"Nella misura in cui il capitale accumula, la situazione dell'operaio, qualunque sia la sua mercede, alta o bassa, deve peggiorare. La legge infine che tiene la sovrappopolazione relativa o esercito industriale di riserva in costante equilibrio col volume e l'energia dell'accumulazione inchioda l'operaio al capitale più saldamente di quanto i cunei di Efesto inchiodassero Prometeo alla sua roccia. Essa determina un'accumulazione di miseria corrispondente all'accumulazione di capitale. L'accumulazione di ricchezza ad un polo è quindi nello stesso tempo accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, abbrutimento e degradazione morale al polo opposto" (Marx, Il Capitale, Libro I, cap XXIII).
Marx ed Engels scrissero a chiare lettere ciò che masse di uomini intuivano: il capitalismo è da abbattere e non è possibile conquistare "guarentigie", cioè garanzie durevoli, all'interno di esso: nella rivoluzione comunista i proletari non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene.
Proprio per evitare un'esplosione incontrollabile di violenza, la società capitalistica ha cercato di mettere in atto "cause antagonistiche" che potessero attenuare o rallentare l'efficacia della legge assoluta dell'accumulazione. Il keynesismo fu una medicina valida per evitare la rivoluzione sociale, redistribuendo parte del valore presente nella società in modo da stimolare la produzione e i consumi; oggi invece non rappresenta più una via d'uscita perché ormai è malata la struttura stessa del sistema. Un modo di produzione che dissipa la maggior parte dell'energia sociale al solo fine dell'autoconservazione è un cadavere che ancora cammina, uno zombie.
Processi di informatizzazione e robotizzazione della produzione spingono la società verso un cambiamento di forma. Deutsche Bank, a seguito dell'automazione di alcuni suoi servizi, sta preparando una maxi-sforbiciata del personale (9 mila operatori saranno sostituiti da macchine), mentre Siemens eliminerà a breve 6 mila posti di lavoro. In un interessante articolo pubblicato sul sito MotherJones, intitolato "You Will Lose Your Job to a Robot—and Sooner Than You Think", si dice: "Finché non scopriremo come distribuire equamente i frutti del lavoro dei robot, sarà un'epoca di disoccupazione di massa e di povertà di massa."
E di povertà, ed in particolare negli Stati Uniti, tratta anche il libro del Gruppo Abele intitolato Guai ai Poveri. La faccia triste dell'America: "Nel Paese dove vive il 41% delle persone più ricche dell'intero pianeta, 1/3 della popolazione (105.303.000 di persone) fa fatica a far fronte ai bisogni più elementari." Questo spiega perché proprio negli Usa è nato Occupy Wall Street, movimento che voleva spazzare via il sistema dell'1%, quello che succhia il sangue al restante 99%: "Ci hanno buttato fuori dalle nostre case. Ci hanno costretti a scegliere tra mangiare o pagare l'affitto. Ci è negata l'assistenza medica. Soffriamo per l'inquinamento. Quando un lavoro l'abbiamo, facciamo orari impossibili per paghe basse e nessun diritto." (Testo di apertura del sito We are 99%)
In Europa, anche la Germania deve fare i conti con un assetto strutturale che sta cominciando a scricchiolare. In un articolo sul PIL del gigante industrale europeo, il Sole24Ore sostiene che l'aumento del 2,8% è dovuto ai bassi salari (il salario minimo è fissato a 8,5 euro lordi l'ora). La borghesia tedesca riesce a mantenere artificialmente alta l'occupazione controllando la crescita degli stipendi, ma presto dovrà fare come tutti gli altri paesi: robotizzare massicciamente la produzione espellendo forza lavoro dalle fabbriche. Gigante economico e nano politico, Berlino sarà di nuovo l'ago della bilancia della politica europea.
La discrepanza tra le misure che la situazione sociale richiederebbe e le possibilità reali d'intervento di una classe borghese mondiale incapace di ragionare in termini sistemici è enorme. Prendiamo il debito negli Usa: il debito privato dei cittadini è pari al PIL, circa 17 mila miliardi di dollari, al quale si assomma quello dell'industria, degli stati federali e della federazione nel suo insieme. Gli Stati Uniti utilizzano ampiamente l'emissione di titoli sul mercato internazionale per alimentare il proprio debito interno, garantendolo esclusivamente con la propria potenza economica e militare invece che con un corrispettivo tangibile in merci o riserve monetarie. L'ex superpotenza arranca però dal punto di vista economico, e il resto del mondo è costretto a finanziare una montagna di debito che non sarà mai riscattata. Il tutto, evidentemente, non potrà durare in eterno.
In chiusura di teleconferenza un compagno ha fatto una breve panoramica su quanto accade nel terremotato Medioriente, dove le dinamiche di guerra di tutti contro tutti vanno acutizzandosi. In Arabia Saudita è in corso una faida interna alla casa regnante, e il principe ereditario Mohammed Bin Salman ha posto agli arresti diversi esponenti della famiglia reale e altre figure di spicco. Nel piano trentennale lanciato dal principe si prevede un affrancamento del paese dagli introiti legati al petrolio (attualmente la principale entrata economica) e una "modernizzazione" della società. Dal punto di vista militare si radicalizza lo scontro con il Qatar. La "proxy war", la guerra per procura, si manifesta nel martoriato Yemen, dove i "ribelli" Houthi sostenuti dall'Iran combattono contro le truppe saudite (per lo più contractors) appoggiate dai gruppi di Al Qaeda attivi nel Golfo Persico. Si aggiunge poi il "caso" Hariri, l'ex primo ministro libanese che, da Ryiad, dichiara di non voler rientrare in Libano perché la sua sicurezza è minacciata dalla presenza di Hezbollah e dall'appoggio che l'Iran offre a questa organizzazione-stato. Tutto ciò che accade in Arabia Saudita è sempre stato deciso a Washington, ma dato che gli Usa sono in declino, è inevitabile che si modifichino gli equilibri geopolitici mondiali.
In quell'area, da segnalare il progetto "Neom" di Bin Salman, ovvero la costruzione in pieno deserto di una megalopoli (che si stima costerà 500 miliardi di dollari), automatizzata e robotizzata, alimentata da impianti solari ed eolici, con trasporti elettrici e servizi all'avanguardia. Una Silicon Valley araba? A noi sembra l'ennesima grande opera finalizzata ad attirare capitali che non trovano sfere adeguate in cui valorizzarsi, data la vulcanica esuberanza produttiva del capitalismo globale.