L'anonimato è una caratteristica peculiare dei movimenti che sono nati sull'onda della Primavera araba, e per adesso sembra che il "movimento" francese riesca a mantenersi leaderless (senza leader). La classe dominante teme di trovarsi di fronte un movimento anonimo che si auto-organizza in Rete e non risponde a nessuna forza politica parlamentare. Anche le forze di polizia francesi esprimono un certo disagio dovuto alla velocità e all'effetto sorpresa costituito dai flash mob e dai blocchi non autorizzati.
Sembra che una parte dei gilet gialli voglia trattare con il governo; l'altra invece, quella più radicale, non accetta di sedersi al tavolo con le istituzioni e vuole le dimissioni del governo. Se prendesse il sopravvento l'ala oltranzista, che per sabato 8 dicembre ha lanciato una nuova mobilitazione a Parigi, potrebbe succedere qualcosa di interessante, soprattutto se, come affermano alcuni giornali, entrassero in scena i banlieusard.
Per ora i gilet jaune rappresentano un miscuglio di classi che chiedono dei cambiamenti alla Stato. Come dice Marx ad Annenkov (1846), "la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando". Dal punto di vista della miccia sociale, questa non-classe è quella che soffre di più nei momenti di crisi, essendo schiacciata dalle due grandi classi della società capitalistica. In una situazione rivoluzionaria essa potrebbe essere l'ago della bilancia. Economisti come Paul Krugman dimostrano, dati alla mano, che in grandi paesi come gli Stati Uniti, la middle class (che comprende anche i lavoratori con alto salario) sta praticamente scomparendo. Se la lotta in Francia si radicalizzerà, rifiutando un interlocutore istituzionale, allora potrebbe diventare contagiosa coinvolgendo altre componenti sociali, e portare a scioperi ad oltranza, magari iniziando proprio dai camionisti, quelli che possono bloccare con estrema facilità gli snodi stradali.
La Francia ha una bassa resilienza (la capacità di un metallo, oppure di un sistema, di resistere al cambiamento): il governo centrale è funzionante, lo Stato è presente, ma risponde lentamente ai repentini cambiamenti sociali. L'Italia, sebbene malmessa a livello istituzionale, è invece in grado di attutire i colpi, non a caso è nato qui il trasformismo opportunistico.
Bisogna inoltre notare che in Occidente la popolazione attiva si dedica per il 50-60 per cento ai servizi, mentre altrove la stessa quota di popolazione è impiegata nell'industria. La situazione occidentale è irreversibile, non si tornerà più al 60% del PIL dovuto alla produzione industriale, né tantomeno la Cina avrà il tempo di riconvertire la sua economia al terziario. Miliardi di persone che non producono più valore sono così destinate a finire nella sovrappopolazione assoluta e dovranno necessariamente ribellarsi. Come abbiamo scritto nel volantino "Mille città" - quello sull'ondata internazionale di manifestazioni del 15 ottobre 2011 -, "sullo sfondo di una società che non funziona più, vengono a mancare le salvifiche, proverbiali, corruttrici briciole del banchetto."
I movimenti del nostro tempo, più che ad un partito o ad un sindacato, assomigliano nel loro modo di funzionare ad un organismo cibernetico: un qualcosa che riceve dati dall'ambiente e, a seconda di come è regolato, aziona dei dispositivi che producono una variazione dell'ambiente stesso. La rappresentazione più semplice di questo comportamento è una sequenza del tipo: se succede la tal cosa, allora agisci in tal modo, altrimenti in tal altro. Reagisce così un corpo vivente, una macchina progettata allo scopo, una società intera o una sua parte. Almeno dal 2011 il movimento globale di rivolta sta assumendo caratteri "autopoietici", ovvero di auto-organizzazione. Ormai non è più possibile organizzare delle lotte riproponendo delle strutture rigide e verticali: con la Rete gli atomi sociali si coordinano in maniera automatica e non hanno bisogno di capi e di strutture burocratiche. Non c'è nessun comitato centrale che decide il da farsi, il movimento si organizza da sé e si auto-aggiusta strada facendo.
Nel n. 44 della rivista - appena portato in tipografia -, abbiamo scritto, prendendo spunto da alcuni articoli dell'Economist, che "c'è un risvolto politico che dovrebbe preoccupare i capitalisti e i loro rappresentanti dello stato, ed è la distanza che separa sempre di più la popolazione dal potere centrale. Se si toglie tutto a una popolazione, dal lavoro alla possibilità di riprodursi in un ambiente artificiale connaturato al sistema dei consumi, può scattare l'indifferenza. Già di per sé negativa per un sistema che ha bisogno di essere amato, celebrato e ubbidito, essa potrebbe essere il primo gradino verso la ribellione."
I giornalisti e gli economisti meno ottusi si rendono conto che negli anni si è approfondito il solco tra cittadini e istituzioni, lo dimostrano la crescita dell'astensionismo e lo svuotamento di sindacati e partiti. In Italia, il Movimento 5 Stelle, che per qualche anno è riuscito a depotenziare la collera sociale, ha fatto il suo tempo, integrato com'è nel Sistema. E' molto probabile che sull'onda dell'esaurimento della spinta grillina emergano fenomeni radicali di tipo nuovo e dev'essere chiaro che qualsiasi movimento "contro" ha solo due possibilità per continuare a manifestarsi: o maturare verso forme radicali dandosi obiettivi e organizzazione, o integrarsi nella pratica politica corrente.
Abbiamo concluso la teleconferenza notando l'incremento degli scioperi tra i professionisti inglesi (docenti universitari, dottori e avvocati). L'Inghilterra è in piena crisi (vedi Brexit) e il gallo francese dà la sveglia a tutti. Se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente, potrebbe entrare in scena l'Italia, il paese capitalisticamente più vecchio, sede storica di esperimenti sociali che altri prendono a modello, come fu con il fascismo negli anni '20.