Siamo al "si salvi chi può": ogni stato si muove come meglio crede. Le spinte legate al sistema mercantile portano a prendere decisioni che guardano all'immediato e non tengono conto delle conseguenze. L'Ansa ha dato ampio risalto alla polemica tra Stati Uniti, Cina e Organizzazione Mondiale della Sanità. Il presidente Trump ha definito l'OMS "un pupazzo della Cina", riferendosi in particolare al modo in cui l'organizzazione ha agito all'inizio dell'epidemia, e cioè prendendo tempo prima di lanciare l'allarme mondiale. Tale istituzione mondiale, al pari dei suoi simili quali BM, ONU, FAO, ecc., dovrebbe operare secondo un'ottica globale e per interessi globali, ma nella realtà risponde ai singoli stati, in primis a quelli che erogano maggiori fondi (come gli USA).
Nell'articolo della rivista "Lo Stato nell'era della globalizzazione" abbiamo visto che lo Stato perde energia, si disgrega e tende al collasso. Un rapporto della Banca Mondiale, commentato da Maurizio Molinari sulle pagine di Repubblica ("Coronavirus, il pericolo della fragilità degli Stati"), indica espressamente la fragilità degli apparati statali quale maggior rischio globale. Le guerre civili, le diseguaglianze, i cambiamenti climatici, le migrazioni di massa, possono "generare ondate di vulnerabilità, shock e crisi" che si ripercuotono "dentro gli Stati, ne superano i confini e causano instabilità regionali". Capitalismo di Stato, oggi, vuol dire subordinazione dello Stato al Capitale; ma se gli Stati cominciano a saltare, non c'è più alcun punto di riferimento per il capitalismo.
Dopo Siria, Iraq, Ucraina, e Yemen, tale fragilità comincia a manifestarsi anche all'interno delle cosiddette democrazie occidentali. La Banca Mondiale, temendo che la pandemia possa spingere 60 milioni di persone sotto la soglia di povertà, lancia l'allarme e promette aiuti per 160 miliardi di dollari a cento paesi in via di sviluppo dove risiede il 70% della popolazione mondiale.
La carenza di programmi e di teoria da parte della borghesia si palesa a tutti i livelli. Nonostante la serie di incontri e accordi con i rappresentati del governo, Arcelor Mittal sembra voglia abbandonare gli stabilimenti italiani e a Genova qualche centinaio di lavoratori ha manifestato contro la scelta dell'azienda di metterli in cassa integrazione a 750 euro al mese. Nel settore dell'acciaio attualmente è la Cina a fare la parte del leone, producendone da sola la metà di quello mondiale; segue a distanza l'India. Negli anni '50 la nostra corrente, nel filo del tempo "Sua maestà l'acciaio", diceva che "tutto questo acciaio non si mangia non si consuma non si distrugge, se non ammazzando i popoli". Erano tempi in cui le tonnellate prodotte ammontavano a circa 200 milioni l'anno, mentre oggi nel mondo se ne producono oltre 1,8 miliardi. Uno dei maggiori consumatori di acciaio, il settore industriale dell'automobile, è in crisi da anni e ora, a seguito della pandemia, le vendite diminuiscono ulteriormente. Ad aprile in Europa si è registrato un calo del 78,3%; le aziende iniziano a fare pressioni sui governi affinché diano incentivi per nuovi acquisti, mentre l'Unione Europea sta pompando denaro per rilanciare i consumi. Si droga sempre di più il sistema affinché sopravviva, ma sappiamo che tanta sostanza, alla fine, lo manderà in overdose.
