Con una bassa crescita del Pil e un'altissima disoccupazione, la classe dominante italiana ha sicuramente la necessità di un governo tecnico efficiente che riduca al minimo le chiacchiere parlamentari. Un compagno ha segnalato il testo Governi tecnici e tecnici al governo, una ricerca condotta da un gruppo di costituzionalisti sotto la direzione di Mauro Volpi nell'ambito del tema Istituzioni democratiche e amministrazioni d'Europa: coesione e innovazione al tempo della crisi economica dove, ricostruendo la storia che ha portato alla nascita del governo Monti nel 2011, si descrive la situazione esplosiva in cui versa(va) l'Italia, con il pericolo di default e i grossi problemi che avevano coinvolto Berlusconi e la sua maggioranza parlamentare. In quell'occasione cominciò a ventilarsi il nome dell'economista Mario Monti che era stato precedentemente commissario europeo per la vigilanza sui mercati. In tutta questa vicenda, oltre al ruolo svolto dagli organismi internazionali che "suggerirono" al governo in carica di farsi da parte, fu centrale il ruolo di Napolitano che preparò il terreno nominando l'economista Senatore a vita, il quale ricoprì poi nello stesso tempo le cariche di Presidente del Consiglio e Ministro dell'Economia e delle Finanze. Il tutto senza essere espressione di alcuna formazione politica parlamentare.
All'interno della classe borghese storicamente intesa, si può riscontrare l'esistenza di varie correnti, con coloriture politiche e ideologiche differenti, che auspicano il superamento della forma parlamentare in favore della costituzione di governi tecnici "puri". E' perlomeno dagli inizi del '900 che negli Usa alcuni settori sociali spingono per tale soluzione; basti pensare ai lavori del tecnocratico T. Veblen, ad esempio Gli ingegneri e il sistema dei prezzi (1921), in cui viene auspicata la formazione di un "soviet di tecnici autoselezionato". In Francia ci pensò il giornalista di destra Georges Valois con il suo Appel aux technicians (1929) a lanciare l'idea uno Stato tecnico presieduto da un'assemblea sindacale che detenesse le leve di comando dell'economia, indicando nei tecnici gli unici in grado di poter dirigere uno stato moderno, proprio perché capaci di dirigere l'intero processo produttivo. Negli anni '30, in seguito al crack borsistico del 1929 che portò alla Grande depressione, la democrazia scricchiolava in tutto il mondo ed emergeva del tutto spontaneamente la necessità di una nuova forma di governance.
Oggi, dati i problemi che attanagliano un paese a capitalismo avanzato come l'Italia, un governo tecnico "puro" non si dovrebbe limitare ad inserire la figura di un tecnico a capo del governo, ma dovrebbe essere composto interamente da tecnici e funzionare esattamente come una fabbrica, con i suoi input e output, in grado almeno teoricamente di rovesciare la prassi ovvero di frenare l'enorme anarchia insita nel sistema dando un minimo di ordine e stabilità alla società.
In Italia una forma sofisticata di corporativismo fu teorizzata da Adriano Olivetti secondo cui la fabbrica non doveva essere concepita come unità separata dal resto della società, ma come parte integrante di un tutto che si espandeva su di un comprensorio urbano e agricolo. Olivetti, in qualche modo, rappresenta il terreno da cui è emerso il Movimento 5 stelle, che agli esordi attaccava il sistema dei partiti e si definiva un non-partito. Nel saggio Democrazia senza partiti (1949), l'industriale di Ivrea affermava:
"Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico inadeguato. Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato."
Proprio dall'ambiente della Olivetti escono personaggi chiave della politica italiana come A. Peccei (Club di Roma) e B. Visentini ("governo istituzionale"). Con tutt'altra preparazione scientifica, anche Renzi nell'intervento al meeting della Leopolda del 2014 aveva tentato di proporre un esecutivo libero da chiacchiere parlamentari ed aveva messo insieme un programma politico di stampo neo-keynesiano basato sui seguenti punti:
- 80 euro alle famiglie a basso reddito come provvedimento-tampone in vista di aumentare la "propensione marginale al consumo" aumentando i redditi più bassi;
- ridistribuzione del reddito da realizzare con provvedimenti utili alla ricostituzione di una fascia media di consumatori (e non con la leva fiscale);
- accorpamento di tutti gli ammortizzatori sociali in una legge che regolamenti un unico provvedimento sul "salario ai disoccupati";
- eliminazione delle 43 tipologie di lavoro precario introdotte dalla legge Biagi;
- eliminazione dei contratti di lavoro a scadenza fissa e loro sostituzione con la contrattazione aziendale;
- contratto di lavoro unico per tutte le categorie (è una direttiva europea recepita dal governo);
- eliminazione della legge n. 300/1970 "Statuto dei lavoratori"; la Legge 300 va considerata come ingerenza dello stato nel rapporto fra lavoratore e imprenditore, dato che come tutela c'è già il previsto contratto unico;
- superamento del consociativismo a tutti i livelli; il governo non è l'interlocutore naturale dei sindacati; se questi hanno qualcosa da rivendicare si rivolgano agli imprenditori.
