La società capitalistica è arrivata a risultati tecnici avanzati nella produzione delle merci, ma la sua capacità di progettazione sociale è bassissima a causa dell'anarchia del mercato. Per poter rovesciare la prassi e cominciare a progettare la vita di specie in armonia con la natura, bisogna liberare le forze produttive dalle catene del valore, affinché la tecnica e la scienza siano indirizzate verso soluzioni razionali. Si tratta sempre di uno scontro tra modi di produzione, in cui quello a più alto rendimento energetico è destinato a vincere. La tecnica e la scienza sono altra cosa rispetto all'economia politica, perché mentre questa può formulare frasi senza contenuto empirico, le prime parlano il linguaggio della matematica.
Allo stato attuale si producono quasi due miliardi di tonnellate di acciaio l'anno, che vengono utilizzate per costruire città che rimangono disabitate, sommergibili nucleari in grado di scatenare tsunami, automobili invendute che occupano spazio. Spuntano così mode ecologiste ridicole rispetto alla situazione sistemica, mentre rimangono ancora in pochi quelli che mettono l'accento sulla smania produttivistica, sull'insensata produzione per la produzione, e che chiedono un "disinvestimento dei capitali, ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo" (Punto "a" del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, 1952).
Siamo quindi passati a parlare della Germania, dove sono scesi in piazza con i loro trattori migliaia di agricoltori per protestare contro la politica agraria del governo. In Occidente l'agricoltura è assistita dallo Stato, ma questo tipo di sostegno aiuta solo fino ad un certo punto: la rendita è plusvalore distribuito e quando questo manca tutto ciò che è a valle ne soffre. L'agricoltura in paesi come Germania, Francia e Italia non solo non produce plusvalore, ma vive di quello prodotto altrove.
Nel settore petrolifero i paesi produttori, notando che le loro riserve diminuiscono, stanno pensando di diversificare l'economia. Aramco, l'azienda di stato saudita che si occupa dell'estrazione del greggio, ha annunciato la sua quotazione in borsa. Secondo Il Sole 24 Ore, l'operazione rientra nel piano del principe ereditario Mohammed bin Salman per portare l'economia saudita, primo esportatore mondiale di greggio, almeno in parte fuori dal business del petrolio.
Aziende come Apple, Facebook, Amazon, Microsoft hanno pochissimi dipendenti e un ridotto capitale costante, eppure valgono molto di più di altre con capannoni fatti di acciaio e cemento e migliaia di operai. Appena si dovesse incrinare qualcosa, i bond emessi dalle big della rete diventerebbero spazzatura (junkbond). Più l'apparente calma si prolunga, più il botto sarà acuto, afferma Bloomberg. Più le contraddizioni vengono portate all'estremo, più diventano catastrofiche, aggiungiamo noi.
In un mondo in cui scende la vitalità del sistema produttivo e cresce quella delle borse, qualcosa, evidentemente, non funziona. Secondo Business Insider, gli investitori sono in fuga da Uber e WeWork, aziende sull'orlo del collasso. Guarda caso, nella newsletter 230 (ottobre 2018), scrivevamo: "Washington gonfia il prezzo di Uber controllata dai sauditi e questi ringraziano immettendo sul mercato l'Aramco che sarà partecipata, se non controllata (è troppo grossa) dagli americani. È sempre successo che sul mercato vi siano oscillazioni intorno al valore dovute a fatti contingenti, ma in questi casi siamo di fronte all'autonomizzazione totale generalizzata del prezzo rispetto al valore."
Si adoperano trucchi contabili, stratagemmi finanziari, truffe legalizzate, ma senza creazione di valore il gigantesco schema Ponzi della finanza internazionale è destinato a saltare. L'economista Nouriel Roubini, per esempio, è convinto che la prossima crisi sia imminente e che sarà dovuta ad un aumento dell'inflazione e ad una riduzione della crescita (stagflazione).
C'è un nesso molto stretto tra autonomizzazione del Capitale, smaterializzazione delle merci e svalorizzazione delle stesse. Il valore, trasformato in bit, è garantito da un processo e non da una materia, dipende dai movimenti futuri, rendendosi completamente autonomo dalla evoluzione che l'ha generato. A questo punto, è solo la fiducia a reggere il sistema finanziario, ma nel momento in cui essa viene meno il castello di carta crolla. D'altronde, se le fabbriche chiudono e aumentano i disoccupati e con essi la miseria sociale, la fiducia non può che diminuire, come testimoniano le recenti manifestazioni, a cominciare da quelle dei gilet gialli che il prossimo 5 dicembre scenderanno di nuovo in piazza in Francia contro l'annunciata riforma delle pensioni (#Grève5Décembre).
La crisi mondiale continua a mietere vittime, e alla lista dei paesi in rivolta si è aggiunta la Colombia, il cui governo ha annunciato il coprifuoco dopo i violenti scontri degli ultimi giorni tra manifestanti e polizia. L'Avvenire, quotidiano cattolico, scrive: "Dal Cile alla Bolivia all'Ecuador pesa la crisi. L'America Latina brucia nelle rivolte". Sembra quasi il titolo di uno dei nostri resoconti. I giornalisti sono costretti dall'evidenza dei fatti a diventare materialisti e ad ammettere l'esistenza di un rapporto diretto tra l'aumento delle disuguaglianze sociali e lo scoppio delle rivolte.
Di fronte a questo scenario di crisi sociale, è curioso notare come la stampa borghese cominci ad interessarsi sempre più frequentemente di temi riguardanti il futuro: "Le conseguenze del futuro" è il titolo di alcuni incontri organizzati dalla Fondazione Feltrinelli in collaborazione con Eni, "Lezioni di futuro" è il titolo di una serie di opuscoli pubblicati dal Sole 24 Ore su argomenti quali robotica, big data, economia della condivisione, ecc. A quanto pare, anche gli imprenditori si stanno accorgendo che il futuro agisce sul presente. Ma quale futuro? I comunisti sono coloro che lo vedono all'opera nel processo incessante che rende obsoleta la forma economico-sociale in cui stiamo vivendo, e agiscono di conseguenza.
Anche se in Italia la situazione sociale appare completamente ingessata, basta prestare un po' d'attenzione a certi fatti per accorgersi che le contraddizioni non fanno che crescere. I confederali hanno aperto la "Vertenza Torino", organizzando per il prossimo 13 dicembre una fiaccolata-processione per sensibilizzare sulla situazione occupazionale nel capoluogo sabaudo: secondo i sindacati, gli occupati dell'area metropolitana sono scesi di 10mila unità negli ultimi 10 anni e attualmente le situazioni di crisi aperte coinvolgono circa 4mila lavoratori. Una città operaia come Torino, con l'industria automobilistica e l'indotto che in pochi anni sono letteralmente spariti, si sta economicamente spegnendo, ed è difficile governare una metropoli quando ci sono migliaia di cassintegrati, disoccupati e precari, che hanno sempre meno da perdere. Anche se in superficie tutto sembra immobile, la "vecchia talpa" continua a scavare erodendo le fondamenta su cui è basato l'ordine sociale borghese.