Come scritto nell'articolo "La legge Biagi o il riformismo illogico del Capitale-zombie" è meglio partire subito da un assioma così da far piazza pulita dalla logica dei "diritti negati": non è la legge che produce il cambiamento, è il cambiamento che produce la legge. Ed è questo cambiamento, questo andare verso che ci interessa analizzare, abbiamo gli strumenti per vedere, toccare, analizzare gli invarianti trasformati (anticipati) del comunismo già nella società odierna. Si sviluppano contraddizioni enormi che aumentano non solo il potenziale di rottura insito nel capitalismo, ma sono lo specchio di un processo materiale che mette in discussione l'essenza stessa di questa formazione economica e sociale a favore di una società diversa. Processo materiale che già Marx aveva delineato nella "Critica del programma di Gotha", dove ipotizzava, per la fase inferiore della società comunista l'utilizzo di buoni-lavoro. Il lavoratore in questa fase "riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro, e con esso ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto equivale a un lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra". Certo, non è comunismo in quanto vige ancora lo scambio tra equivalenti tramite valore, ma l'importante differenza è che il lavoratore riceve quello che ha dato, meno la parte che permette alla società di riprodursi. Dal "rivoluzionamento del modo sociale di condurre l'azienda" si passerebbe al "rivoluzionamento nel modo sociale di condurre l'intera economia". Ed è proprio quello che sta accadendo: il capitalismo fa il giro del globo e socializza la produzione a livelli mai visti prima, pur di conservarsi sviluppa le forze storiche dei suoi becchini proprio mentre cerca disperatamente di rianimarsi.
Quando avevamo visto la Legge Biagi del 2003, che di fatto cancellava la vecchia contrattazione, avevamo ipotizzato che se la legge fosse stata applicata integralmente, a nessuna industria sarebbe convenuto più assumere direttamente operai. Ora si può addirittura ipotizzare l'intero mercato del lavoro gestito con il sistema dei buoni ed agenzie che gestiscono collocamento e formazione. Si tratta di un passo ulteriore nella liberazione della merce forza-lavoro dai vincoli precedenti, che diventa sul mercato come ogni altra merce in vendita o in affitto. L'operaio oltre che libero di vendere la propria forza-lavoro si è liberato anche dall'azienda-padrone fisso. La sua vita non è più divisa fra lavoro e riposo, dentro e fuori la fabbrica: può essere chiamato in qualsiasi momento. Magari è costretto a fare due part-time pagati ad ora con un enorme spreco di tempo solo per gli spostamenti. Non solo non sa più che cosa sia un orario, ma neppure il cosiddetto tempo libero perché non ha più tempo del tutto.
Il sempre più marcato utilizzo dei buoni lavoro nella compravendita della merce forza-lavoro scompagina completamente e per sempre i rapporti dei proletari con le organizzazioni sindacali. Morta la grande fabbrica unitaria a ciclo "verticale", saltano la contrattazione collettiva generale e la sua integrazione articolata per aziende, e soprattutto diventa obsoleta la gerarchia della contrattazione stessa: per quanto tempo ancora si potrà strepitare in difesa dei vari articoli 18 o dello Statuto dei lavoratori? Emerge invece con forza l'esigenza di un'organizzazione immediata degli operai, questa volta non più legata alle fabbriche ma territoriale, non incatenata alla responsabilità verso la mortifera economica nazionale, ma struttura autorganizzata in difesa delle condizioni di vita dei proletari, siano essi occupati o disoccupati. La strada è segnata, indietro non si torna.