Uno dei punti in agenda del prossimo governo dovrebbe essere il reddito di base o di cittadinanza, in modo da agire sulla propensione marginale al consumo. La borghesia italiana dovrà ricorrere alle essenziali "cause antagonistiche alla caduta del saggio di profitto" se vorrà far ripartire i consumi e la produzione. Già l'economista F. von Hayek, uno dei massimi esponenti della scuola austriaca e critico verso l'intervento statale in economia, si era dichiarato propenso ad una forma di reddito di base. E anche M. Friedman, esponente principale della scuola di Chicago, si è mostrato in qualche modo favorevole ad un sostegno al reddito con la formula dell"'imposta negativa". Tutt'oggi ci sono correnti liberali, libertariane e anarcocapitaliste che vedono positivamente l'introduzione di un reddito di base, inteso come fonte di libertà dell'individuo contro le molteplici e paternalistiche forme di assistenza statale.
Si è poi passati a parlare del marasma sociale planetario. Sulla pagina Facebook "Iranian Protests Live Information 2018" vengono segnalate le manifestazioni e gli scioperi in corso nel paese, a dimostrazione che la situazione è tutt'altro che tornata alla "normalità". In Tunisia da giorni proseguono gli scontri tra giovani manifestanti e forze dell'ordine: l'ultimo bollettino parla di 778 arresti. Il governo ha dichiarato che si adopererà con misure sociali quali l'aumento del reddito di sussistenza per i più poveri. Nelle strade tunisine, a sette anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini, ad essere ricordate sono le parole d'ordine della Primavera araba (pane, lavoro e libertà), puntualmente tradite dai governi e dai politici. L'Italia annuncia che prenderà parte ad un comando interforze che invierà uomini e mezzi nel paese nordafricano. Ufficialmente i militari italiani addestreranno le forze tunisine contro il terrorismo e per la sorveglianza delle frontiere; in realtà sappiamo che, almeno dalla Comune di Parigi, tutte le borghesie si coalizzano contro il loro grande nemico, il proletariato in lotta.
Nelle recenti rivolte e scioperi scoppiati in Iran, Tunisia, Sudan e Grecia si può facilmente notare che se manca un organismo politico con un programma ben definito in grado di rovesciare la prassi, ogni tentativo di radicale cambiamento risulta impossibile. Dal nostro "Attivismo" (Battaglia comunista, 1952):
"In qualunque frangente, anche il più periglioso dell'esistenza della dominazione borghese, anche allorché tutto sembra franare e andare in rovina (la macchina statale, la gerarchia sociale, lo schieramento politico borghese, i sindacati, la macchina propagandistica), la situazione non sarà mai rivoluzionaria, ma sarà a tutti gli effetti controrivoluzionaria, se il partito rivoluzionario di classe sarà deficitario, male sviluppato, teoricamente traballante."
Riguardo alla crescita dello sciupio globale, un compagno ha segnalato i dati sulla quantità di plastica prodotta ogni anno. Secondo quanto pubblicato in uno studio da Science Advances, nel 1950 sono state prodotte 2 milioni di tonnellate di plastica, mentre nel 2015 siamo arrivati a quota 380 milioni. Se la quantità di plastica messa in commercio nel 2015 fosse divisa equamente tra tutta la popolazione che vive sulla crosta terrestre, circa 7,5 miliardi di persone, ad ognuno di noi toccherebbero 50 chilogrammi. La somma di tutta la produzione mondiale fino al 2015 ammonta invece a 8 miliardi e 300 milioni di tonnellate, cioè più di una tonnellata per ogni abitante attuale del pianeta. La metà della quale sarebbe stata prodotta solo negli ultimi 13 anni. A ciò si aggiunge la notizia che la Cina, dal gennaio di quest'anno, ha imposto divieti nell'importazione di 24 tipologie di materiale da riciclare tra cui plastica, residui tessili, carta straccia. Europa, Usa e Giappone rischiano perciò l'intasamento.
In chiusura di teleconferenza, si è accennato al robot dalle sembianze umanoidi di nome Sophia, che viene portato in giro per il mondo come se fosse una celebrità. La borghesia si intestardisce ad antropomorfizzare i robot, quando da secoli si sa che le macchine non hanno bisogno di assomigliare al corpo umano per funzionare meglio. Ci siamo ripromessi di approfondire l'argomento nelle prossime teleriunioni.