Il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha dichiarato che se in Italia continuerà questa tendenza economica (alcuni stimano un ribasso del Pil di circa il 10% per l'anno in corso), in autunno potremmo trovarci di fronte ad una forte tensione sociale. Ora, non sappiamo con precisione chi accenderà la miccia, e non è poi così importante, ma non abbiamo dubbi su quale classe darà l'impronta al movimento rivoluzionario. Per analizzare il divenire sociale e la dinamica del capitalismo dobbiamo sempre adottare una visuale internazionale, tentando di allargare al massimo l'orizzonte di indagine. Sarebbe errato, ad esempio, non tener conto delle rivolte per il pane che ci sono state, o sono ancora in corso, in Guinea, Nigeria, Burkina Faso, e Kenya.
Nei paesi occidentali la "bomba sociale" non è ancora esplosa perché una parte del plusvalore prodotto è utilizzata per pagare i sussidi per i disoccupati (in Inghilterra più della metà della popolazione viene mantenuta con forme di sussidio). Gli Stati sono costretti a mantenere gli schiavi invece di farli lavorare. Questo è un capitalismo che non è più sé stesso, eppure tale evidente aspetto non è compreso dalla maggior parte di coloro che si definiscono comunisti. Esiste uno scarto tra il livello di maturazione del "movimento reale", che ci dà la certezza scientifica della rivoluzione, e la percezione soggettiva degli uomini. La teoria della rivoluzione non si basa sulle percezioni dei singoli o dei gruppi; la rottura rivoluzionaria (o insurrezione), invece, avviene in seguito al crescere del potenziale esplosivo di classe dovuto a percezioni soggettive (di massa) piuttosto che a razionalizzazioni scientifiche.
Le esplosioni sociali, quindi, non avvengono in base alla volontà o alla coscienza raggiunta dal proletariato nel suo insieme, ma quando il sistema non permette più agli uomini di vivere alla vecchia maniera, quando i "rapporti di proprietà, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene" (Marx, Per la critica dell'economia politica).
Da tempo notiamo l'incapacità delle forze politiche e sindacali di controllare il proletariato; ciò è dovuto non tanto all'inettitudine dei gruppi dirigenti, quanto a processi irreversibili di dissoluzione di vecchi paradigmi, di linguaggi che non spiegano niente, di forme politiche obsolete (proviamo a pensare cosa comporta il passaggio dalla carta stampata alla leggerezza dei bit e delle reti). Ormai nelle rivolte globali si stabilisce una simmetria tra stati e piazze in lotta. Esistono app per cellulari che permettono la comunicazione peer to peer, bypassando i server e le tecnologie in mano ai grandi gruppi capitalistici. Durante la Primavera araba, nell'Egitto in rivolta, il governo oscurò i network: in tutta risposta vennero installate reti mesh (a maglia) con le stesse caratteristiche di Internet.
Nell'editoriale dell'ultimo numero della rivista, "Ingegnerizzazione sociale", abbiamo visto come nell'analisi della realtà c'è bisogno di schemi, modelli e formule, perché solo così l'umanità ha imparato a conoscere, astraendo dal particolare e dal contingente. Complessità, teorie del caos, teoria delle reti, logica fuzzy: la gamma della conoscenza umana è stata "ampliata", con risvolti anche nel lavoro dei comunisti. Oltre ai passaggi bruschi e alle repentine rotture, vi sono sovrapposizioni e sfumature tra epoche sociali:
"Di fronte alla confusione fra epoche e forme sociali che ad esse dovrebbero corrispondere, il comunismo canonizzato, quello definito marxista-leninista, ben sistemato nelle pieghe di questa società, non batte ciglio sul fatto che le rivoluzioni non solo sono spurie, contaminate, apparentemente contraddittorie, ma non rispettano nemmeno uno dei paradigmi fondanti ancora tenuti in piedi dal lessico d'antan. Nella misura in cui i rapporti di produzione maturano, la rivoluzione proletaria diviene sempre più necessaria, come sempre più necessari diventano i rapporti di produzione che emergono dallo strato materiale, cioè dalla tecnica legata alla produzione."
Il fatto che siano nate organizzazioni internazionali come FAO, OMS, BM e WTO, dimostra che esiste una tendenza materiale del capitalismo (dovuta allo sviluppo delle forze produttive) verso un governo mondiale, e che tali strutture un domani potranno essere conquistate dalla rivoluzione. La grande socializzazione demo-fascista del XX secolo è stata una controrivoluzione a tutti gli effetti, ma ha prodotto importanti capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo, ad esempio i lavori del Club di Roma sui limiti dello sviluppo.
