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  • Resoconto teleriunione  17 settembre 2019

Automatismi catastrofici

La teleconferenza di martedì sera, connessi 12 compagni, è iniziata commentando il recente attacco in Arabia Saudita ai siti petroliferi di Abqaiq, uno dei principali giacimenti del paese, e Khurais.

Dall'iniziale ipotesi dell'invio di droni da parte dei ribelli Houthi, attivi in Yemen contro la coalizione a guida saudita, nel giro di poche ore le maggiori agenzie di stampa sono passate ad identificare l'azione di guerra come un qualcosa di più strutturato, condotta con decine di missili cruise e con velivoli comandati a distanza provenienti, probabilmente, da Iraq o Iran. Secondo la Rivista Italiana Difesa, sono stati inviati fino a 40 razzi, soprattutto da crociera, 19 dei quali hanno colpito e distrutto il bersaglio. I danni hanno causato il dimezzamento della produzione del complesso petrolifero, il più grande del mondo, con un calo del 5% della produzione mondiale ed un aumento immediato del 19% del prezzo del petrolio.

Certamente non si tratta di un attacco di combattenti irregolari, poiché per un'operazione del genere occorrono sistemi complessi e conoscenze al di fuori della portata di eserciti partigiani. D'altra parte, è difficile che paesi come l'Iran o l'Iraq, esecutori diretti o passivi consenzienti, corrano il rischio di rappresaglie "proporzionate". In ogni caso, si sono innescati meccanismi automatici che potrebbero sfociare in un'escalation militare. In seguito all'episodio alcuni senatori americani hanno chiesto il bombardamento delle raffinerie iraniane, mentre il governo iraniano ha parlato di "compellenza". Il termine, che significa forzare qualcuno a fare qualcosa che lo danneggi, non ha riscontro nella lingua italiana, ma nella guerra moderna ha più valore degli stessi armamenti.

Dal punto di vista militare è chiaro che è in corso una guerra per procura tra Iran e Arabia che si risolverà sul campo con migliaia di morti, soprattutto tra le popolazioni civili (come in Yemen). Se si arriverà a denunciare l'Iran come responsabile dell'attacco, entro poche settimane dovrebbe aver luogo la rappresaglia. In una guerra per procura, organizzata con guerriglieri senza inquadramento militare (Yemen), si lancia un'azione in sequenza seguendo il flusso della distillazione del petrolio e scegliendo la raffineria più grande al mondo; è persino strano che non ci siano grossi titoli sui giornali. In Iraq sono attive le milizie dei pasdaran che hanno combattuto contro lo Stato Islamico, inquadrate nella coalizione statale anti-IS ma comandate dal generale iraniano Qassem Soleimani, autore di una guerra apertamente antisunnita.

Lo studioso francese Gilles Kepel dalle pagine di Repubblica afferma che "gli attacchi contro gli impianti della Saudi Aramco sono un 'Big Bang' nella storia della produzione petrolifera saudita ma non basteranno a scatenare una guerra tra Stati Uniti e Iran". Secondo la sua tesi, si tratterebbe quindi di una manovra di Teheran per riprendere i negoziati e uscire dalla situazione di impasse in cui si trovano.

La teleconferenza è proseguita con alcune considerazioni di carattere economico in relazione alle recenti notizie circa il riavvio del quantitative easing. L'ulteriore iniezione di liquidità nei mercati, pari a 20 miliardi di euro al mese, dovrebbe partire il prossimo novembre (e senza scadenza). Pur di risollevare il capitalismo si droga il sistema, che non ce la fa più ad andare avanti, ma al tempo stesso si corre il rischio di mandarlo in overdose. Nella presentazione del quaderno La crisi storica del capitalismo senile abbiamo scritto che "la fine del 'quantitativismo produttivo' e l'inceppamento dei meccanismi di accumulazione creano una enorme quantità di capitale fittizio e un conseguente bisogno di guerra che sconvolge gli schieramenti della Guerra Fredda". Tutto si lega: il Capitale scopre di avere bisogno di guerra e utilizza gli stati; dallo schieramento netto uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, con il condominio Usa-Urss, si passa ad una situazione confusa, altamente caotica, fatta di contraddizioni irrisolvibili che producono scontri bellici di tipo nuovo; aumentano il marasma sociale e la guerra civile. Il gendarme mondiale, gli Stati Uniti, arranca e fatica a svolgere il ruolo di controllore globale. Ne sono esempi l'Iraq, paese smembrato e senza un'infrastruttura statale dove milizie e gruppi si spartiscono il territorio, e l'Afghanistan, dove si aprono i tavoli di trattativa con i talebani, fino a ieri acerrimi nemici.

Successivamente siamo passati a commentare un servizio di Rainews24 sullo stabilimento della Volkswagen di Vroom, dove viene prodotta l'autovettura elettrica ID.3. Gli operai sono pochi, non sono soggetti attivi ma sorveglianti del processo produttivo posizionati dietro pannelli e monitor, mentre una grande quantità di robot salda, assembla e movimenta le autovetture. Gli impianti all'avanguardia dispongono di sempre meno forza lavoro e sempre più macchinari. Secondo il responsabile della Volkswagen il gruppo si prepara a produrre 15-16 milioni di auto elettriche entro il 2025. Naturalmente, le altre case automobilistiche dovranno adeguarsi aumentando gli investimenti e cioè il capitale fisso. Proprio in questi giorni, il settore ha visto lo sciopero dei lavoratori USA della General Motors: 50 mila dipendenti hanno incrociato le braccia bloccando 55 siti tra impianti e magazzini di componenti. Non avveniva da oltre 10 anni.

