Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  26 novembre 2019

Ma quale futuro?

La teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune notizie riguardanti le energie rinnovabili.

Pare che negli Stati Uniti un gruppo di scienziati abbia sviluppato un sistema di specchi che, sfruttando l'energia solare, riesce a raggiungere la temperatura di 1000 gradi. L'obiettivo dell'esperimento è di arrivare ai 1500, la condizione necessaria per fondere l'acciaio, ed eliminare progressivamente la dipendenza dai combustibili fossili (en passant: i primi esperimenti per ottenere alte temperature attraverso specchi parabolici sono stati condotti dal premio Nobel Carlo Rubbia in Italia con il progetto Archimede, poi esportato in Spagna). Che sia la soluzione per produrre energia senza inquinare l'ambiente? Abbiamo dei dubbi in merito. Basti pensare all'Ilva di Taranto: anche se riuscisse a produrre da sé tutta l'energia necessaria, rimarrebbe comunque un gigante inutile. Insomma, bisogna sempre chiedersi che senso abbia adoperare certe tecnologie ed in funzione di quale produzione. Non è un problema di natura tecnica, riferita al variare delle fonti energetiche (in ultima istanza tutte riconducibili al lavoro del Sole), ma di natura sociale: l'attuale modo di produzione non conosce sé stesso, bada solo al profitto, e quindi continuerà a sprecare energia e a distruggere l'ambiente.

La società capitalistica è arrivata a risultati tecnici avanzati nella produzione delle merci, ma la sua capacità di progettazione sociale è bassissima a causa dell'anarchia del mercato. Per poter rovesciare la prassi e cominciare a progettare la vita di specie in armonia con la natura, bisogna liberare le forze produttive dalle catene del valore, affinché la tecnica e la scienza siano indirizzate verso soluzioni razionali. Si tratta sempre di uno scontro tra modi di produzione, in cui quello a più alto rendimento energetico è destinato a vincere. La tecnica e la scienza sono altra cosa rispetto all'economia politica, perché mentre questa può formulare frasi senza contenuto empirico, le prime parlano il linguaggio della matematica.

Allo stato attuale si producono quasi due miliardi di tonnellate di acciaio l'anno, che vengono utilizzate per costruire città che rimangono disabitate, sommergibili nucleari in grado di scatenare tsunami, automobili invendute che occupano spazio. Spuntano così mode ecologiste ridicole rispetto alla situazione sistemica, mentre rimangono ancora in pochi quelli che mettono l'accento sulla smania produttivistica, sull'insensata produzione per la produzione, e che chiedono un "disinvestimento dei capitali, ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo" (Punto "a" del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, 1952).

Siamo quindi passati a parlare della Germania, dove sono scesi in piazza con i loro trattori migliaia di agricoltori per protestare contro la politica agraria del governo. In Occidente l'agricoltura è assistita dallo Stato, ma questo tipo di sostegno aiuta solo fino ad un certo punto: la rendita è plusvalore distribuito e quando questo manca tutto ciò che è a valle ne soffre. L'agricoltura in paesi come Germania, Francia e Italia non solo non produce plusvalore, ma vive di quello prodotto altrove.

Nel settore petrolifero i paesi produttori, notando che le loro riserve diminuiscono, stanno pensando di diversificare l'economia. Aramco, l'azienda di stato saudita che si occupa dell'estrazione del greggio, ha annunciato la sua quotazione in borsa. Secondo Il Sole 24 Ore, l'operazione rientra nel piano del principe ereditario Mohammed bin Salman per portare l'economia saudita, primo esportatore mondiale di greggio, almeno in parte fuori dal business del petrolio.

Aziende come Apple, Facebook, Amazon, Microsoft hanno pochissimi dipendenti e un ridotto capitale costante, eppure valgono molto di più di altre con capannoni fatti di acciaio e cemento e migliaia di operai. Appena si dovesse incrinare qualcosa, i bond emessi dalle big della rete diventerebbero spazzatura (junkbond). Più l'apparente calma si prolunga, più il botto sarà acuto, afferma Bloomberg. Più le contraddizioni vengono portate all'estremo, più diventano catastrofiche, aggiungiamo noi.

