Con il giganteggiare del capitale costante rispetto a quello variabile, la legge del valore va a farsi benedire: gli investimenti non fanno che aumentare il numero di macchine e impianti, intensificando il tasso di sfruttamento del singolo operaio. Nell'epoca della massima espansione dell'uomo-industria, paradossalmente, l'uomo che lavora nell'industria conta meno che mai, a dispetto della immane quantità di plusvalore che individualmente produce. Non solo diminuisce di numero, ma il suo apporto in lavoro vivo diventa sempre più insignificante rispetto alla quantità di lavoro morto che si accumula (qualche anno fa Luciano Gallino ha calcolato che in una automobile Fiat il costo del salario è l'8% del prezzo di vendita).
Il capitalista ha esaurito la sua funzione storica, sostituito da funzionari salariati e relegato a elemento di controllo politico per la conservazione del sistema. Il proletario, invece, è ancora l'unica fonte di vita per il Capitale nonostante quest'ultimo, contraddittoriamente, cerchi di farne a meno ingigantendo l'automa sociale. L'aumento della produttività e quindi della quantità di prodotti trova un limite nel mercato mondiale, il quale non può assorbire merci all'infinito (Vulcano della produzione o palude del mercato?). Inoltre, la produzione capitalistica deve rapportarsi con le materie prime esistenti (terre rare in primis), il cui costo è in crescita. Questo fattore contribuisce a sua volta ad accelerare la corsa quantitativa, che agendo sullo sfruttamento, e cioè impiegando sempre meno operai per produrre sempre di più, determina la diminuzione storica del lavoro medio necessario a produrre merci; ma se nel rapporto che esprime il saggio do profitto (P/C+V) cresce C e diminuisce V, il saggio stesso ne risente. Con tutto ciò non può che giganteggiare la rendita, mentre si inaspriscono i conflitti tra gli stati per accaparrarsi l'energia necessaria a far funzionare le fabbriche.
Si assiste quindi ad un processo di svalorizzazione delle merci, un fenomeno contro cui va a sbattere il capitalismo ("Verso la singolarità storica"). La robotizzazione non è solo un cambiamento quantitativo, ma qualitativo: se gli operai venissero completamente sostituiti da macchine non ci sarebbe più plusvalore, l'alimento che tiene in vita il Sistema. Eliminando tempo di lavoro, il Capitale autonomizzato, spinto dalle proprie contraddizioni, nega sé stesso e si priva di un futuro possibile. Al tempo stesso le macchine rappresentano la possibilità di passare dal regno delle necessità a quello della libertà, dato che l'uomo-industria è la vera natura antropologica della nostra specie (Manoscritti economico-filosofici del 1844).
L'aspetto del nuovo macchinismo non è affrontabile con i vecchi schemi sindacali o riformisti. Maurizio Landini, segretario della Cgil, chiede investimenti produttivi per creare lavoro, ignorando che più investimenti (leggi macchinari) portano ad eliminarlo in massa. Ma lasciano il tempo che trovano anche vecchie parole d'ordine come "lavorare meno, lavorare tutti", perché è sempre più chiaro che la lotta futura sarà quella tra un modo di produzione entropico ed una nuova forma sociale a più alto rendimento energetico.
Si è poi passati a commentare il calo delle esportazioni cinesi, soprattutto quelle verso gli Usa. Ad agosto Pechino ha visto scendere l'indice dell'1% rispetto al mese precedente. Il Dragone asiatico deve fare i conti con la crescita più bassa degli ultimi decenni e questo ha ripercussioni sul resto del mondo.
Economie integrate come quelle di Cina e Usa non possono disintegrarsi senza generare sconquassi, e il protezionismo causa guai seri. Il mondo capitalistico produce merci in cui, in termini di prezzo di produzione, la quantità di energia (valutata in dollari) è sempre meno, ma allo stesso tempo consuma sempre più energia. Il saggio di profitto tende a scendere e i capitalisti, per sopperire a questo calo, accrescono la scala della produzione con l'aumento della massa del profitto. La Cina fa scuola: deve produrre sempre di più, e gli altri paesi devono a loro volta assorbire tale massa crescente di merci; ma ciò non è possibile perché l'acquisto non aumenta della stessa scala della produzione. Un paese come gli Usa, con una vasto potere militare, commerciale e di deterrenza nei confronti degli altri stati, non potrà sopportare a lungo una dinamica che vede una crescita costante del suo deficit commerciale. Ecco allora che usa la pericolosa arma dei dazi.
Il mondo sta precipitando verso una crisi che non ha eguali nel recente passato. Tutti i dati convergono, almeno dal 1984, data della pubblicazione del nostro quaderno La crisi storica del capitalismo senile, a dimostrare che i meccanismi di accumulazione si sono inceppati. I rapporti commerciali non possono andar avanti così poiché il mondo è un'entità finita: oltre ad avere un limite nell'assorbimento di merci prodotte, ha dei limiti dal punto di vista energetico ed ecologico. Noi non siamo degli ecologisti/ambientalisti, ma il capitalismo è davvero un pericolo per la Biosfera. In una società in grado di progettare sé stessa, tutte le produzioni inutili e dannose saranno eliminate, riducendo drasticamente l'orario di lavoro e stabilendo un equilibrio con l'ecosistema. Dopotutto, una nuova forma sociale si impone e affossa quella vecchia perché ha un più alto rendimento energetico: quando il futuro si prospetta più vantaggioso rispetto all'epoca precedente si apre un'epoca di rivoluzione.
In chiusura di teleconferenza, si è accennato ai movimenti in corso sui titoli di stato in Italia e in Europa, i quali potrebbero preludere a qualcosa di grosso. Nei mercati la volatilità è d'obbligo, ma qualcuno sta lasciando determinati investimenti per dirigersi verso i buoni del tesoro che, come nel caso di quelli italiani, hanno un tasso di interesse negativo (il che vuol dire che chi li ha comprati alla scadenza del titolo si vedrà restituire meno soldi di quelli spesi per l'acquisto).