedi dal movimento sull'esperienza maturata durante l'occupazione di Zuccotti Park.

"Oggi, ci viene detto, dobbiamo uscire e partecipare al cosiddetto processo politico: alzarsi ed essere contati, fare sentire la nostra voce, scegliere l'uomo che presumibilmente meglio rappresenta i nostri interessi. Va bene. Noi non siamo a favore o contro tutto questo. Siamo agnostici. In realtà, stiamo vivendo e morendo in tutto un altro universo. Siamo alieni che dal futuro riconoscono i pericoli e le promesse dal nostro ultimo disastro".

Proprio in relazione all'uragano Sandy, è stata postata sempre sullo stesso sito una foto più rappresentativa di mille proclami: di fronte ad una New York al buio a causa del passaggio del ciclone, il grattacielo della Goldman Sachs svetta completamento illuminato, come a voler ricordare che l'1% si può permettere quello che i comuni mortali possono solo sognare.

In seguito ai danni provocati da Sandy, OWS ha messo in moto un'azione coordinata di soccorso per aiutare i quartieri colpiti. Come al tempo dell'occupazione di Zuccotti Park, nelle foto si vedono gli occupiers alle prese con fornelli e piatti di minestra, mentre i network del movimento (Occupy Wall Street, 350.org, recovers.org e interoccupy.net) sono stati utilizzati per gestire l'operazione d'aiuto. Ancora una volta l'approccio anti-ideologico degli americani fa la differenza rispetto alla sinistra chiacchierona del Vecchio continente. Invece le misure adottate dallo Stato americano per far fronte all'emergenza sono state simili a quelle impiegate per Katrina, l'uragano che circa 7 anni fa devastò la citta di New Orleans: mobilitazione delle forze dell'ordine e approntamento della Guardia Nazionale nella zona colpita per gestire eventuali disordini.

La rete di solidarietà di solidarietà soprannominata Occupy Sandy si riallacia a quanto abbiamo scritto sulla newsletter numero 171 in merito alle reti di mutuo soccorso al tempo dello Tsunami giapponese:

"Ancora social network in azione, questa volta nel Giappone disastrato. Internet è stata subito protagonista della rete di soccorsi: Google ha istituito un servizio di Person Finder per mettere in contatto o cercare persone disperse nel paese; Twitter ha permesso di gestire informazioni in tempo reale; Facebook ha fatto la sua parte, con foto, video e aggiornamenti pubblicati dalle persone direttamente dai luoghi non ancora raggiunti dai media. Sembra che le catastrofi sociali e i mezzi tecnologici spingano gli uomini ad amplificare il senso di cooperazione e a superare l'egoismo individualistico. Il marxiano general intellect è appena uscito dal sistema di macchine della fabbrica permeando tutta la società: la borghesia non può permetterselo, reprimerà (se potrà)."

Nei momenti di forte disagio sociale gli uomini sono spinti ad utilizzare gli strumenti messi a disposizione per uscire dalla logica egoistica e cooperare, il marxiano cervello sociale diventa realtà. Tale dinamica si può rintracciare anche nel modus operandi di Anonymous. Lo scorso 5 novembre a Westminster centinaia di manifestanti hanno marciato anonimamente con addosso la maschera di Guy Fawkes per celebrare l'anniversario della Congiura delle polveri, il tentativo avvenuto nel 1600 di far saltare il parlamento inglese.

La nostra corrente negli anni cinquanta disse che "la rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima". E ancora: "Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire." La struttura di Anonymous è quella più in sintonia con la Rete, e cioè con quello di più avanzato che mette a disposizione lo stesso capitalismo. Se non c'è più bisogno del Grande Uomo nella storia, allora vuol dire che si sta mettendo in moto una dinamica che non risponde più alle leggi della presente forma sociale. D'altra parte, se noi non potessimo già scorgere nascoste in questa società - così com'è - le condizioni materiali di produzione e di relazioni fra gli uomini, corrispondenti ad una società senza classi, ogni sforzo per farla saltare sarebbe donchisciottesco (Karl Marx, Grundrisse).

