Il linguaggio è dunque fondamentale per l'evoluzione tecnica e sociale della nostra specie, e le diverse forme che esso sviluppa nello spazio e nel tempo dipendono dalle distanze geografiche e dalla formazione di comunità umane distinte. L'esperanto è stato un tentativo di fondare ex novo una lingua universale, combinando vocaboli e regole di altre lingue; l'esperimento è riuscito ma con un limite legato alla sua espansione. Tra le lingue artificiali e gli idiomi nati dalla storia di un popolo o di una nazione la differenza sta proprio nella loro diffusione, decisamente maggiore per quest'ultimi. Pensiamo all'inglese, la lingua internazionale parlata da persone di paesi diversi: essa si è imposta grazie al ruolo imperialistico svolto prima dall'Inghilterra e poi dagli Stati Uniti.
Il glottologo Alfredo Trombetti (1866-1929) sostiene nei suoi studi l'unità preistorica delle lingue: tutte proverrebbero da un unico ceppo. Nel saggio L'unità d'origine del linguaggio scrive: "Noi dunque consideriamo la monogenesi del linguaggio per lo meno come un argomento assai forte in favore della monogenesi dell'uomo."
La teleriunione è proseguita con il commento della situazione economica e sociale. Tra le varie minacce all'economia mondiale The Economist indica l'inflazione (che rischia di lasciare sul lastrico milioni di famiglie), l'approvvigionamento delle materie prime e, soprattutto, la possibilità di nuovi lockdown e restrizioni alle frontiere. Mentre capitalisti e politici prendono tempo e rimandano l'adozione di misure drastiche per frenare la crescita dei contagi, le curve salgono in maniera esponenziale facendo presagire il peggio dal punto di vista sanitario. Ma le problematiche sono varie e si collegano tra loro. In Italia, a causa dell'influenza aviaria, sono stati abbattuti nove milioni di galline, tacchini e polli in centinaia di allevamenti. Insomma, anche se all'improvviso il Coronavirus sparisse dal pianeta, rimarrebbero le cause materiali che l'hanno generato. Secondo uno studio pubblicato sul server bioRxiv, la variante Omicron del virus è in grado di contagiare più facilmente i topi, con tutte le conseguenze di una circolazione incontrollata in questa specie serbatoio.
Una semplice analisi dei fatti elencati ci spinge a dire che a gennaio molti nodi arriveranno al pettine. La crescita esponenziale del numero dei contagi può mandare in tilt gli ospedali per la congestione dei reparti Covid. Ciò porterà a chiusure improvvisate seguite da altrettante improvvisate riaperture. La borghesia è una classe incapace di rovesciare la prassi, se non nella produzione delle merci, e l'attuale pandemia lo sta dimostrando chiaramente.
In Italia non si tracciano più i positivi, non si prendono misure di distanziamento sociale, ma si lasciano aperti ristoranti, stadi, cinema, scuole, musei e luoghi di lavoro. Regioni come la Lombardia, pur di restare in zona bianca, hanno pensato bene di aggirare le restrizioni aumentando il numero dei posti letto disponibili per i malati Covid. Eppure, è significativo quanto successo in un ristorante a Oslo dove, un super-diffusore, ha infettato tutti i commensali (il 96% dei quali erano vaccinati con due dosi). La società va verso soluzioni catastrofiche perché invece di prevedere quali saranno le conseguenze della diffusione del contagio, lascia che tutto si risolva in maniera darwiniana, secondo una spietata selezione naturale. Non è il Capitale a produrre coscientemente nuovi patogeni per condurre un'offensiva contro il proletariato, immobilizzandone l'azione (come sostengono alcuni "comunisti"); questo modo di produzione è invece responsabile di provocare crisi a profusione. La borghesia ha dimostrato di non saper controllare i fenomeni che genera, e non è da escludere una comune rovina delle classi in lotta, come affermano gli stessi Marx ed Engels nel Manifesto. Per adesso, la classe dominante fa ciò che vuole perché non ci sono risposte di classe all'altezza della situazione.
La visione frattale della rivoluzione ci permette di scorgere piccoli saggi di catastrofe, che rappresentano le avvisaglie di altri molto più grandi. Per esempio riguardo ai delicati equilibri che fanno funzionare metropoli di 10 o 20 milioni di abitanti.
Ad Hong Kong, un agglomerato urbano di 8 milioni di abitanti compressi in uno spazio ristretto, ci sono state manifestazioni che hanno coinvolto tra i 2 e i 3 milioni di persone, sfociate nell'occupazione e nella vandalizzazione del Parlamento (probabilmente la polizia ha lasciato fare per dar sfogo alla piazza). La stessa dinamica si è vista negli Usa con l'assalto al Campidoglio a Washington da parte dei sostenitori di Trump. In Iran qualche anno fa, durante i moti contro il caro-vita, sono state assaltate decine di caserme, banche e stazioni di polizia. E' come se in un gioco di guerra il sistema costringesse tutti a salire di livello.
La tensione sociale cresce, gli stati collassano e il sistema perde energia, ma non possiamo fermarci a questa constatazione. Per chi si schiera nel campo dell'antiforma, è d'obbligo fare un salto in avanti dal punto di vista della previsione. Torna utile il recente studio sul wargame, pubblicato sul numero 50 della nostra rivista (che arriverà agli abbonati nel mese di gennaio). La rivoluzione non è un qualcosa che avviene in un dato giorno e in un dato posto, vi sono invece molteplici rotture rivoluzionarie, un susseguirsi di eventi a cascata che portano alla dissoluzione del vecchio modo di produzione.
La rivoluzione è un processo che vede la maturazione di determinati elementi e la scomparsa di altri. Nell'evoluzione delle specie, i mutanti all'inizio sono un'infima minoranza. Sotto la pressione evolutiva essi tendono ad estendersi se trovano condizioni favorevoli. Anche i "memi" di Richard Dawkins rispondono a tale meccanismo: sono pacchetti di informazione ("unità auto-propagantesi") che tendono a diffondersi da persona a persona all'interno di una società quando rispondono a bisogni reali. Contro la forza si possono usare i cannoni, dice Marx, ma quando un'idea si impadronisce delle masse, non bastano nemmeno quelli.