Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  12 gennaio 2021

Assalto a Capitol Hill

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 22 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo i recenti avvenimenti negli USA, con particolare riferimento all'assalto al Campidoglio a Washington il 6 gennaio scorso.

Nel secondo dopoguerra la nostra corrente ha scritto molto sugli Stati Uniti e sul loro ruolo di gendarme del capitalismo (materiale raccolto nel quaderno America). Vinta la seconda guerra mondiale, hanno annientato l'influenza delle vecchie nazioni imperialiste europee cacciando i colonialismi francese e soprattutto inglese dal nord Africa e dal Medioriente, e posizionando le loro portaerei ovunque. Produttori per lungo tempo di oltre metà del PIL globale, oggi invece ne rappresentano il 20%. La potenza egemone, e sappiamo che non si può parlare dello stato americano e del suo divenire senza parlare della salute del capitalismo intero, sta perdendo energia e vede mutato il suo rapporto con il resto del mondo a livello economico e militare. In Afghanistan si è ritirata accordandosi con i talebani, e in Iraq, dopo il disfacimento dello stato centrale, ha dovuto fare i conti con lo Stato Islamico. Insomma, la crisi degli USA è una delle varie tappe della più generale crisi sistemica del modo di produzione attuale.

Dal punto di vista sociale, la profonda spaccatura che attraversa gli States è ben rappresentata dalle recenti manifestazioni del movimento Black Lives Matter contro la violenza della polizia, e dall'emergere di quella compagine disomogenea che si raccoglie sotto lo slogan Make America Great Again, cavalcata da Donald Trump. Sono entrambi epifenomeni generati da una situazione economica che vede gli USA dirigersi inesorabilmente verso il collasso. Dopo l'occupazione di Capitol Hill dello scorso 6 gennaio, i manifestanti pro-Trump non demordono ed hanno lanciato una serie di iniziative in tutti gli stati per la cerimonia di insediamento di Joe Biden. L'FBI teme il verificarsi di rivolte armate e ha già mobilitato più di 15 mila uomini della Guardia nazionale in difesa di Washington.

Una parte della popolazione americana si sente colonizzata dallo stato centrale e si ribella. D'altronde, dice la nostra corrente, nell'ultimo colonialismo i bianchi colonizzano i bianchi ("Imprese economiche di Pantalone", 1950).

Marx afferma che per conservare ciò che si sta perdendo, gli uomini sono costretti a rompere con lo status quo. Trump, al pari dei vari leader populisti europei, è il prodotto di questa rottura. Secondo alcuni analisti politici il tycoon, che all'inizio della scorsa campagna elettorale voleva candidarsi come indipendente, in questa fase si sta proponendo come soggetto altro rispetto al Partito Repubblicano e potrebbe fondare un suo movimento politico. Nel contesto assume sempre più rilevanza la galassia di gruppi dell'Alt-right (libertariani, suprematisti, isolazionisti, ecc.), che sono difficilmente incasellabili nelle categorie politiche vigenti in Europa e che potrebbero autonomizzarsi dai partiti e dallo stesso presidente uscente.

Da mesi ormai le metropoli americane fremono di rabbia e sono frequenti gli episodi di saccheggi ai negozi e di assalti alle stazioni di polizia, come quelli avvenuti in seguito all'uccisione di George Floyd. Il fenomeno della guerra civile è diffuso, endemico e persistente.

In molti, ed anche tra le fila dei sinistri, si sono scandalizzati per l'assalto dei trumpisti al sacro tempio della democrazia. In realtà tali episodi altro non fanno che rinnovare l'auspicio del crollo dell'impero a stelle e strisce. Come afferma la nostra corrente: "I marxisti, non potendo oggi essere protagonisti della storia, nulla di meglio possono augurare che la catastrofe politica, sociale e bellica della signoria americana sul mondo capitalistico" (Dialogato coi morti, 1956).