In un mondo in cui scende la vitalità del sistema produttivo e cresce quella delle borse, qualcosa, evidentemente, non funziona. Secondo Business Insider, gli investitori sono in fuga da Uber e WeWork, aziende sull'orlo del collasso. Guarda caso, nella newsletter 230 (ottobre 2018), scrivevamo: "Washington gonfia il prezzo di Uber controllata dai sauditi e questi ringraziano immettendo sul mercato l'Aramco che sarà partecipata, se non controllata (è troppo grossa) dagli americani. È sempre successo che sul mercato vi siano oscillazioni intorno al valore dovute a fatti contingenti, ma in questi casi siamo di fronte all'autonomizzazione totale generalizzata del prezzo rispetto al valore."

Si adoperano trucchi contabili, stratagemmi finanziari, truffe legalizzate, ma senza creazione di valore il gigantesco schema Ponzi della finanza internazionale è destinato a saltare. L'economista Nouriel Roubini, per esempio, è convinto che la prossima crisi sia imminente e che sarà dovuta ad un aumento dell'inflazione e ad una riduzione della crescita (stagflazione).

C'è un nesso molto stretto tra autonomizzazione del Capitale, smaterializzazione delle merci e svalorizzazione delle stesse. Il valore, trasformato in bit, è garantito da un processo e non da una materia, dipende dai movimenti futuri, rendendosi completamente autonomo dalla evoluzione che l'ha generato. A questo punto, è solo la fiducia a reggere il sistema finanziario, ma nel momento in cui essa viene meno il castello di carta crolla. D'altronde, se le fabbriche chiudono e aumentano i disoccupati e con essi la miseria sociale, la fiducia non può che diminuire, come testimoniano le recenti manifestazioni, a cominciare da quelle dei gilet gialli che il prossimo 5 dicembre scenderanno di nuovo in piazza in Francia contro l'annunciata riforma delle pensioni (#Grève5Décembre).

La crisi mondiale continua a mietere vittime, e alla lista dei paesi in rivolta si è aggiunta la Colombia, il cui governo ha annunciato il coprifuoco dopo i violenti scontri degli ultimi giorni tra manifestanti e polizia. L'Avvenire, quotidiano cattolico, scrive: "Dal Cile alla Bolivia all'Ecuador pesa la crisi. L'America Latina brucia nelle rivolte". Sembra quasi il titolo di uno dei nostri resoconti. I giornalisti sono costretti dall'evidenza dei fatti a diventare materialisti e ad ammettere l'esistenza di un rapporto diretto tra l'aumento delle disuguaglianze sociali e lo scoppio delle rivolte.

Di fronte a questo scenario di crisi sociale, è curioso notare come la stampa borghese cominci ad interessarsi sempre più frequentemente di temi riguardanti il futuro: "Le conseguenze del futuro" è il titolo di alcuni incontri organizzati dalla Fondazione Feltrinelli in collaborazione con Eni, "Lezioni di futuro" è il titolo di una serie di opuscoli pubblicati dal Sole 24 Ore su argomenti quali robotica, big data, economia della condivisione, ecc. A quanto pare, anche gli imprenditori si stanno accorgendo che il futuro agisce sul presente. Ma quale futuro? I comunisti sono coloro che lo vedono all'opera nel processo incessante che rende obsoleta la forma economico-sociale in cui stiamo vivendo, e agiscono di conseguenza.

Anche se in Italia la situazione sociale appare completamente ingessata, basta prestare un po' d'attenzione a certi fatti per accorgersi che le contraddizioni non fanno che crescere. I confederali hanno aperto la "Vertenza Torino", organizzando per il prossimo 13 dicembre una fiaccolata-processione per sensibilizzare sulla situazione occupazionale nel capoluogo sabaudo: secondo i sindacati, gli occupati dell'area metropolitana sono scesi di 10mila unità negli ultimi 10 anni e attualmente le situazioni di crisi aperte coinvolgono circa 4mila lavoratori. Una città operaia come Torino, con l'industria automobilistica e l'indotto che in pochi anni sono letteralmente spariti, si sta economicamente spegnendo, ed è difficile governare una metropoli quando ci sono migliaia di cassintegrati, disoccupati e precari, che hanno sempre meno da perdere. Anche se in superficie tutto sembra immobile, la "vecchia talpa" continua a scavare erodendo le fondamenta su cui è basato l'ordine sociale borghese.

