Anche sul fronte Coronavirus le notizie non sono positive: il numero dei contagi è tornato a crescere in Germania e in Corea del Sud (dove il nuovo focolaio sembra sia partito da una discoteca dove una sola persona ne ha contagiate un'ottantina); in Cina si teme l'arrivo di una seconda ondata; in Russia si contano 10mila nuovi casi al giorno; in Brasile, India, e Stati Uniti (dove si registrano quasi 1,4 milioni di malati e oltre 80mila morti), la curva del contagio continua a salire. Nel frattempo, i media mainstream minimizzano, facendo credere che il virus non sia più un problema. In realtà, la situazione è tutt'altro che sotto controllo e vede i vari stati procedere in ordine sparso, ognuno adottando misure a carattere locale, benché si trovino di fronte ad una pandemia, causata da un virus che di certo non conosce confini regionali o nazionali. La nostra specie, già oggi, ha i mezzi e le strutture per affrontare a livello sistemico catastrofi come queste ma, politicamente, brancola nel buio: la classe dominante, pur di continuare a pompare plusvalore e fregandosene delle evidenze scientifiche, riapre fabbriche e uffici, ben sapendo che ciò comporterà un determinato numero di malati e morti.
Da segnalare le proteste in corso in Bolivia, dove masse di persone che non hanno di che vivere scendono in piazza scontrandosi con l'esercito e la polizia. Rivolte per il pane sono in atto anche in vari paesi africani, tra cui Guinea, Nigeria, Burkina Faso, Uganda, Mali, Kenya. Il Libano è sull'orlo del precipizio economico e le manifestazioni di piazza proseguono; dopo l'ingresso nella fase 2, i contagi nel paese hanno ripreso a salire e il governo ha fatto marcia indietro riattivando la fase 1: all'emergenza economica e sociale si assomma ora quella sanitaria. La caduta dei vari Pil nazionali, la miseria crescente, il crollo dei sistemi sanitari, il rischio della rottura della catena logistica internazionale - una serie di disastri che sembrano trovare sempre maggiore sincronia - danno l'idea di cosa riservi il futuro prossimo.
La borghesia è in balia di sé stessa: non sa più cosa fare e dice tutto e il suo contrario. In Italia, il giornalista Angelo Panebianco scrive un articolo ("Un dilemma sul futuro", Corriere della Sera) in critica al governo per l'aperta ostilità verso il capitalismo e la volontà di "ricreare lo Stato padrone, con tanto di Iri e tutto il resto". Dal canto suo, Gianni Riotta, su La Stampa, afferma che il capitalismo tradizionale sta morendo e solo l'intervento dello Stato lo può salvare. Il nuovo capo di Confindustria, Carlo Bonomi, propone che vengano sospesi i contratti nazionali di lavoro e si proceda ad una rinegoziazione totale dei diritti su base aziendale. In India, cinque stati federali, incuranti della particolare situazione sanitaria, hanno sospeso le regole sul diritto del lavoro per attirare gli investimenti dall'estero, creando zone franche in cui le paghe saranno più basse e le misure di sicurezza sul lavoro più morbide. Si sta aprendo a livello mondiale uno scontro tra capitale e lavoro mai visto prima, altro che fine della storia come sosteneva Fukuyama. Da mesi a Baghdad, piazza Tahrir è occupata dai manifestanti, e recentemente è nato un gruppo di lavoratori e disoccupati, "workers against sectarianism", che ha fatto circolare in Rete video e foto di manifestazioni e scontri con la polizia. Come ad Hong Kong e prima ancora a Zuccotti Park, nella piazza irachena si è messa in moto una struttura operativa per il mutuo soccorso, atta all'assistenza medica, alla distribuzione di cibo, al collegamento con il mondo intero attraverso pagine Facebook e Twitter, il tutto all'insegna dell'auto-organizzazione.
