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  • Resoconto teleriunione  8 ottobre 2024

Dall'impero americano, al caos, alla rivoluzione

La teleriunione di martedì sera ha preso le mosse dall'intervento di Lucio Caracciolo al festival di Limes a Genova 2024 ("Dall'impero americano al caos").

Le determinazioni materiali spingono gli analisti di politica ed economia internazionale ad affermazioni forti. Caracciolo sostiene che le guerre in corso riguardano la transizione egemonica, ma che nei fatti non c'è nessun nuovo candidato alla guida di un mondo post-USA, e prevede una fase più o meno lunga di caos. Va ricordato che, almeno dagli anni Settanta, si è scoperto che non esiste il caos fine a sé stesso. Gli studi sui sistemi dinamici e la complessità ci indicano l'esistenza di un caos deterministico, nel quale vi sono attrattori strani che rappresentano un nuovo tipo di ordine. Il caos non è dunque il punto di arrivo, ma rappresenta la transizione ad una nuova forma sociale. I teorici dell'autorganizzazione, ad esempio Stuart Kauffman, descrivono il margine del caos come quella "terra di confine" che rende possibili nuove configurazioni.

Nella rivista monografica "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo descritto la guerra, apertasi dopo il crollo del blocco sovietico, il miglior nemico degli USA. Quel mondo bipolare aveva trovato un equilibrio fondato sulla deterrenza nucleare ("Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio"), che oggi è venuto meno anche dal punto di vista demografico: gli americani sono circa 300 milioni mentre il resto del mondo conta oltre 7 miliardi e mezzo di abitanti. E poi, di questi 300 milioni, la maggioranza non fa parte del sistema dell'1%: lo testimoniano l'ultima ondata di scioperi e il fatto che l'esercito abbia problemi con l'arruolamento. Si sono affacciate sul mondo nuove grandi potenze, in primis la Cina, che già solo per il fatto di esistere e crescere, economicamente e militarmente, mettono in discussione il primato degli Stati Uniti.

Caracciolo, figlio di una determinata classe, conclude il suo intervento dicendo che l'Italia è ferma al vecchio paradigma, che vede ancora l'America come ombrello protettivo, e perciò la esorta a fare uno sforzo di "volontà" per affrontare i cambiamenti in corso cogliendo le opportunità che si presentano. La borghesia ragiona in termini nazionali, non capisce che il cambio di paradigma necessario è di ben altro tipo e riguarda il passaggio ad una superiore forma sociale.

Limes è l'espressione di una corrente "geopolitica" della borghesia italiana, che afferma di basare le proprie analisi sulle determinazioni reali. Ora, sono proprio i fatti materiali a far capitolare i borghesi più lucidi di fronte al marxismo. La borghesia, nel mondo attuale, un mondo in transizione, è in grande difficoltà. In particolare quella americana, che fatica a mantenere il differenziale di ricchezza prodotto rispetto agli altri, ciò che rendeva possibile l'American way of life. La classe dominante americana tenta di riportare le produzioni industriali all'interno (reshoring), ma non è possibile invertire quei processi storici che Marx spiega a partire dalla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. L'unico modo per contrastare gli effetti di tale caduta è abbassare il rendimento del capitale ma, dato che non si può ritornare alla produzione di plusvalore assoluto, il capitalismo, per esistere, deve costantemente migliorare il suo rendimento. Il ritorno ad un'America grande e potente non è dunque possibile, e lo slogan "Make America Great Again" è l'ammissione del suo declino.

L'auxologia è una disciplina che studia l'incremento decrescente dei tassi di crescita degli organismi. Può essere utilizzata per studiare quel particolare organismo che è il capitalismo. Esso, sviluppandosi, nega sè stesso: "Il mercato mondiale allora costituisce a sua volta, insieme, la premessa e il supporto del tutto. Le crisi rappresentano allora il sintomo generale del superamento della premessa, e la spinta all'assunzione di una nuova forma storica" (Marx, Grundrisse).

In questa situazione sociale di marasma sociale e guerra, quelli più in difficoltà sono gli USA, che vivono la condizione peggiore, dato che per difendere sè stessi devono farsi carico dei destini del mondo. Gli Stati Uniti non possono accettare che venga intaccato il ruolo del dollaro come valuta di riserva globale, e quindi sono costretti a fare una guerra preventiva e infinita a tutti. Al momento, è aperto il fronte di guerra con la Russia e la situazione in Medioriente si fa sempre più complicata (da Gaza si è passati al Libano, agli Houthi, alle milizie filoiraniane in Iraq e Siria, all'Iran), senza contare il quadrante rappresentato dall'Indopacifico.

Gli interessi di Washington fanno il giro del mondo e, se vengono intaccati, i primi a subirne gli effetti sono proprio i cittadini americani. Per questo abbiamo dato particolare importanza a ciò che accade nel "ventre della balena", dalle manifestazioni contro la guerra alla proliferazione delle comunità antistato fino alla nascita di Occupy Wall Street.

