Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  28 luglio 2020

Fronte interno

Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 16 compagni, abbiamo parlato delle manifestazioni in corso negli Stati Uniti.

Dopo Washington, Seattle, Atlanta e New York, oggi è Portland il cuore delle mobilitazioni, giunte alla 59esima giornata consecutiva. In città la tensione è cresciuta in seguito all'arrivo di squadre di agenti federali, sotto il controllo diretto del governo nazionale, che stanno reprimendo le proteste e fermando i manifestanti con modalità, secondo molti osservatori, al limite della legalità.

Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" avevamo scritto del processo di militarizzazione della polizia teso a contenere le rivolte nel "ventre della balena". Il moto storico vede l'esercito americano svolgere sempre più un ruolo di gendarme mondiale, mentre la polizia interna assume caratteristiche militari ed individua come nemico la popolazione. I contractor, agenti pagati da società private, vengono utilizzati in scenari di guerra come l'Iraq o l'Afghanistan, ma ormai anche nelle metropoli occidentali. Il fronte interno della collaborazione di classe diventa sempre più problematico per la borghesia americana, e non solo.

Recentemente a Portland sono scesi in strada i veterani, che hanno organizzato una sorta di muro umano in difesa dei manifestanti dalla violenza della polizia. Siamo alla dialettica corazza/proiettile descritta da Engels, dove alla violenza dello Stato fa seguito la radicalizzazione dei suoi avversari. Negli Usa circolano decine di milioni di armi e con lo scoppio della pandemia le vendite nel settore hanno registrato un'impennata: la popolazione statunitense si riempie di pistole, fucili e munizioni, che prima o poi saranno usate, specie con la crescita del malessere sociale. Quanto accade negli States è particolarmente importante, trattandosi del paese che svolge il ruolo di poliziotto globale. Qualsiasi cosa avvenga lì, non può che avere effetti globali.

Da qualche anno a questa parte le manifestazioni mostrano la tendenza a perdurare: quando scoppiano, non si spengono facilmente. Lo abbiamo visto ad Hong Kong, in Francia, Cile, Libano, Iraq, Iran, e ultimamente anche in Bulgaria e Israele. Come abbiamo notato più volte durante le teleconferenze, il marasma sociale in corso si espande, sincronizzandosi e generalizzandosi.

Tenere una piazza per due mesi, come nel caso di Portland, vuol dire avere strutture di coordinamento per l'organizzazione dei presidi, per i compiti di difesa, per il soccorso dei feriti, ecc. Rispetto a qualche lustro fa, quando le manifestazioni erano prevalentemente a carattere sindacale e rivendicativo e iniziavano al mattino per terminare alla sera, la situazione è completamente cambiata. Negli Stati Uniti, così come in Cile o in Iraq, ci sono milioni di persone che non hanno nulla da perdere, la situazione economica è disastrosa e negli ultimi mesi si è aggravata a causa della pandemia, il sistema in generale perde sempre più energia. La tendenza delle rivolte a protrarsi nel tempo è dovuta al fatto che la società sta liberando sempre più persone dalla produzione, spingendole a scendere in piazza.

La governatrice dell'Oregon ha denunciato l'occupazione di Portland da parte della polizia federale, accusata anche di aver compiuto arresti arbitrari. Ciò ricorda quanto successo in Cile qualche mese fa, dove per le strade giravano furgoni anonimi che rapivano i manifestanti i quali, in alcuni casi, venivano torturati. Sono situazioni dovute ad una guerra civile generalizzata, endemica, che riguarda la società nel suo insieme. In Iraq, la polizia ha sgomberato le tende di piazza Tahrir scontrandosi violentemente con i manifestanti: ci sono stati due morti e centinaia di feriti e arrestati. In Italia, una vertenza sindacale alla Fedex-TNT di San Giuliano Milanese si è trasformata in un campo di battaglia e contro i lavoratori che picchettavano i magazzini è stata schierata una polizia privata dotata di taser, le pistole che scaricano scosse elettriche.

Il 2011 ha segnato un passaggio di livello e, dopo le manifestazioni dell'ottobre di quell'anno (nostro volantino "Mille città"), si è avuto il blocco dei porti della West Coast, nel maggio 2012, e il picchettaggio autorganizzato dei luoghi di lavoro ("99 Pickets Line"). Gli americani hanno portato modelli evoluti di organizzazione: a Zuccotti Park gli occupier raccoglievano tramite crowdfunding i fondi necessari per mantenere la struttura, per l'autosostentamento della community, per la gestione di reti Mesh, ecc.