Quando i giornalisti scrivono articoli dal titolo "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto" non fanno altro che prendere atto di un qualcosa che succede sotto i loro occhi, che non si può più nascondere. La situazione è talmente matura che i temi trattati in articoli della rivista come "La legge della miseria crescente", "Non è una crisi congiunturale" e "Un modello dinamico di crisi" non fanno più scalpore (una volta ci accusavano di essere iperuranici!). La pandemia ha accelerato una crisi che era già in atto, aggravandola, e rendendo palese l'incapacità dell'attuale modo di produzione di soddisfare i bisogni di specie.
Il denaro è la forma fenomenica del valore. Se non viene prodotto valore a monte, non può esserci forma fenomenica a valle. Perciò creare moneta può essere un espediente, ma non è la soluzione. Il valore è prodotto dal rapporto tra proletari e capitalisti, e cioè tra lavoro necessario e pluslavoro; la piccola borghesia, che è il famoso vaso di coccio tra vasi di ferro, reagisce e si muove per prima in situazioni di stress sistemico. Tutti avvertono il gravoso problema del debito pubblico, del debito privato e del debito dell'industria, ma nessuno ha i mezzi per porvi rimedio. Il sistema è resiliente e riesce ancora a rimandare il suo collasso, ma quando i flussi di capitale si assottiglieranno le categorie più deboli e quelle più indebitate non ce la faranno a sopravvivere. Si verificherà allora una singolarità storica. Se per qualche motivo dovesse interrompersi la catena logistica che garantisce l'alimentazione delle metropoli, gli scenari che si aprirebbero sarebbe di tipo catastrofico (il cinema ha già affrontato il tema). La nostra è la società del flusso, del trasporto di merci, del movimento di uomini e capitali, ed è un sistema fragile, nel quale migliaia di fabbriche sono collegate tra di loro attraverso il tessuto nervoso rappresentato dalla logistica: un modello intrinsecamente vulnerabile.
Come detto nella relazione "La caduta (non) tendenziale del saggio di valore-lavoro del plusvalore" (76° incontro redazionale di n+1, dicembre 2019), è il centro vitale del sistema ad essere compromesso. Tutte le misure che possono essere prese per uscire dalla crisi non fanno che peggiorarla, così come afferma Marx a proposito delle cause antagonistiche alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Dal primo tornio ai robot che espellono gli uomini dalle fabbriche, il processo in corso è determinato. Per l'operaio singolo che si trova disoccupato è un incubo, ma la legge fondamentale del capitalismo diventa così la legge fondamentale della sua negazione. Basti pensare che i paesi capitalisti più avanzati hanno una formazione del Pil così composta: 2-3% agricoltura, 70-80% servizi e circa il 20% industria.
Un compagno ha posto il problema dell'industria degli armamenti. La produzione e la vendita di armi vanno avanti per inerzia e, fuori da ogni dottrina militare moderna, continuano ad essere costruite portaerei, nonostante oggi la guerra si svolga più sul Web che altrove (con il ruolo primario dell'intelligence e con compellence a tutti i livelli). Neanche le armi salveranno il mondo capitalistico, dato che un paese come gli Usa, dominatore del mondo, spende appena il 4% del Pil per il materiale bellico.
In chiusura di teleconferenza si è accennato allo stato della pandemia. Da lunedì 4 maggio l'Italia ha riaperto una serie di attività e concesso ai cittadini alcune libertà riguardo gli spostamenti. I numeri del contagio rimangono però ancora molto alti, soprattutto in certe regioni del Nord. Inghilterra, Usa e Belgio, insieme a Brasile ed India, registrano una crescita esponenziale degli infetti. I governi stanno assumendo comportamenti contraddittori, spinti da una parte dalle pressioni padronali per la riapertura, e dall'altra dalla necessità di tutelare la popolazione ed evitare il collasso dei sistemi sanitari. La discussione interna al mondo scientifico tra chi è favorevole alle misure di allentamento e chi vi si oppone dimostra che le idee non sono affatto chiare. In effetti, di questo virus si sa molto poco: alcuni malati rimangono positivi all'infezione per mesi, altri sono asintomatici, altri ancora si ammalano più di una volta senza produrre anticorpi.
La borghesia tenterà di rispondere alla degenerazione sistemica, magari nazionalizzando alcune industrie e intervenendo con la mano pubblica per salvare il salvabile. L'OMS aveva prospettato dei modelli e suggerito soluzioni valide, eppure gli stati non l'hanno ascoltata, salvo poi intervenire massicciamente come accaduto in Cina. Lì, milioni di telecamere, il tracciamento degli individui, un sistema profondamente integrato hanno permesso di bloccare a casa 11 milioni di persone e di tenerne sotto stretto controllo altri 60, adoperando anche l'esercito. Una forma fascista di controllo moderna, alla Peccei-Visentini-Olivetti, sarebbe utile per il capitalismo giunto a questo punto, ma dubitiamo fortemente che il capitalismo riesca a socializzarsi ulteriormente. Come dice la nostra corrente: dopo il fascismo non può che esserci il comunismo.