Si è poi passati a commentare le proteste dei pastori in Sardegna. La sovracapacità produttiva industriale e agricola è dovuta al fatto che il mercato non riesce ad assorbire quanto viene prodotto ("Vulcano della produzione o palude del mercato?", 1954). Da anni una parte considerevole delle spese dello Stato va a sostenere il settore agricolo che ormai, a rigor di logica, non si può più definire capitalista, essendo uscito completamente dalle leggi di mercato. È come se esistesse un Ministero dell'Alimentazione che permette all'agricoltura di fornire alla popolazione cibo a prezzo politico ("L'uomo e il lavoro del Sole", 2001). Eppure, a quanto pare, nemmeno questo basta a mantenere in equilibrio la domanda e l'offerta. Rivendicare maggiori sovvenzioni, meno tasse, oppure la difesa di un posto di lavoro che non c'è più, è il portato di decenni di controrivoluzione, mentre sarebbe il caso di pretendere il salario ai disoccupati e la riduzione dell'orario di lavoro, senza perder tempo ad invocare l'impossibile inversione delle leggi del capitalismo ("Chiudete agli uomini quelle dannate miniere!", 2002).
Comunque, il latte lo si butta via anche perché si mangia troppa carne (vedi Ecocidio: ascesa e caduta della cultura della carne di Jeremy Rifkin). Il ciclo biologico di un ovino o di un bovino è determinato da leggi biologiche, per cui un mammifero pregno deve partorire, allevare il vitello e quindi produrre latte. Il capitalismo non può aspettare il ciclo biologico, toglie il vitello alla mucca e lo alleva con impasti tritati a cui vengono aggiunte proteine animali, e così i latticini eccedono la quantità che il mercato è in grado di smaltire. L'aumento dello spreco di alimenti, dell'ambiente e di vite umane è uno degli effetti del tardo capitalismo. Pensiamo al petrolio, per la cui estrazione bisogna rompere le rocce, trivellare i fondali marini, distruggere interi ecosistemi; oppure alle sementi geneticamente modificate che hanno distrutto tradizioni e memorie in luoghi dove si coltivava grano da millenni (in Iraq, durante l'occupazione americana, i contadini sono stati obbligati a rifornirsi di grano ibrido, semi da comprare ad ogni ciclo perché sterili).
Si è ricordato anche il caso del colosso minerario Vale, il maggior produttore di ferro al mondo che si occupa della miniera di Minas Gerais in Brasile: lo scorso 25 gennaio la diga costruita per contenere i fanghi residui della lavorazione del ferro è crollata causando 170 morti, 410 dispersi e un numero imprecisato di feriti. La storia dell'industria mineraria ci dimostra che il processo di lavorazione per l'estrazione porta nel tempo a spingersi sempre più in profondità e in luoghi impervi; più vecchia è una miniera, più costosa è l'estrazione del materiale dal sottosuolo. E più aumentano questi parametri, meno vale la vita di un essere umano. È quella che definimmo "morte differenziale", dato che in quelle condizioni si muore a causa del conflitto fra rendita assoluta e rendita differenziale ("Mai la merce sfamerà l'uomo", 1954).
Un compagno ha riassunto i contenuti dell'analisi costi-benefici sulla TAV, di cui tanto si parla in questi giorni. Gli ispettori hanno incluso tra i "costi" i mancati introiti per i pedaggi e per le accise sui carburanti. Come se davvero fossero questi i problemi. I veri "costi" non si calcolano in euro, ma riguardano quantità fisiche e misurazioni in termini di dissipazione energetica. Bisognerebbe domandarsi quanto "costa" alla nostra specie la sopravvivenza di un modo di produzione così dissipativo. La Val di Susa è attraversata da due strade statali, un'autostrada e una ferrovia; bastano queste a trasportare tutte le merci possibili e immaginabili. Quello che serve semmai, è la manutenzione delle infrastrutture già esistenti. Il fatto è che la manutenzione non conviene, mentre costruire una ferrovia di 200 km tutta in una volta rende molto di più ai capitalisti che si aggiudicano i lucrosi appalti. Tutti gli studi commissionati su questi argomenti hanno come sottofondo interessi economici e/o politici e quindi sono viziati in origine. La nostra corrente metteva in guardia dalle "frottole e ciance di tecnici, di esperti, di specialisti, di managers, di diplomatici, di politici, di filibustieri e di avventurieri" ("Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale", 1956).
Anche la questione del Reddito di Cittadinanza (RdC) dimostra come alla borghesia manchi un progetto di lungo respiro. Dal prossimo 6 marzo sarà possibile presentare la richiesta della domanda attraverso il sito istituzionale. A tutt'oggi non c'è nulla di stabilito, manca l'infrastruttura necessaria per prendere in carico i disoccupati, manca il lavoro (che non si può creare volontaristicamente dall'oggi al domani) e non c'è nemmeno il bando per l'assunzione dei navigator, essendoci un conflitto di competenze in merito alle assunzioni tra Anpal e Regioni. L'insieme dei rapporti sociali capitalistici impedisce che si prendano delle misure radicali: sarebbe più semplice erogare un reddito di base incondizionato (come suggerisce Philippe Van Parijs nel saggio Il reddito di base. Una proposta radicale), senza obblighi al lavoro, che non mettere in moto un carrozzone ultra-dissipativo e iper-burocratico come il RdC targato Lega-M5S.
Pianificazione e programmazione sono temi a cui la borghesia era arrivata già negli anni '20. Il movimento tecnocratico nacque negli Usa e si ramificò in altri paesi entrando in contatto con gruppi che proponevano a vario titolo la socializzazione/razionalizzazione dell'economia (planisti, tayloristi sociali, ecc.). Le punte più avanzate della classe dominante si rendevano conto che bisognava ragionare in termini di quantità fisiche, e che per fare ciò bisognava mettere in discussione il modo di produzione vigente (vedi Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma). Ma la borghesia è classe inconseguente, e l'unico compito "progressista" che le è rimasto da svolgere è togliersi dai piedi.
Ritornando al tema del RdC, abbiamo preso in mano Il Capitale, III Libro, sezione VII, "I redditi e le loro fonti".
Ogni politica dei redditi che la borghesia escogita, deve fare i conti con le fonti del reddito. Semplice: senza le sue fonti, il reddito non esiste. Tutta la società si regge sull'estrazione di plusvalore e non certo sulla creazione di moneta. Il governo italiano spera che l'erogazione di un reddito possa rilanciare l'economia attraverso il rilancio dei consumi, che si possa emettere moneta senza far scattare l'inflazione. Il RdC darà invece ossigeno a tutte quelle organizzazioni e gruppi che escogiteranno mille modi per aggirare le regole della sua concessione.
Il governo giallo-verde sta trattando un tema strategico come quello del RdC in maniera dilettantesca e confusa, dimostrando tutta la sua inadeguatezza. Ma ci si mettono pure i sindacati, proponendo rattoppi peggiori del buco. La manifestazione del 9 febbraio a Roma all'insegna di un rinnovato "patto per il lavoro", promossa dai confederali e a cui hanno partecipato anche gli industriali, aveva come parola d'ordine #FuturoalLavoro. La posizione ufficiale del sindacato è la seguente: il RdC così com'è non va bene poiché mescola la lotta alla povertà con le politiche attive per il lavoro. Secondo i bonzi di Cgil, Cisl e Uil, serve un piano straordinario di investimenti pubblici per "creare" lavoro. Viene in mente quanto scritto nel filo del tempo "Far investire gli ignudi" (1950): "Crisi, miseria, disoccupazione. Colpa del governo, che ha a sua disposizione una ricetta tanto semplice e non la vuole applicare: l'investimento. Qui, tutta la politica e l'economia politica dei formidabili partiti che in Italia 'rappresentano le classi operaie'. Investi, governo ladro!"