Nella scorsa newsletter, la numero 242, abbiamo affermato che date le aperture degli esercizi commerciali per facilitare gli acquisti nel periodo natalizio era possibile prevedere con una certa sicurezza l'andamento delle curve dei contagi e dei morti, nel frattempo diventate esponenziali. Se tutto rimane così, senza interventi drastici da parte dei governi, verso la primavera il sistema sanitario mondiale potrebbe saltare.
La dissoluzione dei vecchi rapporti di produzione provoca una serie di effetti dal punto di vista sovrastrutturale che vanno dai sistemi sanitari al collasso alle crisi di governo. Come in Italia, dove il caos legato alla situazione sanitaria e ai ritardi nella vaccinazione si assomma a quello politico-governativo intorno al Recovery Plan. Il tema della dissoluzione è trattato ampiamente da Marx che, nei Grundrisse, mette in relazione il succedersi delle forme economico-sociali con le microdissoluzioni, che trovano il loro coronamento nelle macrodissoluzioni dei modi di produzione. Tale processo è dovuto alla freccia del tempo (legge di entropia), una dinamica fisica che porta ad una società nuova indipendentemente dalla volontà degli uomini e dalla loro consapevolezza.
Se l'azione organizzata degli uomini è fondamentale per il rovesciamento della prassi, allo stesso tempo le forze materiali che li spingono alla lotta hanno carattere impersonale e sono il prodotto di scontri epocali tra modi di produzione.
Il video pubblicato su Facebook dal collettivo francese Cerveaux Non Disponibles presenta una ricca carrellata delle manifestazioni avvenute nel 2020 nel mondo, dall'Indonesia alla Francia, dal Cile ad Hong Kong. Le immagini mostrano tutto un pianeta in ebollizione. Siamo nel mezzo di una transizione di fase, in cui lo Stato fa sempre più fatica a svolgere la sua funzione, non tanto dal punto di vista repressivo visto che gli armamenti e gli uomini addestrati non mancano, quanto nella possibilità di tenere insieme corporativamente la società, evitando pericolose disgregazioni.
E' talmente radicata l'abitudine a raffrontare la società attuale con quelle passate, che spesso viene scordato il confronto con il futuro, cioè con ciò che potrebbe essere. Nell'ultimo numero della rivista, "Contributo per una teoria comunista dello Stato", abbiamo messo in evidenza il fatto che lo scontro avviene tra i diversi rendimenti sociali e che, a lungo andare, a prevalere è il migliore: una forma economica e sociale raggiunge il suo culmine e, ad un certo punto, si trasforma in un freno all'ulteriore sviluppo delle forze produttive: perciò deve abbandonare la scena storica.
Ciò che contraddistingue la nostra specie è la necessità di darsi un'organizzazione sociale centralizzata per migliorare le proprie condizioni di vita, per rispondere alle avversità dovute agli eventi naturali, quindi anche per produrre un surplus da immagazzinare in caso di carestie. Questa organizzazione centralizzata si è sviluppata nel tempo a partire dalle società comunistiche originarie (Valle dell'Indo, Antico Egitto, ecc.) e si è specializzata attraverso una divisione prima tecnica e poi sociale del lavoro: un processo di socializzazione della produzione arrivato a livelli sempre più alti, dalla caccia alla raccolta fino all'allevamento e all'agricoltura, dai primi insediamenti alle città vere e proprie. Facendo un salto storico fino al '900, abbiamo visto che tale organizzazione ha condotto ad una socializzazione internazionale del lavoro (scientific management), a grandi opere pubbliche, ad un ruolo centrale dello stato nell'economia, al welfare state e ad un fascismo a scala internazionale. Conclusa la lunga fase keynesiana, dagli anni '80 è iniziata quella liberista nella quale lo stato è diventato, invece che soluzione, problema (vedi "Chicago boys"), con un atteggiamento ideologico più che pratico dato che dal capitalismo super-statale non si torna indietro.
L'attuale bancarotta ideologica della classe dominante è dovuta al fatto che essa ha ormai sperimentato tutto: dallo statalismo all'antistatalismo, dalla regolamentazione dell'economia alla deregolamentazione, fino ad arrivare alla re-regulation.
I governi, senza alcuna teoria economica e politica e sprovvisti di un valido programma, navigano a vista. Ne è dimostrazione la (non) gestione della pandemia, con aperture e chiusure delle attività stabilite senza alcun criterio scientifico soggiacente. Un altro esempio di perdita di energia da parte delle istituzioni statali lo si è visto nel Regno Unito con l'operazione Brexit, che invece di migliorare la condizione economica del Paese l'ha danneggiata, burocratizzando ulteriormente i rapporti commerciali con l'estero e complicando le questioni politiche interne irlandese e scozzese. Questo caos non è colpa di un governo o di una compagine politica in particolare: è l'attuale forma sociale che si sta disgregando, e come conseguenza le varie parti del sistema si autonomizzano e nessuno le controlla più.
