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  • Resoconto teleriunione  4 dicembre 2018

Marasma sociale e autorganizzazione

La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata prendendo spunto dall'articolo "Le rivolte anti elité nate dalla rabbia più che dai conti", pubblicato sul Corriere della Sera (4.12.18) a firma di Pierluigi Battista. Secondo il giornalista in vari paesi, tra i quali Francia, Usa, Italia, Germania e Inghilterra, il ceto medio sta facendo i conti con il peggioramento dei livelli di vita:

"Sono i condannati all'esclusione culturale, alla marginalità, all'irrilevanza sociale che si sentono più poveri anche se possono mantenere un Suv. Ed è la paura dell'impoverimento più dell'impoverimento in quanto tale che agita e scuote un ceto medio declassato, assediato dai nuovi dannati della terra che marciano rumorosi a distruggere un'identità sempre più incapace di difendersi: il ceto medio, non solo i diseredati orfani delle protezioni fornite da un robusto Welfare State in declino."

Sulla stessa linea Stefano Folli che sulle pagine di Repubblica, nell'articolo "Roma, Parigi e l'Europa delle debolezze", osserva che "se l'incendio francese continuasse a divampare, Macron avrebbe bisogno della solidarietà europea per placare il malessere dei ceti impoveriti. In quel caso non sarebbe possibile negare all'Italia ciò che viene concesso alla Francia." Il fenomeno francese dei gilet jaune è dunque un prodotto e al tempo stesso un fattore di instabilità politica e sociale. A seguito delle rivolte, il capo dell'Eliseo ha fatto un passo indietro sulla tassa del carburante, anche perché, secondo Le Monde, si rischiava di arrivare ad una situazione pre-insurrezionale. Ma la sua mossa potrebbe convincere le piazze a non fermarsi e ad alzare la posta in gioco, mettendo sul tavolo una nuova serie di richieste.

L'anonimato è una caratteristica peculiare dei movimenti che sono nati sull'onda della Primavera araba, e per adesso sembra che il "movimento" francese riesca a mantenersi leaderless (senza leader). La classe dominante teme di trovarsi di fronte un movimento anonimo che si auto-organizza in Rete e non risponde a nessuna forza politica parlamentare. Anche le forze di polizia francesi esprimono un certo disagio dovuto alla velocità e all'effetto sorpresa costituito dai flash mob e dai blocchi non autorizzati.

Sembra che una parte dei gilet gialli voglia trattare con il governo; l'altra invece, quella più radicale, non accetta di sedersi al tavolo con le istituzioni e vuole le dimissioni del governo. Se prendesse il sopravvento l'ala oltranzista, che per sabato 8 dicembre ha lanciato una nuova mobilitazione a Parigi, potrebbe succedere qualcosa di interessante, soprattutto se, come affermano alcuni giornali, entrassero in scena i banlieusard.

Per ora i gilet jaune rappresentano un miscuglio di classi che chiedono dei cambiamenti alla Stato. Come dice Marx ad Annenkov (1846), "la piccola borghesia sarà una parte integrante di tutte le rivoluzioni sociali che si stanno preparando". Dal punto di vista della miccia sociale, questa non-classe è quella che soffre di più nei momenti di crisi, essendo schiacciata dalle due grandi classi della società capitalistica. In una situazione rivoluzionaria essa potrebbe essere l'ago della bilancia. Economisti come Paul Krugman dimostrano, dati alla mano, che in grandi paesi come gli Stati Uniti, la middle class (che comprende anche i lavoratori con alto salario) sta praticamente scomparendo. Se la lotta in Francia si radicalizzerà, rifiutando un interlocutore istituzionale, allora potrebbe diventare contagiosa coinvolgendo altre componenti sociali, e portare a scioperi ad oltranza, magari iniziando proprio dai camionisti, quelli che possono bloccare con estrema facilità gli snodi stradali.

La Francia ha una bassa resilienza (la capacità di un metallo, oppure di un sistema, di resistere al cambiamento): il governo centrale è funzionante, lo Stato è presente, ma risponde lentamente ai repentini cambiamenti sociali. L'Italia, sebbene malmessa a livello istituzionale, è invece in grado di attutire i colpi, non a caso è nato qui il trasformismo opportunistico.

Bisogna inoltre notare che in Occidente la popolazione attiva si dedica per il 50-60 per cento ai servizi, mentre altrove la stessa quota di popolazione è impiegata nell'industria. La situazione occidentale è irreversibile, non si tornerà più al 60% del PIL dovuto alla produzione industriale, né tantomeno la Cina avrà il tempo di riconvertire la sua economia al terziario. Miliardi di persone che non producono più valore sono così destinate a finire nella sovrappopolazione assoluta e dovranno necessariamente ribellarsi. Come abbiamo scritto nel volantino "Mille città" - quello sull'ondata internazionale di manifestazioni del 15 ottobre 2011 -, "sullo sfondo di una società che non funziona più, vengono a mancare le salvifiche, proverbiali, corruttrici briciole del banchetto."

