Se la produttività del lavoro cresce, la singola merce finisce per incorporare meno lavoro vivo e quindi, per ottenere la stessa massa di profitto, l'azienda deve produrre più merci. In "Vulcano della produzione o palude del mercato?" si tratta la questione della produzione per la produzione: con lo sviluppo capitalistico "cresce il numero dei proletari, sia in senso assoluto, sia in senso relativo alla popolazione totale, formandosi il grande esercito industriale di riserva di Marx, costituito di nullatenenti, di uomini ormai spogliati di ogni riserva individuale, separati dalle loro condizioni di lavoro, esercito che subisce le conseguenze delle ondate alterne di avanzata e di crisi con cui storicamente la generale marcia della accumulazione si presenta."
Cresce quindi il Capitale, e con esso l'esercito dei senza riserve, i quali rappresentano l'aspetto più moderno della società borghese (il capitalismo è tanto più moderno quanto più libera forza lavoro, non quanto più ne occupa). Aumenta la separazione tra il proletariato e le proprie condizioni di lavoro, i mezzi di produzione, dato che un numero crescente di senza riserve non entreranno mai in contatto con essi. Le piccole aziende chiudono o vengono inglobate da quelle più grandi, si formano i monopoli, diminuisce il numero dei capitalisti, e i pochi rimasti sono sempre più ricchi.
Nell'ultimo capitolo di "Vulcano...", troviamo scritto:
"Il capitalismo decrepito odierno dell'Occidente ha dunque questa possibilità: di rendere parassitario il consumo dello stesso produttore generico, traverso la arruffianata 'struttura dei prezzi' e dei 'settori di consumo'. L'accumulazione di maggior capitale con la necessaria mobilitazione di sempre maggiore forza di lavoro, divenendo fine a se stessa, ha fatto sì che ogni aumento della produttività del lavoro, per quanto abbia superato ogni previsione antica e recente, sia volto all'incentivo del produrre di più."
Più avanti nel testo si afferma che, peggiore della privazione dei beni necessari, è il consumo di quelli artificiali che non sono necessari, ma anzi sono dannosi alla specie umana. Il processo di accumulazione capitalistica si è avvitato su sé stesso, il Capitale bada solo alla triade D-M-D' rendendo insensata l'esistenza degli uomini ("Una vita senza senso"). Il mostruoso volume della produzione, dice il nostro testo, è per nove decimi inutile alla sana vita della specie umana, "ed ha determinato una sovrastruttura dottrinale che richiama la posizione di Malthus, invocando, a costo di chiederli alle forze infernali, consumatori che inghiottano senza posa quanto l'accumulazione erutta."
Il vulcano della produzione si scontra con i limiti fisici del Pianeta: non si possono continuare a produrre auto, televisori e cellulari, in volumi sempre maggiori, anche perché aumentando la miseria sociale, è limitata la capacità di consumo. Il Sistema cerca allora di bypassare questo limite attraverso misure economiche più o meno radicali, dal reddito di cittadinanza al quantitative easing, fino al ventilato helicopter money. Si tratta di controtendenze che il Capitale mette in campo al fine di frenare la caduta tendenziale del saggio di profitto.
La produzione per la produzione è finalizzata all'esclusivo aumento del Capitale, e ha sempre meno legami con i bisogni umani, per cui alla fine si arriva alle situazioni descritte in certi film di fantascienza, ad esempio Matrix dove le macchine prendono il sopravvento e gli uomini vengono trasformati in batterie. A dir la verità, già oggi viene sottratto cibo agli uomini per sfamare le macchine ("Perché gli agrocarburanti affameranno il mondo" e "Piccolo bilancio sugli agro-carburanti").
Il riformismo classico vorrebbe un capitalismo green, ecologico, e una crescita sostenibile. Dall'altra parte ci sono gli ambientalisti più radicali, i primitivisti, che parlano dell'imminente collasso sistemico auspicando un ritorno al passato, ad una società meno sviluppata tecnologicamente, di tipo feudale, basata su piccoli gruppi umani autonomi e autosufficienti; il capitalismo non sarebbe così un rapporto sociale, un modo di produzione transitorio da sconfiggere per passare oltre, ma un qualcosa di non meglio definito. La borghesia avverte che andare avanti con questi ritmi di produzione è un rischio per il Pianeta, ma non riesce ad essere conseguente, essendo schiava delle esigenze di accumulazione del Capitale. La Groenlandia ha perso in un giorno 12,5 miliardi di tonnellate di ghiaccio, che si sono trasformate in acqua; i ghiacciai si stanno sciogliendo un po' ovunque e le foreste bruciano. In otto mesi consumiamo le risorse rinnovabili che la Terra è in grado di fornirci in un anno. Ancora più velocemente bruciamo quelle non rinnovabili. E tutto ciò accade mentre non avanza alcuna consapevolezza sistemica, anzi, trionfa la critica a tale consapevolezza.
I rappresentanti dei maggiori paesi del mondo hanno organizzato il Summit ONU sul clima, ma loro stessi ne sono rimasti delusi: nessuno infatti si è impegnato a fare di più per limitare l'emissione di nuovi inquinanti nell'aria. A cinquant'anni dalla pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo, commissionato dal Club di Roma, la situazione non ha fatto che peggiorare e i rimedi si sono dimostrati peggiori del problema.
Essendo il capitalismo un sistema invariante nelle sue forme, va aggredito in tutte i suoi aspetti, fissarsi su una parte fa perdere di vista l'insieme. Il futuro non contempla una riforma dell'attuale decrepito modo di produzione, ma la sua morte.
Il capitalismo vuole fare lo scalpo del suo grande nemico: l'Uomo ("Imprese economiche di Pantalone"), la specie umana è diventata parassita di sé stessa ("Vulcano..."). Bordiga, affrontando la teoria della conoscenza, afferma che la rivoluzione è un momento di chiarificazione interna alla specie, la quale finché non riuscirà a conoscere sé stessa, continuerà a violentare l'ambiente in cui vive. La rivoluzione, comunque, non è qualcosa che si può ottenere per via culturale o intellettuale: c'è bisogno di un progetto sociale e di un organismo politico che abbia la forza di realizzarlo.