In quest'ottica risulta interessante seguire il movimento che si sta formando intorno allo sciopero generale europeo indetto per il prossimo 14 novembre e che trova eco nei social network con appelli alla mobilitazione internazionale. Sarà interessante osservare l'evolversi della manifestazione, anche su Chicago86 è stato pubblicato uno degli appelli che circolano in rete. Inizialmente lo sciopero, indetto dalla Confederazione europea dei sindacati, è partito da Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta. Nell'ultima settimana hanno aderito anche i sindacati irlandesi, quelli italiani (CGIL e FIOM) ed importanti sindacati francesi e tedeschi. Pure dal Sud America si annunciano azioni di solidarietà. Non bisogna fermarsi certo alle parole d'ordine, né tantomeno al numero delle ore di sciopero (la CGIL ne proclama 4 gestite a livello territoriale). La cosa interessante è la modalità organizzativa e l'uso dei social network per amplificare i contenuti della protesta. Probabilmente il vento che arriva dall'America comincia a soffiare anche qui da noi. Il movimento reale spinge: strutture confederali nazionali sono costrette a confrontarsi su piattaforme internazionali. Sul sito inglese Libcom si mette in evidenza che nonostante lo sciopero sia promosso dai sindacati nazionali può essere riempito di contenuti al passo con i tempi.

In Grecia siamo alle prese con l'ennesimo sciopero generale, con imponenti manifestazioni di rabbia e malessere sociale. Come scritto qualche resoconto fa, restando all'interno degli angusti confini nazionali i proletari non andranno da nessuna parte. Solo con un coordinamento internazionale si può estendere la lotta e renderla più incisiva.

Il 6 novembre è apparso su Il Sole 24 Ore un articolo riguardo la somiglianza della situazione economica tra Grecia e Giappone. I grandi colossi tecnologici giapponesi sono ingolfati dai debiti e saranno costretti a licenziare in massa forza lavoro, mentre le industrie guadagnano più con la speculazione finanziaria che con la produzione vera e propria. Tokio è in una situazione di pre-agonia: milioni di pensionati e una quantità sempre inferiore di giovani che entrano nel ciclo produttivo; nonostante il Giappone stampi moneta a tassi d'interesse bassissimi, i giapponesi invece di spendere, mettono da parte e sono sempre meno in grado di assorbire un debito pubblico in crescita esponenziale.

La situazione giapponese è generalizzabile a tutto il mondo. Le condizioni di vita dei proletari tendono a generalizzarsi e quindi vedremo nascere tentativi di organizzazione internazionale. I processi di organizzazione delle lotte vanno di pari passo con i processi di crescita politica: evolvendo l'organizzazione evolve pure il linguaggio.

In un'intervista dell'Aspen Institute, Tremonti si scaglia con forza contro un sistema economico con l'acqua alla gola. Quelli che girano per le banche sono solo segni di valore, non più denaro reale. Questo sistema mondiale autonomizzato domina incontrastato su tutto: i mercati, gli Stati e le nostre vite. Tremonti pensa come un ragioniere o un amministratore di condominio, ma l'analisi seppur semplificata della finanziarizzazione è abbastanza lucida:

"Dall'uovo primigenio del capitale circolante è venuto fuori, tra magma ed enigma, un tipo nuovo di capitale: quello che si è detto essere ora il capitale dominante. Una forma nuova di capitale che in soli venti anni si è autonomamente sviluppata attraverso successioni di numeri e segni astratti, indipendenti dalla realtà materiale sottostante, indipendenti dallo scambio di cose e perciò capaci di moltiplicarsi potenzialmente all'infinito. E che per questo è tanto forte da dominare tutto il resto: i mezzi di produzione, la forza lavoro, gli Stati, le nostre vite."

Il nostro articolo sull'autonomizzazione del Capitale dimostra l'irreversibilità del sistema, cosa che Tremonti, da riformista liberale, non può ammettere. Difatti il processo storico di autonomizzazione del valore è un movimento distruttivo rispetto ai modi di produzione che precedono il capitalismo. È un movimento sconvolgente perché non può essere semplicemente con-formista, dato che la sua ragione di essere è di superare la vecchia forma; né può essere ri-formista, dato che quando si afferma non si limita a modificarla ma spazza via realmente ogni vecchio residuo sociale trattandolo come un nemico; quindi non può essere che anti-formista, perché il suo radicale modo di essere distrugge persino sé stesso.

E’ recente la notizia secondo cui Apple e i più importanti editori statunitensi avrebbero ceduto alle pressioni dell'Unione Europea sul mercato e-book. È la fine del cartello che ha tenuto artificialmente alti i listini. Tutta la filiera legata alla carta (trasporto, inchiostro, ecc.) potrebbe tranquillamente chiudere. La generalizzazione dei lettori multimediali apre una fonte di valore non indifferente ma ne chiude un'altra ben più notevole. Sparisce tutta una struttura capitalistica perché basta un software al posto di tonnellate di carta. Un vantaggio enorme, un’altra fetta di pensante capitalismo che viene smaterializzata.

