Le controtendenze attuate in questi anni per contrastare la crescente insolvenza delle amministrazioni pubbliche sono state principalmente due: il monetarismo e l'austerità, entrambe inefficaci rispetto alle cause materiali profonde e focalizzate piuttosto sugli aspetti fenomenici del problema, con il solo effetto, come detto sopra, di ritardare il collasso prossimo a venire. Di fronte all'incapacità politica ed economica, agli stati non rimane che espletare l'altra loro funzione portante, e cioè quella repressiva.
Nel 2005 quando l'uragano Katrina si è abbattuto sulla città di New Orleans devastandola, abbiamo assistito alla reazione armata statale con ampio ingaggio di contractor militari privati (mercenari), ma anche alla formazione di comunità-contro che, in quel caso, non andarono oltre la forma di bande o gruppi di autodifesa. Con Sandy, la tempesta che provoca la grave inondazione di New York, altre comunità-contro mettono in moto una struttura e rapporti sociali diversi, anticipatori di qualcosa d'altro. E' quindi la volta di Detroit, da cui giunge notizia che circa centocinquanta mila persone sono rimaste senza acqua corrente perché insolventi verso l'amministrazione che ha operato l'interruzione della fornitura del servizio.
Detroit è stata tra le prime città americane a fallire, e il suo tracollo è cominciato ben prima della crisi dei mutui subprime del 2008 e cioè quando l'industria dell'automobile ha cominciato a delocalizzare la produzione. Ampi spazi abbandonati vengono così occupati dalla popolazione immiserita che li trasforma in orti comuni, creando circuiti economici alternativi per combattere la fame e sopravvivere. Ora accade che il dipartimento che gestisce la fornitura idrica della città si trova di fronte ad uno scoperto di 170 milioni di dollari a causa dell'elevato numero di utenti (150mila) che da mesi non paga le bollette, e, per non gravare sulle tasche già vuote dell'amministrazione cittadina, è costretta – dice – ad interrompere l'erogazione dell'acqua. In tutta risposta nasce quindi la Detroit Water Brigade, una struttura di mutuo soccorso subito collegatasi con le altre presenti sul territorio nazionale (After Party,Occupy Sandy, ecc.) che, per far fronte all'emergenza, si auto-organizza sulla linea tracciata dal movimento OWS, dimostrando che la nascita di tali piattaforme non è peculiarità di aree specifiche.
La mancata valorizzazione del Capitale non permette un adeguato ritorno in termini di plusvalore e quindi un certo livello di welfare non può più essere sostenuto. Quello che stupisce riguardo Detroit è sia il livello quantitativo che qualitativo: numeri elevati costringono le persone a coordinarsi. Come col cohousing, un fenomeno che ormai non ha più nulla di ideologico ma è dovuto a necessità materiali.
Anche la questione delle abitazioni rientra nella crisi del welfare. A Roma è attivo un movimento abbastanza esteso che si occupa dell'"abitare" e gestisce numerose occupazioni, anche di edifici molto grandi. In tutta la capitale decine di migliaia di persone vivono in case occupate, una situazione simile si è sviluppata anche a Milano, Bologna e Torino e coinvolge sempre più proletari acquisendo una dimensione di massa. Il governo, dal canto suo, ha alzato il livello dello scontro approvando, lo scorso 21 maggio, un piano casa che toglie la possibilità agli occupanti di ricevere la residenza, con la conseguenza di non poter attivare i servizi di acqua, luce e gas.
Il problema non è diffuso solo nella società italiana. In Brasile, per esempio, sta dando filo da torcere alle forze di polizia il movimento dei Trabalhadores Sem Teto (MTST), un gruppo di lavoratori residenti in case fatiscenti o senza dimora che ha più volte manifestato con blocchi del traffico e assedi ai palazzi delle istituzioni. Lo stato brasiliano, soprattutto in vista dei mondiali, ha usato la mano pesante nei confronti delle proteste senza lasciare spazio alla mediazione, mettendo ancora più in luce la polarizzazione in atto della società e il fatto che le dinamiche contro cui deve fare i conti, tra le quali spicca la tendenza alla comunitarizzazione, sono le stesse in corso in tutti i paesi del mondo.
Un altro aspetto che sta diventando davvero preoccupante per gli stati è la gestione dei flussi migratori. Gli assalti dei disperati alle frontiere sono sempre più frequenti. L'ultimo lunedì notte a Melilla da parte di 500 immigrati, respinti da un intervento congiunto delle forze di sicurezza marocchine e spagnole. Masse di uomini spingono ai confini dell'Occidente e i governi devono gestire questa ondata. O placare le rivolte nei lager chiamati centri di identificazione ed espulsione, un altro fronte interno che potrebbe esplodere.
In ultimo, le notizie che arrivano dall'Iraq sono altrettanto importanti. L'Isis, lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, dopo aver occupato mezzo paese e fondato un califfato, si trova, secondo un lancio dell'Ansa, a pochi chilometri dalla capitale Baghdad. Nel frattempo sembra che i russi abbiamo fornito aerei da combattimento allo stato iracheno, mentre si vocifera dell'alleanza degli americani con il "governo" siriano nonché, temporaneamente, con quello iraniano. E la Turchia plaude all'ipotesi di uno stato kurdo all'interno del paese. Quanto sta accadendo in Iraq scompagina tutti gli equilibri che si erano determinati negli ultimi anni.
Comunque, l'America ha una strategia precisa, quella descritta nel numero della rivista sulla politiguerra. Gli americani, se un tempo si sentivano "investiti da Dio", occupavano i territori e operavano il nation building, dopo la seconda guerra mondiale hanno cambiato obiettivo: come nel film L'invasione degli Ultracorpi, gli imperialisti arrivano, infettano e se ne vanno. Mettono in piedi un governo fantoccio che gestiscono attraverso le basi militari costruite nel deserto, isolate, autosufficienti, aliene come non mai; e si fanno pagare con una rendita in petrolio o altro. Si va sempre di più verso un dominio imperialistico che non è più quello di Lenin, un imperialismo che è veramente alieno di fronte alle forze che combatte e che lo combattono.