Il fenomeno francese dei "giubbetti catarifrangenti" si è diffuso memeticamente in Italia, Belgio, Olanda, Germania, Serbia, Iraq, Bulgaria, Paesi Bassi e Burkina Faso, diventando un simbolo di rivolta. Il "movimento" cerca di trovare una via per identificarsi e sul Web circola una lista di rivendicazioni che va oltre alla richiesta iniziale dei manifestanti francesi di bloccare il rialzo del prezzo del carburante. Tale lista, formulata da un gruppo che gestisce una pagina Facebook, è stata condivisa da migliaia di persone e chiede misure urgenti contro la povertà, per il sostegno ai piccoli commercianti, contro le delocalizzazioni e per un sistema pensionistico sostenibile. Dal punto di vista rivendicativo non c'è nulla di nuovo - siamo al livello dei grillini -, quello che invece è significativo è il movimento fisico che ha polarizzato decine di migliaia di atomi sociali in piazza. Ciò che conta, insomma, è la forza messa in campo, non tanto i proclami di questo o quel manifestante. E non bisogna disperare se in Italia "non succede nulla". Come avviene per i terremoti, più a lungo le scosse non si verificano in una determinata zona sismica, più alta è la probabilità che quando si manifesteranno producano effetti catastrofici.
Il discorso tenuto dal presidente Macron in diretta televisiva lunedì 10 dicembre rappresenta la cartina tornasole del grado di preoccupazione raggiunto dalla classe dominante francese rispetto a quanto sta accadendo. Le misure proposte dal capo dell'Eliseo per aumentare il salario minimo e le pensioni potranno essere realizzate solo sforando il rapporto deficit/Pil (la regola europea prevede un deficit pubblico inferiore al 3% del Pil); se l'Europa concederà tale possibilità alla Francia, allora lascerà aperta anche all'Italia la possibilità di percorrere questa strada. Naturalmente resta da vedere se le promesse fatte dal governo francese saranno mantenute.
In questo periodo anche l'Inghilterra è preda dell'instabilità politica a causa degli effetti della Brexit, e per le vie di Londra si sono visti i primi gilet gialli incolleriti. Proprio perché gli uomini cercano di conservare quello che hanno conquistato nella società, sono costretti a rivoluzionare tutte le forme sociali vigenti. Non c'è da stupirsi quindi se le mezze classi, quelle che hanno più da perdere nei processi di immiserimento in corso, scendono in strada per prime, trascinandosi dietro altre fasce di popolazione.
La crisi avanza e, come da anni andiamo dicendo, il processo è irreversibile. Tale dinamica non potrà che far crescere il caos sociale, aggravando la guerra di tutti contro tutti e gli scontri nella società, in uno scenario di collasso degli stati, delle infrastrutture interne, fino alle strutture istituzionali.
Di fronte al dilagare delle proteste in Francia, l'area "comunista" terzinternazionalista cerca di quantificare il segmento di proletari presenti nelle piazze, divisa tra chi vuole spostare il conflitto su un "terreno di classe", chi vuole egemonizzare e chi rimane indifferente rispetto a quello che definisce come un moto interclassista. Le rivendicazioni avanzate dai gilet gialli, nonché le classi presenti e il loro modo d'agire, sono direttamente collegati alla storia che li ha prodotti e nessuno può pensare di avere il potere di modificare la realtà sociale come se fosse argilla. L'indifferentismo e l'attivismo sono due facce della stessa - opportunistica - medaglia.
Più il mondo borghese naufraga nel nulla anche dal punto di vista della sua conoscenza del mondo, più gli ideologi "marxisti" lo seguono nel baratro. La società si sta disgregando e chi non è in sintonia con la linea del futuro di specie (cioè non sa mantenere nel tempo una continuità politica e programmatica) è destinato a scomparire politicamente. Il capitalismo getta nella miseria (non basso salario, ma nessuna riserva) masse sempre più vaste di esseri umani, che però hanno mezzi di coordinamento una volta inimmaginabili (per esempio la modalità organizzativa dei flash mob, che ormai è un dato acquisito dal cervello sociale). E' difficile tornare alle ampie oscillazioni economiche del passato che rappresentavano la dinamicità essenziale per il Capitale. Oggi il sistema capitalistico si sta sincronizzando verso un basso livello di crescita, come dimostrato dal grafico di figura 6 presente nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" (n+1, n. 24). Il diagramma degli incrementi relativi della produzione industriale è a forma di imbuto e si restringe verso lo zero e, bisogna ricordare, l'andamento della produzione industriale rispecchia fedelmente quello del saggio di profitto.
"Ho passato buona parte degli ultimi tre anni cercando di capire come mai l'attuale sistema capitalistico non funzioni. Ma recentemente ho incominciato a pensare molto di più sul come mai funzioni", affermava Rana Foroohar, responsabile del settore economico di Time. Effettivamente, dal 2008 ad oggi i parametri della produzione industriale non sono ritornati ai livelli ante crisi, piuttosto l'economia capitalistica nel suo insieme ha perso vitalità, essendo soggetta al secondo principio della termodinamica (entropia).
Negli anni '20 del secolo scorso la borghesia, strumento in mano al capitalismo, è riuscita a dare uno sbocco ad una situazione di forte disagio sociale, prodotto dallo sconquasso della Prima Guerra Mondiale, con i vari fascismi e i moderni sistemi di Welfare State. Attualmente l'erogazione di un reddito di base incondizionato, come suggerito dall'Economist, sarebbe l'unica mossa possibile per dare un po' di ossigeno ad un capitalismo in coma irreversibile. Ma un'auto-riforma della borghesia a livello globale è improbabile, mentre appare sempre più vivida all'orizzonte l'ulteriore degenerazione dei rapporti sociali con relativa catastrofe finale.
Durante le prossima riunione redazionale (14-15-16 dicembre) si parlerà di rivoluzioni partendo dall'articolo "Fiorite primavere del Capitale". In quel "filo del tempo" si trova una sintesi potentissima della rivoluzione in Europa dal 1848 in poi. Di fronte alla tendenza che stiamo vivendo, per cui la borghesia ha vinto ovunque e si sta addirittura estinguendo come classe, sostituita da funzionari stipendiati, non si può affermare che il comunismo sia solo "probabile": citando Lenin, siamo all'involucro che non corrisponde più al suo contenuto. Il comunismo avanza e prepara le basi per una sua esplosione vittoriosa e le conferme di questo movimento incessante si trovano dappertutto, da fenomeni come quello dell'agricoltura, settore uscito dai rapporti capitalistici e sovvenzionato dagli stati, ad una società che fa i conti con il costo marginale zero, come sostiene J. Rifkin nel suo ultimo libro.