I movimenti del nostro tempo, più che ad un partito o ad un sindacato, assomigliano nel loro modo di funzionare ad un organismo cibernetico: un qualcosa che riceve dati dall'ambiente e, a seconda di come è regolato, aziona dei dispositivi che producono una variazione dell'ambiente stesso. La rappresentazione più semplice di questo comportamento è una sequenza del tipo: se succede la tal cosa, allora agisci in tal modo, altrimenti in tal altro. Reagisce così un corpo vivente, una macchina progettata allo scopo, una società intera o una sua parte. Almeno dal 2011 il movimento globale di rivolta sta assumendo caratteri "autopoietici", ovvero di auto-organizzazione. Ormai non è più possibile organizzare delle lotte riproponendo delle strutture rigide e verticali: con la Rete gli atomi sociali si coordinano in maniera automatica e non hanno bisogno di capi e di strutture burocratiche. Non c'è nessun comitato centrale che decide il da farsi, il movimento si organizza da sé e si auto-aggiusta strada facendo.

Nel n. 44 della rivista - appena portato in tipografia -, abbiamo scritto, prendendo spunto da alcuni articoli dell'Economist, che "c'è un risvolto politico che dovrebbe preoccupare i capitalisti e i loro rappresentanti dello stato, ed è la distanza che separa sempre di più la popolazione dal potere centrale. Se si toglie tutto a una popolazione, dal lavoro alla possibilità di riprodursi in un ambiente artificiale connaturato al sistema dei consumi, può scattare l'indifferenza. Già di per sé negativa per un sistema che ha bisogno di essere amato, celebrato e ubbidito, essa potrebbe essere il primo gradino verso la ribellione."

I giornalisti e gli economisti meno ottusi si rendono conto che negli anni si è approfondito il solco tra cittadini e istituzioni, lo dimostrano la crescita dell'astensionismo e lo svuotamento di sindacati e partiti. In Italia, il Movimento 5 Stelle, che per qualche anno è riuscito a depotenziare la collera sociale, ha fatto il suo tempo, integrato com'è nel Sistema. E' molto probabile che sull'onda dell'esaurimento della spinta grillina emergano fenomeni radicali di tipo nuovo e dev'essere chiaro che qualsiasi movimento "contro" ha solo due possibilità per continuare a manifestarsi: o maturare verso forme radicali dandosi obiettivi e organizzazione, o integrarsi nella pratica politica corrente.

Abbiamo concluso la teleconferenza notando l'incremento degli scioperi tra i professionisti inglesi (docenti universitari, dottori e avvocati). L'Inghilterra è in piena crisi (vedi Brexit) e il gallo francese dà la sveglia a tutti. Se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente, potrebbe entrare in scena l'Italia, il paese capitalisticamente più vecchio, sede storica di esperimenti sociali che altri prendono a modello, come fu con il fascismo negli anni '20.

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    "Da questo conflitto nascerà un nuovo disordine mondiale. Non un ordine, perché chiunque vinca, o sopravviva, non sarà in grado di riprodurre la Pax Americana. Nemmeno l'America. Washington resterà il Numero Uno per carenza di alternative. Ma il capoclassifica non potrà ostentarsi egemone globale, né forse lo vorrà. Ridurre ad unum questa Babele d'otto miliardi di anime e diverse centinaia di attori o comparse geopolitiche è affare di Dio, non di Cesare. Per quanto intuiamo, Dio non è interessato all'impresa. Preghiamo."

    Gli esperti di geopolitica si affidano al buon Dio per uscire dal caos, noi invece riteniamo che siano i processi di auto-organizzazione sociale a rompere gli equilibri precedenti facendo fare un balzo in avanti all'umanità. Superata una certa soglia, si determina una "polarizzazione" o "ionizzazione" delle molecole sociali, che precede all'esplosione del grande antagonismo di classe.

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    Il collasso sistemico è in atto e le prove sono sotto gli occhi di tutti. Lo scorso 31 luglio l'Economist ha pubblicato una rassegna di tutte le manifestazioni e i tumulti scoppiati sul pianeta negli ultimi due anni ("The pandemic has exacerbated existing political discontent"). Già prima della pandemia, a partire almeno dal 2011, gli episodi di rivolta si contavano nell'ordine delle migliaia (vedi i nostri articoli "Marasma sociale e guerra" e "Occupy the World togheter"). Secondo l'Institute for Economics and Peace (IEP), un think tank di Sydney, tra il 2011 e il 2019 i grandi movimenti di protesta sono cresciuti di 2,5 volte; nel 2020 i disordini civili sono aumentati del 10% e le manifestazioni generalizzate hanno coinvolto 158 paesi. Le epidemie hanno conseguenze sociali, sottolinea nell'articolo il settimanale inglese citando il FMI: dal momento in cui erompono allo sviluppo di disordini sociali di massa passano solitamente 12-14 mesi. L'ultimo caso in ordine di tempo è quello di Cuba, paese che nel tempo ha sviluppato un'ampia rete di intelligence in grado di schiacciare possibili rivolte e movimenti anti-governativi, ma che ora, in seguito al malessere e al disagio causati dal peggioramento della condizione sanitaria ed economica, si ritrova incapace di arginare quanto accade nella società (l'11 luglio scorso migliaia di persone hanno marciato in più di 50 località al grido di "libertà").

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