Sul fronte sindacale, segnaliamo l'articolo "Lo Statuto ha 50 anni/Ripensare il lavoro e cambiare i sindacati", pubblicato sul Messaggero, in cui si afferma che sono "le stesse tecnologie a rendere progressivamente obsolete le organizzazioni di rappresentanza immaginata dai padri dello Statuto". La Legge 300/70 è stata ideata per permettere la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, il diritto di assemblea nei luoghi di lavoro e il tesseramento sindacale tramite ritenuta sul salario. La nostra corrente ha sempre sostenuto, contro il processo (ormai irreversibile) di integrazione del sindacato nello Stato, che il sostegno economico dei lavoratori all'organizzazione di difesa economica deve essere volontario e gestito direttamente dagli operai. Il materiale che circola oggi in Rete mostra un'omologazione impressionante: dal segretario della CGIL fino ai gruppetti più a sinistra, tutti sono uniti nella difesa dello Statuto dei diritti dei lavoratori, come prima lo erano con l'articolo 18. Quasi nessuno a dire che la lotta proletaria non deve essere né regolamentata né preannunciata e che la caratteristica principale dell'azione di classe è l'iniziativa, non la replica imbelle alle cosiddette provocazioni dell'avversario.
Negli ultimi anni il capitalismo ha prodotto milioni di lavoratori senza contratto e senza salario regolare (contratti a progetto, co.co.co, stage, lavoro on demand, partite Iva, ecc.). Questa situazione materiale non prevede più alcuna ripetizione dei logori schemi ordinovisti: non ha alcun senso chiudersi in un'officina per difendere il posto di lavoro dato che il posto di lavoro non c'è più. La borghesia è preoccupata e conta sui sindacati per controllare la forza-lavoro, ma questi non hanno più la potenza e la vitalità di una volta contando sempre meno iscritti.
La pandemia ha portato alla chiusura di molte aziende causando, negli Stati Uniti, un calo del PIL del 30% per il secondo trimestre del 2020. Una cifra enorme. Per Germania e Italia la perdita, su base mensile, è rispettivamente del 4 e del 6%. Il lockdown ha fermato circa il 40% delle fabbriche italiane eppure, nonostante ciò, il necessario per alimentare la società è stato prodotto e i supermercati sono sempre stati riforniti. Questo vuol dire che esiste una potenzialità produttiva enorme e che, eliminando i consumi creati artificialmente, quelli voluttuari e il traffico inutile, si potrebbe fin da ora eliminare un numero enorme di ore di lavoro, con grandi benefici anche per l'ambiente (vedi impronta ecologica). Il rendimento superiore di una società comunista rispetto alla società attuale è sempre più visibile. D'altronde, se non vedessimo già all'interno di questa società anticipazioni materiali della società futura, ogni tentativo di farla saltare sarebbe donchisciottesco. La potenzialità produttiva esistente è altissima, ma viene mortificata da un sistema basato sulla legge del valore, superato il quale potremo passare in breve tempo dal regno della necessità a quello della libertà. Lenin affermava che nella Russia del suo tempo, a causa dell'arretratezza economica e sociale del paese, era stato relativamente facile prendere il potere ma difficile mantenerlo, mentre per l'Occidente capitalistico la situazione si presentava rovesciata, dato lo sviluppo superiore delle forze produttive.
In chiusura di teleconferenza si è accennato alle numerose rivolte per la fame in corso sul pianeta. Dal Bangladesh, passando per l'India, fino al Cile, i lockdown non fermano le proteste. A Santiago e Antofagasta, città del Cile settentrionale, ci sono stati scontri violentissimi. Come abbiamo scritto nella newsletter "Rivolta contro la legge del valore", milioni e milioni di esseri umani stanno precipitando nella condizione di sovrappopolazione assoluta. Ciò comporta la progressiva scomparsa delle mezze classi e la loro fibrillazione, dato che sono le prime ad avere qualcosa da perdere. Per adesso il proletariato non riesce a dare la propria impronta a questi movimenti ma, in un contesto di miseria assoluta crescente, non tarderà a farlo. Le manifestazioni globali degli ultimi mesi non hanno espresso né leader né obiettivi chiari: si tratta di un'energia che si scaglia contro lo stato di cose presente, senza rivendicare nulla, un'energia che non si spegne né con la paura del virus né con la violenza della polizia. Come afferma Marx ne "Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte": la rivoluzione va fino al fondo delle cose, lavorando con metodo, spingendo alla perfezione il potere esecutivo e riducendolo alla sua espressione più chiara, ponendolo come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione.