Le mobilitazioni di piazza e le rivolte degli ultimi mesi evidenziano come la maggior parte dei paesi siano toccati da un'unica, profonda, turbolenza sociale. "La banlieue è il mondo" scrivevamo qualche anno fa, e i recenti scontri con la polizia, i saccheggi e gli incendi dei simboli del potere stanno a testimoniarlo. Masse di senza riserve non hanno rappresentanza entro il sistema e sono inevitabilmente costretti a rompere con lo stato di cose presente. La legge della miseria crescente scava un solco incolmabile tra le classi: si ha polarizzazione quando gli elementi di un "campo" o "sistema" si dispongono secondo orientamenti particolari intorno a due poli opposti. Nelle piazze in rivolta ci sono mezze classi rovinate, popolazioni immiserite e anche il proletariato, che però non riesce ancora a dare la propria impronta antiformista. Detto questo, la rivoluzione non si ferma mai e "spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, se lo pone di fronte come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione" (K. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte).
La proletarizzazione di massa non riguarda solo i paesi poveri: in diversi articoli della nostra corrente si afferma che il capitalismo ha fatto il suo tempo non solo perché sfrutta le colonie, ma perché le popolazioni dei più importanti paesi capitalistici, corrotte dalle briciole che cadevano dal banchetto imperialista, ora si ritrovano senza alcuna riserva. Siccome siamo materialisti, siamo dell'idea che questo periodo di crisi totale del capitalismo e delle rappresentanze borghesi funga da anticipazione di un nuovo assetto sociale. Il comunismo è distruttivo rispetto al capitalismo: quando parti della società vengono isolate dalle altre (come a Chicago, dove sono stati sollevati i ponti di accesso al centro per evitare i saccheggi), vuol dire che la borghesia si sente assediata. Ciò che manca alla classe dominante è una visione d'insieme, una progettualità, una teoria sociale. Si pensi al problema della pandemia: i diversi paesi continuano a muoversi in ordine sparso, mentre nel mondo i contagi (20 milioni) e i morti (oltre 700mila) continuano a salire. La società capitalistica non può tornare indietro, non può ringiovanirsi: la disoccupazione di massa è un dato di fatto che nessuno può negare, il debito pubblico mondiale ha raggiunto cifre da capogiro, vengono create masse di denaro che non hanno nessun tipo di corrispettivo con la produzione materiale. The Economist, in uno degli ultimi numeri, lancia preoccupati allarmi con articoli come "Governments must beware the lure of free money".
Più cresce la pressione sociale, più aumenta la carica distruttiva delle rivolte. Quello che si sta manifestando a livello mondiale, e che ha subito un'accelerazione con la pandemia, è la crescita della parte di popolazione mondiale che rischia di precipitare nel girone dei senza riserve o che non ha già più riserve, e non ha nulla da perdere in questa società. In Libano vediamo qualcosa di simile a quanto accaduto ad Hong Kong l'anno scorso, quando sono stati attaccati i palazzi del governo. Fino a qualche anno fa i parlamenti venivano pacificamente accerchiati, come in Spagna al tempo degli Indignados; ora vengono assaltati. Il marasma sociale e la guerra si stanno impadronendo del mondo mettendo a soqquadro i ministeri, i parlamenti e i governi.
Il fenomeno della guerra civile permanente, generalizzata ed endemica è stato registrato anche dal Papa, quando nel 2014 in un'omelia definì la situazione mondiale come "una terza guerra combattuta a pezzi con crimini, massacri, distruzioni". La nozione di proletariato è stata chiarificata dalla nostra corrente, per esempio in "Tracciato d'impostazione" (1946) in cui si parla di "movimenti che proclamano ed attuano l'assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l'antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove". I proletari sono tali non perché hanno la tuta blu, ma perché sono senza riserve e questo aspetto rappresenta una novità importante anche nel linguaggio. Al tempo di Marx il proletario nullatenente e senza prospettive era il "lumpenproletariat", quella fascia di popolazione costretta a delinquere o a fare la spia. Oggi la massa proletaria non è più quella dell'Ottocento, bensì tale condizione riguarda milioni e milioni di individui nel mondo e tende ad estendersi. Quando in un paese per mesi e mesi scendono in piazza milioni di persone (disoccupati, precari, piccolo borghesi rovinati, ecc.), vuol dire che abbiamo superato per sempre la condizione di proletario descritta dal vecchio linguaggio terzinternazionalista. Guarda caso, in America, è stato lanciato lo slogan "1/99%".
Occupy Wall Street ha voltato le spalle al sistema democratico-parlamentare e si è battuto per l'organizzazione di spazi propri e per un altro tipo di società. Queste caratteristiche si sono ripresentate successivamente nei movimenti in Turchia, Iraq, Sudan, ecc. L'idea di occupare in pianta stabile le piazze è diventata virale e ha fatto il giro del mondo. La comunità si riunisce in un primo momento per risolvere dei problemi, ma ad un certo punto diventa fondamentale la comunità in quanto tale, e il mezzo diventa lo scopo (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844).
La langue de bois (letteralmente "lingua di legno") dell'Internazionale degenerata in versione russa lascia ormai il tempo che trova. Il linguaggio è essenziale per trasmettere informazione e senza di esso non sarebbe neppure possibile il vivere sociale; il suo studio è fondamentale perché la lingua è un mezzo di produzione. In fondo, le controrivoluzioni tentano di evitare che si avvicini un altro periodo rivoluzionario proprio impedendo il cambiamento del linguaggio; ma un linguaggio che non ha contenuto empirico, che non trasmette nulla, non serve a nessuno e viene abbandonato. Un raggruppamento politico che non trasmette informazione è morto ("I fattori di razza e nazione nella teoria marxista", 1953).
Una biblioteca, magari con migliaia di volumi, può contenere tutti gli elementi storici necessari per scoprire cos'è una rivoluzione e come fare a collegarsi ad essa. E' quello che sta alla base del nostro lavoro: lasciar perdere le parti superate e recuperare quelle che riguardano il futuro. Verso la fine degli anni '60 le case editrici di sinistra si sono arricchite vendendo in grande quantità libri di Marx, Engels e Lenin; e recentemente, in seguito alla crisi del 2008 e al movimento globale Occupy Wall Street, Marx è stato riscoperto un pò in tutto il mondo. La memoria delle rivoluzioni passate torna a galla quando se ne sente la necessità. Non sono certo le maggioranze a decidere coscientemente di "fare" la rivoluzione e a volte basta un piccolo innesco per fare scoppiare un incendio sociale. Ma è fondamentale che nel suo corso vi sia la presenza di un elemento catalizzatore, di un organismo mutante, capace di indicare al "movimento reale" un obiettivo praticabile e i mezzi per raggiungerlo.
In chiusura di teleconferenza, abbiamo fatto un breve riassunto degli articoli della rivista "La guerra planetaria degli Stati Uniti d'America" e "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana", concludendo che è improbabile il ripetersi di uno scontro frontale tra blocchi imperialistici come quello avvenuto con la Seconda Guerra Mondiale. Il capitalismo ha raggiunto la sua fase suprema, imperialistica, e non ci sarà un nuovo passaggio di testimone dopo gli Usa (come quello che c'è stato dall'Olanda all'Inghilterra e poi dall'Inghilterra agli Stati Uniti). La guerra mondiale è già in corso, è diffusa a livello mondiale, ed è guerra per la sopravvivenza del modo di produzione capitalistico.