Negli Stati Uniti sono in molti ad interessarsi al tema del survivalism e del do it yourself, preparandosi ad affrontare eventuali emergenze, comprese possibili interruzioni o profondi mutamenti dell'ordine sociale o politico, su una scala che va dal locale al globale. Questo aspetto ha avuto una certa influenza nelle modalità di azione della piazza, anche dal punto di vista della "attrezzatura base" dei manifestanti: zaino in spalla, scarpe da trekking, maschere antigas, liquido anti-spray, kit di pronto soccorso, e tutto quello che può servire per partecipare a mobilitazioni persistenti ed estremamente mobili, capaci di mettere in difficoltà la polizia che si trova a gestire faticosamente decine o centinaia di migliaia di persone che non hanno alcuna rivendicazione, non vogliono un tavolo delle trattative e rifiutano qualsiasi dialogo. Quando la polizia viene armata come un esercito qualcosa stride, perché mentre l'esercito ha una sua struttura logistica, la polizia non è preparata alla guerra interna. In Francia, con i gilet jaunes abbiamo visto le tattiche di contenimento messe in atto dalla polizia scontrarsi con le strutture leggere adottate dai manifestanti. C'è da ricordare che un apparato poliziesco armato ed agguerrito costa caro allo stato, e che le spese per i contractor e le varie polizie pesano sulle casse di un sistema già malandato. Lo stato moderno ha un numero elevato di poliziotti, spioni e agenti segreti, sicuramente spropositato rispetto ai risultati ottenuti con le recenti manifestazioni, che nessuno è riuscito a fermare. Quello che al massimo possono fare è tentare di incanalare la rabbia sociale, dandole uno sbocco democratico-parlamentare, così come ha fatto la borghesia italiana inventando movimenti interclassisti come quello delle sardine.

La prima grande rivoluzione, nel passaggio dalle società comunistiche a quelle classiste e proprietarie, è un'immagine speculare della transizione futura; anche allora, ci furono grandi rivolte, scambiate per guerre, che sconvolsero l'ordine esistente. Le mobilitazioni attuali rappresentano l'eclissi di un modo di produzione, in cui le popolazioni si ribellano contro un assetto sociale inefficiente, contro un involucro che non corrisponde più al contenuto. Questa caratteristica è un invariante di tutte le grandi epoche di transizione, dall'Ottobre del 1917 alla Rivoluzione Francese. Il passaggio da un modo di produzione all'altro non può certo essere tranquillo, graduale, pacifico: la chiusura del ciclo delle società di classe ha un carattere storico universale, perciò la prossima rivoluzione produrrà uno sconvolgimento di dimensioni epocali.

La nostra corrente ha previsto che l'imperialismo si sarebbe configurato come una società impossibilitata a garantire l'aumento differenziale dei redditi. I redditi dei proletari non solo aumentano meno di quello dei capitalisti, ma hanno cominciato a diminuire, con l'impoverimento assoluto di gran parte della popolazione. La borghesia non ha più i mezzi materiali per comprarsi il proletariato, le famose briciole che cadevano dal banchetto imperialista. I margini di manovra si assottigliano, il capitale si è autonomizzato e non segue le volontà dei capitalisti e degli stati. Questa è una situazione irreversibile che nessuno potrà cambiare.

Nel filo del tempo "Precisazioni su Marxismo e miseria e Offensive padronali" (1949) si descrive la traiettoria storica del capitalismo, che ha una "fase ascendente, di espansione, di prosperità", poi raggiunge un punto di flesso, e quindi inizia una "fase discendente, di contrazione, di crisi alternata" in cui cresce il numero dei proletari ma diminuisce quello degli occupati, e si allarga a dismisura l'esercito dei senza riserva. Si tratta di un fenomeno, quello della miseria crescente, strettamente legato al processo di accumulazione capitalistico, che vede restringersi la classe borghese e dilatarsi quella proletaria:

"Più accumulazione, minor numero di borghesi. Più accumulazione, maggior numero di operai, ancor maggior numero di proletari semioccupati e disoccupati, e di peso morto di sovrappopolazione senza risorse. Più accumulazione, più ricchezza borghese, più miseria proletaria."

Lo slogan 1/99%, lanciato da Occupy Wall Street nel 2011, riassume bene la polarizzazione economica in atto, la quale porterà deterministicamente ad una di tipo politico e ad uno scontro totale tra modi di produzione. Dal Manifesto del '48 sappiamo che ai proletari non viene fatta un'ingiustizia particolare e non gli sono negati particolari diritti; su di essi ricade l'ingiustizia universale, perciò il proletariato non può far altro che "spezzare le catene", liberare cioè la forma nuova dai legami che non la lasciano sorgere.

Noi ricaviamo la teoria della rivoluzione dal fatto che il capitalismo va inevitabilmente in crisi, generando il proprio becchino. Il partito che anticipa il futuro, quello comunista, si pone non in difesa della società esistente e delle sue categorie, ma in difesa del divenire di specie. Se esiste una "freccia del tempo", ed esiste, allora occorre vederla agire anche quando si parla di rivoluzione, fenomeno che si manifesta proprio quando la dissipazione sociale si oppone all'ulteriore sviluppo della forza produttiva sociale. Bisogna aggiungere che in natura esistono forme di auto-organizzazione in grado di rovesciare localmente le tendenze dissipative. Gli esseri viventi, ad esempio, possono inserire fattori di ordine nel loro ambiente, rovesciando la tendenza naturale all'entropia.

Articoli correlati (da tag)

  • Il crollo dell'ordine economico mondiale

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.

    Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").

    Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.

  • La guerra è dissipazione di energia

    La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.

    Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email