Articoli correlati (da tag)

  • Vedere oltre la catastrofe

    La teleriunione di martedì sera è iniziata affrontando il tema delle imminenti elezioni americane.

    Come nota The Economist nell'articolo "The risk of election violence in America is real", il termometro sociale negli USA registra l'aumento della tensione, con toni da guerra civile. Nel nostro testo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), abbiamo scritto che "la direzione del moto storico, l'andare verso... è irreversibile. Se il determinismo ha un senso, gli Stati Uniti sono ciò che la storia del globo li ha portati ad essere."

    La polarizzazione economica e politica negli USA è il prodotto di una dinamica storica che possiamo far partire almeno dal 1971, quando il presidente Nixon eliminò l'ancoraggio del dollaro all'oro. Gli Stati Uniti assommano su di sé tutte le contraddizioni del capitalismo mondiale, e non è un caso che proprio lì sia nato un movimento avanzato come Occupy Wall Street che, nei suoi due anni di esistenza, ha voltato le spalle alla politica parlamentare, al leaderismo e al riformismo. Interessante, a tal proposito, la descrizione che viene fatta di Occupy Sandy nel libro Emergenza. Come sopravvivere in un mondo in fiamme di Adam Greenfield:

  • Disordine crescente

    La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata affrontando il fenomeno delle "grandi dimissioni".

    È uscito Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (Einaudi, 2023), un'analisi sociologica di Francesca Coin sul cambiamento del mondo del lavoro e della società. Sulla rivista abbiamo già avuto modo di recensire testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin ha il merito di affrontare la nuova tendenza che si sta sviluppando in diversi paesi del mondo e che si risolve in una disaffezione crescente verso il lavoro salariato. Il fenomeno è esploso in concomitanza con la pandemia: nel 2021 negli Stati Uniti 48 milioni di lavoratori hanno deciso di licenziarsi, e nello stesso anno in Italia sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro. Anche in Cina i lockdown hanno rappresentato un giro di boa, portando all'emersione dei fenomeni "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" (bailan, "lascialo marcire"): siccome il sistema si è rotto, i giovani cinesi pensano che tanto vale sdraiarsi e lasciare che esso marcisca. Come nota Coin, "in India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato."

  • Polarizzazione sociale in Francia

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le rivolte scoppiate in Francia in seguito all'uccisione del giovane Nahel per mano della polizia a Nanterre.

    Quanto accade in Francia ci ha dato modo di riprendere l'articolo "La banlieue è il mondo", scritto dopo la sommossa del 2005. In questi giorni, così come nel passato, nel paese si è innescata una potente polarizzazione che ha schierato da una parte i difensori dell'esistente, e dall'altra chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene: senza riserve che non hanno rivendicazioni da fare all'interno del sistema, di cui non si sentono parte e che non riconoscono. Successivamente alla rivolta del 2005, iniziò la lotta contro il CPE, il contratto di primo impiego; oggi, la rivolta scoppia poco dopo la fine del movimento contro la legge sulle pensioni. In entrambi i casi le mobilitazioni dei sindacati non si sono incontrate con le proteste del proletariato delle periferie, "estremo, disoccupato, escluso anche per fattori etnici". Le lotte sindacali sono rivendicative e hanno come obiettivo la critica a leggi promulgate dal governo, i giovani banliuesard, invece, attaccano tutto quanto ha attinenza con lo Stato e saccheggiano la proprietà. Sono le loro condizioni materiali, non l'ideologia, a spingerli a comportarsi in un determinato modo. Fonti governative affermano che l'età media dei rivoltosi è di 17 anni.

    Dal 2005 in Francia è in corso un'escalation sociale. Secondo il ministero dell'Interno francese, il livello di violenza attuale (poliziotti feriti, edifici pubblici distrutti, ecc.) è superiore alla precedente ondata di rivolta. Marsiglia, seconda città francese per numero di abitanti dopo Parigi, è stata teatro di scontri durissimi tra giovani e forze dell'ordine, ed una persona è rimasta uccisa da una "flash ball" sparata dalla polizia, lo stesso tipo di arma (proiettile di gomma) che durante le proteste dei Gilets jaunes aveva causato decine di feriti gravi.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email