Nel saggio Che cosa sono gli amici del popolo Lenin scrive che ad un certo punto la forma dell'appropriazione deve adattarsi a quella della produzione, che è già socializzata. L'imperialismo è una sovrastruttura politica che non corrisponde più alla struttura materiale e che, giunta ad una certa soglia e in mancanza di una rottura rivoluzionaria, diviene altra cosa. Ne consegue che lo Stato non può che conformarsi ad una produzione sempre più integrata e robotizzata, distribuendo soldi alle popolazioni immiserite attraverso bonus, sussidi di disoccupazione e redditi di cittadinanza.
Abbiamo poi commentato un articolo di Business Insider intitolato "La bolla immobiliare spaventa gli Usa come nel 2007 e Goldman Sachs lancia l'allarme subprime". Nell'articolo il Ceo di Best Western, David Kong, afferma: "Se il vaccino non sarà disponibile molto presto e il business non tornerà a livelli pre-pandemia, la situazione non potrà che peggiorare. E di molto". Non ci sono dubbi in merito: negli Usa sono già due milioni i posti di lavoro andati in fumo nel settore alberghiero e il 25% delle strutture ricettive del paese sono a rischio pignoramento. Tutto ciò avrà un impatto negativo sulle cartolarizzazioni di mutui e affitti legati a hotel, resort e centri commerciali.
Il Sole 24 Ore, un paio d'anni fa, ben prima quindi dell'emergenza Coronavirus, aveva lanciato l'allarme sul mercato dei derivati, che aveva raggiunto cifre incredibili, pari a 2,2 milioni di miliardi di euro, vale a dire circa 33 volte il PIL mondiale. Questo capitale fittizio, del tutto autonomizzato dalla produzione, galleggiava grazie alle prospettive, seppur basse, di crescita dell'economia mondiale. Ora, complice la pandemia, si sono inceppati i meccanismi di funzionamento del capitalismo, tanto che il 2020 si è chiuso con la maggior parte delle economie con il segno meno.
Il grande collasso si avvicina. Pensiamo alla crescita vertiginosa del valore dei Bitcoin, o alle azioni di aziende come Amazon, Tesla e Apple, schizzate alle stelle. L'indice Dow Jones ha battuto i record di sempre, raggiungendo valori maggiori rispetto a quelli pre-pandemia. Insomma, nonostante una crisi economica mondiale ben peggiore di quella del 2008, il mercato azionario festeggia.
La condanna del modo di produzione capitalistico è spiegata dagli schemi di accumulazione di Marx: il denaro (D) non si può incrementare senza passare per la produzione (P). Solo con la produzione di plusvalore il denaro investito (D) esce dal ciclo capitalistico maggiorato (D'). Le iniezioni di liquidità nel sistema, la droga monetaria, funzionano limitatamente, e non sono pochi gli economisti ad avvertire che sono i "fondamentali" quelli a cui bisogna prestare attenzione. Anche perché nel mondo della finanza ci sono solo passaggi di valore, qualcuno si arricchisce e qualcun'altro perde. In un contesto che vede la crescita economica mondiale in negativo (per il 2020 l'OCSE stima un PIL mondiale al -4,2%), con prospettive non certo rosee, non possiamo dire se la bolla finanziaria scoppierà nel mercato immobiliare, con il default di un paese o nel mercato delle criptovalute, ma è certo che lo scoppio ci sarà.
L'aumento del valore dei Bitcoin, oltre ad essere indice della crescita di una bolla speculativa, è la dimostrazione dell'avvio di un altro processo di autonomizzazione del capitale: la nascita e l'affermarsi di una moneta elettronica che non ha bisogno di copertura perché, fin che circola, se la fornisce da sé attraverso un codice incorporato. Non è garantita da uno stato ma da una tecnologia, la Blockchain, che ne genera una quantità finita, per cui il prezzo può diventare teoricamente infinito ("Dimenticare Babilonia"). Quando si sviluppano monete digitali capaci di funzionare senza alcun tipo di collegamento con gli stati, sostituendo, potenzialmente, le monete nazionali, allora siamo ancora una volta di fronte a una delle dissoluzioni che anticipano il passaggio da una forma economico-sociale all'altra.
In chiusura di teleconferenza è stata segnalata la traduzione in spagnolo, pubblicata su un blog argentino, del nostro articolo "Rivoluzione e cibernetica". Qualche mese fa avevamo reperito altri nostri materiali tradotti su siti sudamericani e in lingua russa. La nostra corrente ci ha lasciato un enorme patrimonio di semilavorati sulle terre di confine, sui saggi di organizzazione comunistica, sulle lezioni storiche delle controrivoluzioni, ma soprattutto ci ha indicato l'importanza di legarsi al futuro. Chiunque rifiuti l'approccio terzinternazionalista e la "langue de bois" del luogocomunismo deve necessariamente sintonizzarsi sul "movimento reale" che è, per definizione, superamento continuo del presente.
Il comunismo è una specie di virus che, quando la situazione sociale è matura, si diffonde da testa a testa, facilitato in questo dai nuovi mezzi di comunicazione.