L'eliminazione del tempo di lavoro determinato dall'aumentata composizione organica del Capitale fa sì che miliardi di esseri umani abbiano come unica prospettiva quella di precipitare nell'esercito dei senza riserve. La legge del valore nega sé stessa, e ciò porta alla disgregazione delle vecchie sovrastrutture, in primis lo Stato. Lenin nell'Imperialismo fa notare che il capitalismo è diventato un involucro che non corrisponde più al suo contenuto... comunistico. In "Traiettoria e catastrofe" (1957) la nostra corrente ricorda che la teoria dell'automazione non riguarda tanto l'aspetto sindacale, ma il divenire comunistico della società, e quella che oggi va sotto il nome di disoccupazione sarà un domani trasformazione di tempo di lavoro in tempo di vita. La conclusione del ragionamento è semplice: se il Capitale fa sempre più fatica a valorizzare sé stesso vuol dire che non ha più ragion d'essere.
Anche in relazione alla crisi determinata dal Coronavirus, aumentano le situazioni in cui lo Stato deve intervenire nell'economia per salvarla. Il quantitative easing ha raggiunto livelli estremi (non c'è più alcun nesso tra la produzione di valore e l'iniezione di droga monetaria o la quantità di derivati in circolazione) ma, nonostante ciò, nel mese di aprile, migliaia di aziende americane hanno dichiarato il fallimento o ci sono andate molto vicine:
"Stando all'ultimo report di Bank of America, solo nel mese di aprile i defaults aziendali negli USA hanno toccato un controvalore di 17 miliardi di dollari. Ma non basta, perché debito per altri 27 miliardi è entrato nella default watchlist della banca." ("Buffett svela il bluff della Fed e United Airlines cancella un'emissione da 2,2 miliardi", Business Insider, 10.05.20)
Il debito americano ha raggiunto livelli record già prima dell'esplosione della pandemia e, secondo le proiezioni di Bank of America, la sua gestione andrà completamente fuori controllo a partire dal 2040. Per far fonte ad una situazione mondiale sempre più complicata, ci vorrebbe un "super-imperialismo", così come sostenuto da un nostro corrispondente qualche anno fa. Effettivamente un trust fra nazioni, sosteneva Lenin in polemica con Kautsky, sarebbe possibile da un punto di vista teorico, ma molto prima della sua costituzione succederebbe qualcosa di grosso a livello sociale. Sappiamo che lo stato borghese perde energia e non funziona più, ciò ha delle conseguenze: quando si parla di debito pubblico e privato (in fin dei conti è tutto valore), bisogna aver chiaro che chiunque emetta uno strumento finanziario è un debitore che chiede denaro al sistema del credito. Dalla raccolta di piccoli capitali che diventavano grandi e servivano all'investimento nella produzione, nel corso dei decenni siamo passati alla situazione asfittica attuale in cui il debito generale serve sì a raccogliere piccoli capitali, ma per indirizzarli alla speculazione finanziaria. La funzione riparatrice del debito si sta trasformando nella funzione dissolutiva del debito stesso. Siamo da tempo arrivati ad un Capitale senza capitalisti e a capitalisti senza Capitale ("Proprietà e Capitale", 1948). Ma esiste un limite temporale a questa situazione. Gli Stati Uniti, ad esempio, devono gestire, oltre al debito pubblico, quello dei 53 stati federati, dell'industria e infine dei privati, i quali ne detengono una quantità pari all'intero PIL del paese. Insomma, non è possibile stampare denaro in eterno senza un corrispettivo in termini di valore, senza il passaggio da D (denaro) a D' (+ denaro) per il tramite fondamentale di P (produzione).
In chiusura di teleconferenza, abbiamo accennato alle leggi di simmetria che regolano il divenire umano, lo storico arco millenario che lega il comunismo originario a quello futuro per mezzo delle società di classe. Se non si adotta una visione "filotempista" (ieri-oggi-domani), non si può comprendere cosa ci sarà dopo il crollo dell'attuale modo di produzione, e cioè un metabolismo sociale che non prevede l'esistenza di Stato, denaro, merce e di tutte le altre categorie capitalistiche.