Quanto si sta verificando sulla scena politica italiana è già avvenuto in Belgio, Olanda, Spagna, Germania e, per certi versi, in Inghilterra con la Brexit. La differenza è che nel Belpaese il quadro generale è decisamente più caotico: la borghesia locale, schiacciata da una parte dal bisogno di un governo tecnico che faccia piazza pulita delle chiacchiere parlamentari, e dall'altra dalla mancanza di un programma e della forza necessaria per attuarlo, mostra una volta di più la sua totale inettitudine. Come abbiamo scritto nella Lettera ai compagni Il Diciotto Brumaio del Partito che non c'è e negli articoli "Elezioni non proprio normali" e "Il piccolo golpe d'autunno", l'Italia è solo la prima della fila in questa fase sfumata del capitalismo, degenerata socialmente ma ricca di saggi di futuro, ed è perciò costretta ad elaborare soluzioni singolari (nell'articolo "Italy's populists are more dangerous than they seem" l'Economist sostiene che si è arrivati al "circo senza il pane").
In generale, lo Stato e i suoi funzionari hanno sempre più difficoltà a controllare il Capitale, che ormai è quasi completamente autonomizzato. Essendo il fascismo-keynesismo la forma ultima di governo raggiunta dalla borghesia, ora il capitalismo dovrebbe passare ad una sorta di fascismo su scala globale. Ciò potrebbe in effetti rallentare il corso della rivoluzione, ma allo stesso tempo rappresenterebbe il superamento delle borghesie nazionali e la costituzione di un governo unico mondiale. Ma questo non è possibile in regime capitalista.
Nel lavoro in corso su fascismo, corporativismo e programmazione, abbiamo ripreso un articolo del 1921, "Il programma fascista", in cui Amadeo Bordiga afferma che il corporativismo, presentato dai teorici fascisti come "terza via" tra il liberalismo capitalista e il socialismo, non è niente di originale "perché esso si presenta non come apportatore di un nuovo programma, ma come l'organizzazione che lotta per un programma da tempo esistente: quello del liberalismo borghese tradizionale". L'articolo del '21 risponde ad una serie di scritti apparsi su Il Popolo d'Italia in cui Mussolini affermava che il fascismo è un movimento relativista, a favore sì del proletariato ma pronto a bastonarlo quando prende una via (politica) sbagliata. In realtà il fascismo è assolutista perché lo scopo per cui nasce è la difesa a 360 gradi dell'esistente. Tutte le forze politiche che oggi si presentano come nuove e originali, che dicono di voler superare la dicotomia destra-sinistra per fare gli interessi del popolo, non fanno altro che riproporre lo schema interclassista mussoliniano. La nostra corrente è stata chiara in merito: la successione non è fascismo, democrazia, socialismo; essa è invece: democrazia, fascismo, dittatura del proletariato. Anche dal punto di vista sindacale, non c'è stato niente di nuovo dopo il corporativismo fascista, con i suoi tavoli concertativi, il Ministero del Lavoro e il mito della produzione nazionale. Nell'articolo citato, Bordiga sostiene che rendendosi necessaria una risposta armata borghese contro l'emergere dell'antiforma, il capitalismo ammette l'esistenza della rivoluzione in marcia. D'altronde, se il programma rivoluzionario "fosse stato battuto nel campo della critica teoretica dalle nuove seducenti tesi che brillano negli articoli del leader fascista, e se non fosse sentito come un pericolo e quindi come una realizzazione di domani, il duce potrebbe licenziare gli squadristi e sciogliere in nome della filosofia relativista e attivista, l'immobilismo della disciplina in cui sempre più proclama di doverli tenere avvinti."
Negli anni '20 e '30 le fabbriche erano piene di operai e si trattava di disciplinare ed inquadrare militarmente la forza lavoro. Pensiamo ad esempio alla costruzione della rete autostradale in Germania, ai lavori nella Tennessee Valley negli Usa, alla costruzione delle dighe in Russia o alle bonifiche dell'Agro Pontino in Italia. Oggi, che le fabbriche sono robotizzate, come si fa a disciplinare una forza lavoro precaria, polverizzata, flessibile al massimo, sostituta dalle macchine e dagli algoritmi? L'intervento disciplinatore dello Stato non è più possibile perché il sistema produttivo si è autonomizzato e i processi industriali si svolgono su scala globale rendendo le singole borghesie assolutamente inermi.
Uno degli ultimi paesi d'Europa a passare dal feudalesimo al capitalismo, la Russia, ha visto fin da subito grandeggiare il ruolo dello Stato nell'economia, con l'industria di Stato e il culto stacanovista del lavoro. La Russia degli anni '30, pur avendo una struttura sociale più arretrata rispetto alla Germania, agli Usa e all'Italia, doveva dare risposte simili a quelle dell'Occidente, visto che anch'essa si trovava a gestire il passaggio dal dominio dello Stato sul Capitale a quello del Capitale sullo Stato. Wolfgang Schivelbusch nel saggio Tre New Deal (2006) mette a confronto gli Stati Uniti di Roosevelt, l'Italia di Mussolini, la Germania di Hitler e la Russia di Stalin.
L'Italia è il paese capitalistico per eccellenza, dato che la sua borghesia ha quasi mille anni ed il processo di espropriazione dei piccoli lavoratori agricoli che si riversano nelle grandi città avviene intorno al XV secolo. Il capitalismo nasce statale con le Repubbliche Marinare e i Comuni che rappresentano i primi nuclei di accumulazione capitalistica. I mercanti sottomettevano le popolazioni ad una produzione fatta unicamente per il commercio. Oggi la borghesia ha perso vitalità perché la formula D-M-D' rappresenta sempre meno il processo di creazione della ricchezza (vedi finanziarizzazione dell'economia). La legge del valore è chiara: ridotta al minimo - nella composizione di valore della merce - la quantità di lavoro necessario rispetto al plusvalore, il capitalismo è morto. Questo fatto spiega perché non si riesce più a trovare una soluzione governativa all'altezza della situazione e si moltiplicano i casi di autocritica borghese, veri segni di impotenza. Nel rapporto Oxfam 2018 si afferma che:
"L'82% dell'incremento di ricchezza globale registrato l'anno scorso è finito nelle casseforti dell'1% più ricca della popolazione, mentre la metà più povera del mondo (3,7 miliardi di persone) ha avuto lo 0%. In Italia a metà 2017, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta. Nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuito del 23,1%."
La classe dominante dichiara di trovarsi di fronte a problemi sempre più critici, arrivando quasi ad ammettere che il problema del capitalismo è il capitalismo stesso, dato che i processi politici e legislativi che hanno reso possibile la crescita economica negli ultimi trent'anni ("riduzione del costo del lavoro, negligenza verso i diritti dei lavoratori, esternalizzazione lungo le filiere globali di produzione, massimizzazione 'ad ogni costo' degli utili d'impresa a vantaggio di emolumenti e incentivi concessi ai top-manager", ecc.) si sono trasformati in limiti alla crescita stessa.