Nell'ambito della guerra in corso in Medioriente è da segnalare l'invito di Benjamin Netanyahu alla popolazione iraniana a sollevarsi contro il pretume nero: "Non c'è posto dove Israele non possa arrivare per proteggere il proprio popolo. Il regime vi sta portando verso l'abisso ma i nostri due antichi popoli, il popolo ebraico e il popolo persiano, saranno finalmente in pace". La guerra ibrida coinvolge direttamente le popolazioni tramite la destabilizzazione interna degli Stati, anche attraverso partigianerie e agenti d'influenza. Israele, appoggiando forze d'opposizione interne all'Iran, cerca di portare il paese alla guerra civile. Se si innesca questo tipo di processo, può succedere di tutto: non è detto che la caduta degli Ayatollah porti ad una società libera e democratica, come auspicato dagli Occidentali. Israele vorrebbe coinvolgere militarmente l'America perché non ha una struttura logistica e militare tale da poter attaccare in maniera "classica" l'Iran. Le guerre d'oggi sono senza via d'uscita e sono destinate a trascinarsi per decenni. L'Iraq è diviso in aree controllate da diverse milizie, gli stati di Libia, Siria e Libano dissolti o semi-dissolti; la destabilizzazione diventa il modo di essere di un sistema mondiale teso al collasso.

La guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, nel discorso tenuto con il fucile accanto, ha detto che l'Iran è in guerra e che è pronto a lottare per la sua sopravvivenza. Anche Israele sta lottando per la sua tenuta interna. Tel Aviv deve creare zone di sicurezza in Libano al fine di respingere Hezbollah, distruggere Hamas, "bonificare" la Cisgiordania e neutralizzare le forze ostili presenti in Siria, Iraq e Yemen. Componenti di destra israeliane premono per la costruzione del Grande Israele, ma il dato di fatto è che Israele si sta giocando tutto.

Per rispondere all'attacco del 7 ottobre l'IDF ha ammazzato quasi 50mila persone nella Striscia di Gaza, e per uccidere Hassan Nasrallah ha demolito un quartiere di Beirut. L'escalation potrebbe andare fuori controllo, portando ad uno scontro diretto con l'Iran, paese grande, popoloso e moderno che con i suoi missili può arrivare, potenzialmente, a saturare il sistema difensivo israeliano. Iron Dome non impedisce qualsiasi tipo di offesa: se l'attacco iraniano del 13-14 aprile con droni e missili balistici mirava, tra l'altro, a testare la capacità di risposta israeliana, quello del 1° ottobre, caratterizzato dal lancio di circa 180 missili, alcuni dei quali tecnologicamente avanzati, ha dimostrato che lo "scudo di ferro" non è impenetrabile, dato che diversi missili sono riusciti a raggiungere infrastrutture militari e civili. Pensiamo alle conseguenze di un possibile attacco condotto con svariate centinaia di missili, anche ipersonici. Con l'esplosione dei cercapersone e dei walkie talkie in dotazione a Hezbollah, è diventato chiaro che qualsiasi dispositivo tecnologico può diventare un bomba. La guerra ibrida è anche questo, al pari di quella informatica: qualche anno fa hacker iraniani hanno colpito, mandandola in tilt, l'infrastruttura tecnologica dell'Albania.

La corrente cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", è sempre stata anti-indifferentista: valutava se l'esito di una guerra potesse far avanzare o meno la rivoluzione. Israele è la testa di ponte dell'America nel Medioriente, un suo eventuale collasso (per motivazioni interne o esterne) cambierebbe tutta una serie di equilibri nell'area. Ma anche una disfatta degli USA provocherebbe conseguenze importanti, e non soltanto in quell'area.

La Seconda Guerra Mondiale ha prodotto un ordine imperialista a guida USA e, infatti, la nostra corrente aveva auspicato la vittoria delle potenze dell'Asse piuttosto che degli Alleati perché, se fosse caduto il bastione americano, l'ordine capitalistico sarebbe venuto meno. Per queste affermazioni Bordiga si attirò accuse di filonazismo dagli stalinisti. Oggigiorno nessuno può "creare" un nuovo ordine borghese. Non può emergere una potenza in grado di ripristinare un ordine capitalista. La guerra è infinita per motivazioni intrinseche alla dinamica capitalista: è guerra civile tra classi, ma anche tra aziende e tra stati. Nell'articolo "Guerra in Europa" abbiamo scritto che sarebbe auspicabile che la Russia, invece di guardare all'Europa (ruolo conservatore), si volgesse verso le ex repubbliche sovietiche dell'Asia (ruolo rivoluzionario). Se dovessimo auspicare la sconfitta di qualche stato, punteremmo innanzitutto su quella del gigante americano, poiché rappresenterebbe un'accelerazione verso il crollo del capitalismo mondiale.

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