A questo punto, un compagno ha chiesto di spiegare la differenza tra rivoluzione e rottura rivoluzionaria.

Nella prefazione a Per la Critica all'economia politica del 1859, Marx dice che si apre un'epoca di rivoluzione sociale quando

"le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene."

La rivoluzione è da intendersi come il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente; la rottura rivoluzionaria, da noi descritta nell'articolo "Struttura frattale delle rivoluzioni", è un evento di tipo catastrofico. Rivoluzionario è stato il passaggio dal paleolitico al neolitico (lo considerano tale sia Gordon Childe che Luigi Cavalli-Sforza), perché ha fatto fare un salto in avanti all'umanità. Nella grande arcata storica che va dal comunismo primitivo al comunismo futuro si passa attraverso la parentesi delle società divise in classi, un percorso rivoluzionario. A loro volta, all'interno delle società di classe, ci sono la fase schiavistica, quella feudale e infine quella capitalistica, passaggi puntellati da singolarità rivoluzionarie: rotture tra modi di produzioni che possono essere intese come episodi catastrofici all'interno dell'arco plurimillenario della vita della specie.

L'epoca di rivoluzione sociale di cui parla Marx si apre con l'avvento dell'industria moderna (sistema di macchine), quando si manifesta la grande contraddizione tra produzione sociale ed appropriazione privata, sinteticamente descritta da Occupy Wall Street con la formula 99% contro 1%. L'errore economico che molti "comunisti" fanno è quello di ridurre tutto alla contesa per il plusvalore, intendendo la lotta di classe come una battaglia di natura sindacale per una diversa ripartizione del valore, per aumentare il salario e diminuire il profitto. Il capitalismo ha vinto sulla scena storica perché aveva un rendimento sociale più alto rispetto alla società feudale, e così il comunismo vincerà perché avrà un rendimento sociale maggiore ("La batracomiomachia"), non certo perché più morale o giusto.

L'inceppamento dei meccanismi di produzione del plusvalore produce sconquassi a tutti i livelli, e in pochi anni si è passati dalle manifestazioni democratiche in Europa e Nord Africa ad un fenomeno anticapitalistico come quello di Occupy negli Usa. Da quel livello non si torna indietro. La società diventa sempre più efficiente dal punto di vista produttivo, ma sempre meno efficiente da quello sociale, generando una contraddizione esplosiva che porta i movimenti attuali a occupare le piazze e a chiedere a gran voce un cambiamento, senza sapere bene di che tipo. La società futura forgia gli strumenti adatti, gli utensili vivi, per realizzarsi (Lettera ai compagni Militanti delle rivoluzioni).

Per la nostra corrente, il partito è l'anticipazione della società futura. Il partito storico va inteso come teoria, programma, filo del tempo, mentre il partito formale è quello che si forma in certi frangenti storici ed è lo strumento per rovesciare la prassi. Il partito formale è anche il prodotto di tutte quelle manifestazioni antiformiste ("Tracciato d'impostazione") in cui la classe sfruttata, anche non avendo coscienza dei fini ultimi della lotta, è costretta a rompere con l'assetto politico e giuridico della società.

Esiste una differenza sostanziale tra il movimento di Hong Kong del 2014 (Humbrella Movement) e quello attuale: da una generica mobilitazione pacifista, la protesta di questi mesi è approdata all'uso della violenza nei confronti della polizia e degli apparati statali, con tanto di occupazione del parlamento e dell'aeroporto internazionale. In ogni singolo paese si sperimentano per il mondo intero nuovi livelli di organizzazione, affinando le strategie e le tattiche di lotta:

"Ciò che le nazioni hanno fatto in quanto nazioni, lo hanno fatto per la società umana, tutto il loro valore sta unicamente nel fatto che ciascuna nazione ha sperimentato fino in fondo per le altre una tale fase determinata di sviluppo che l'umanità nel proprio divenire deve percorrere. Dunque, dal momento che sono state elaborate l'industria in Inghilterra, la politica in Francia, la teoria in Germania (e alcune forme di arte in Italia), esse sono state elaborate per il mondo intero, che le riprende per il proprio sviluppo così come per quello di queste nazioni, in una forma più alta, con il loro significato e portata storico-universale" (Marx, A proposito del libro di F. List, "Il sistema nazionale dell'economia politica", 1844).

Il processo in corso è irreversibile. Nel 1976 nei porti polacchi iniziano i primi scioperi che vengono prontamente cavalcati dai sindacati di regime. Il movimento organizza mobilitazioni a livello nazionale, si dà un sindacato alternativo, Solidarność, che poi degenera in partito borghese a causa della situazione interna e mondiale. Anche in Italia in quegli anni si verificano rotture interessanti: la lotta dei 35 giorni alla Fiat era mossa dalla rabbia operaia contro i sindacalisti, considerati come dei venduti e cacciati in malo modo dalle assemblee. Si tratta di episodi paradigmatici in cui si è determinata una spaccatura tra classi: da una parte gli operai in lotta, dall'altra i rappresentanti della borghesia riconosciuti come tali. Anche durante la Primavera araba, in Piazza Tahrir, gli scontri hanno coinvolto diverse componenti sociali, e lo stesso è successo in Ucraina quando durante le manifestazioni di piazza fazioni opposte si sono urtate. Similmente ad Hong Kong elementi a sostegno del governo cinese si sono contrapposti a quelli "anti", segno di una evidente polarizzazione delle molecole sociali.

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Rivista n°56, dicembre 2024

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Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?

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