Nel testo di J. Camatte "La rivoluzione russa e la teoria del proletariato" si afferma che Bordiga mantenne lo schema di Marx intravedendo la Germania come fulcro nevralgico per la futura rivoluzione proletaria. Al giorno d'oggi la Germania è un paese tra tanti altri, il Capitale è maggiormente radicato nei paesi anglosassoni (Regno Unito, Usa). Bordiga opera una buona sintesi quando traccia l'asse Po-Reno che vede coinvolti Francia, Germania e Italia. Dobbiamo fare dei modelli precisi, ovvero partire dal cuore pulsante del Capitale mondiale, gli USA e l'Inghilterra, ed elaborare gli scenari possibili tenendo presente l'importante ruolo della Cina sullo scacchiere mondiale, quello del Giappone, gigante fiacco e malmesso, e quello dell'Europa, che pur avendo un notevole peso dal punto di vista economico (più degli Usa e dell'Inghilterra) non può essere vista come un'entità politica unitaria.

Il modello è la sintesi estrema di una situazione di partenza data ed è di facile elaborazione se si hanno i dati giusti: PIL e andamento nel tempo. La risposta del modello è drastica, come scritto nel numero della rivista sulla crisi. E gli scenari che il modello delinea non possono essere indefiniti: Capitale autonomizzato, Stati che non riescono a controllare i flussi di valore. Dal MIT al Club di Roma ai vecchi geopolitici, c’è stata una modellizzazione effettiva. Giovanni Arrighi, ad esempio, è un modellista molto conosciuto. Ma quello che risulta difficile nella costruzione dei modelli è porre la domanda giusta e non cadere nell'assolutizzazione di piccole discretizzazioni. Bordiga non pone mai un'assolutizzazione sulla funzione tedesca nella rivoluzione mondiale tanto che uno studio strategico sulla stessa non è mai stato fatto. La Germania potrebbe essere un catalizzatore, un elemento che provoca o subisce degli avvenimenti, com'è successo nel passato.

La Germania ha 84 milioni di abitanti di cui 44 lavorano, 47 milioni con i disoccupati. In Italia su 60,4 milioni di abitanti ne risultano occupati solo 23, 10 milioni dei quali in modo precario o "atipico", e 2 o 3 milioni cercano lavoro. Non se la cava troppo male di fronte a temibili concorrenti come Germania, Giappone, Francia e Regno Unito, ma è debole nell'industria, anche perché i suoi proletari industriali sono pagati a livelli asiatici (al cambio, circa la metà di quelli tedeschi) e il salario va a comporre il valore totale sui cui si basa il PIL. In generale però ha meno occupati rispetto alla popolazione e ognuno di essi produce una quota più alta di PIL. Se ne dovrebbe dedurre che il differenziale PIL/occupato che si riscontra nel confronto con la Germania sia dovuto tutto ai servizi, visto che l'agricoltura è quasi ininfluente, ma è difficile immaginare che i servizi italiani siano più produttivi di quelli tedeschi. L'unica spiegazione possibile è che l'Italia imbrogli le carte: buona parte dei milioni di precari che lavorano nell'industria figurano tra i dipendenti di società che offrono servizi, agenzie interinali, cooperative, ecc. Il divario è certo dovuto anche alla differenza d'età fra i capitalismo italiano, che ha mille anni, e quello tedesco che ne ha duecento, e infatti il ricorso al lavoro esterno (contrariamente a quanto comunemente si pensa) è fenomeno modernissimo, da capitalismo decadente. Diverso è il motivo del divario fra Stati Uniti e Germania: essi sono entrambi paesi capitalisticamente giovani, ma gli Stati Uniti sono giunti a una posizione imperialistica egemone che ne ha accelerato la senescenza e la finanziarizzazione. Oggi l'industria rappresenta appena un quinto del PIL americano. La differenza fra vecchio e giovane capitalismo si vede bene confrontando i vari paesi con la Cina: nonostante le persistenti enormi aree agricole, la quota industriale del PIL cinese è quasi il 50% a fronte del 30% tedesco, del 25% italiano e del 20% americano.

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