Un paio di mesi fa, durante una teleconferenza, avevamo commentato un articolo di Moisés Naím ("Negli Stati Uniti ha vinto la polarizzazione") nel quale si metteva l'accento proprio su questa dinamica di scontro in vista delle elezioni presidenziali. Nell'ottobre del 2002 Paul Krugman scrisse sul New York Times un articolo ("For Richer") in cui si dimostrava, cifre alla mano, che i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, e che stava scomparendo la classe media. Chalmers Johnson, nel 2001, ha dato alle stampe il libro Gli ultimi giorni dell'impero americano. I contraccolpi della politica estera ed economica dell'ultima grande potenza. Lo ribadiamo: il passaggio di consegne ad una nuova potenza imperialista non è possibile dato che il paese egemone, invece di prestare soldi, li chiede, indebitandosi a dismisura con il resto del mondo. La piccola borghesia, che fa da cuscinetto tra le due grandi classi in lotta, sta subendo i colpi della crisi senile del capitalismo. Quindi, più che a un ritorno al fascismo, ovvero a una ricomposizione corporativa della società, stiamo andando verso fenomeni sempre più marcati di disgregazione (descritti da Michael Moore nel film Roger & Me).

Tra le varie analisi sui fatti di Capitol Hill, alcuni hanno inquadrato la vicenda come un potenziale colpo di stato, poiché l'ingresso dei manifestanti al congresso è stato piuttosto anomalo, soprattutto per quanto riguarda la mancata resistenza da parte della polizia. I patrioti dicono che hanno occupato la sede del Governo per difendere i "veri" valori americani, primo fra tutti la libertà, e contro il deep state, lo stato ombra composto dalle élite finanziarie globali in combutta con i democratici.

Gli USA stanno perdendo la loro autorevolezza: diminuendo la quantità di plusvalore incamerata attraverso la rendita, dovranno abituarsi a vedere manifestazioni armate all'interno dei propri confini nazionali, e dovranno anche cominciare a dismettere qualcuna delle 800 basi militari sparse per il mondo.

A livello globale compare all'orizzonte il problema dell'inflazione. Nell'edizione del 10 dicembre scorso l'Economist ("After the pandemic, will inflation return?") ha lanciato l'allarme: in un periodo come questo, con il PIL mondiale con il segno meno, un aumento del livello medio dei prezzi sarebbe un bel guaio.

Un compagno ha poi segnalato l'articolo di Avvenire, "L'"imperialismo" dei vaccini tra diplomazia e aiuti interessati", in cui si svelano i meccanismi soggiacenti alle forniture dei vaccini, legati agli interessi dei vari paesi e alle loro sfere di influenza. Da tempo papa Francesco parla di terza guerra mondiale combattuta a pezzi, e cioè di uno scenario globale dove non ci sono più due blocchi imperialisti contrapposti, ma una guerra diffusa, combattuta su più fronti e con diverse tipologie di armamenti. Una guerra che non vede solo conflitti interstatali, ma anche sommosse, rivolte di massa e insurrezioni. A ciò si aggiunge il fenomeno della cyberwar, la guerra combattuta nel mondo delle reti e dell'informazione. Basti pensare alla censura dei maggiori social network nei confronti dell'attuale presidente degli Stati Uniti.

Dissoluzione, disgregazione, ingovernabilità, decadenza del sistema dei partiti, sono fenomeni che hanno origine nella ricordata perdita di energia del sistema.

Nei giorni scorsi a Madrid si sono registrate nevicate molto abbondanti, che hanno provocato un intasamento del traffico (autobus e raccolta rifiuti fermi, scuole e aeroporti chiusi), confermando quanto andiamo dicendo sul collasso delle metropoli. Anche in Inghilterra, a causa della Brexit, cominciano a scarseggiare i rifornimenti di frutta e verdura nei supermercati. Se si interrompono le catene logistiche che alimentano i grandi agglomerati urbani a causa della formazione di colli di bottiglia, assisteremo a scenari catastrofici. Non a caso negli Usa dall'inizio della pandemia c'è stata un'impennata nell'acquisto di armi. I film, soprattutto americani, che affrontano scenari di marasma sociale sono numerosi, ci limitiamo a segnalarne due: La seconda guerra civile americana (1997) e Contagion (2011).

Articoli correlati (da tag)

  • Accumuli e catastrofi

    La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati nella relazione "Peculiarità dello sviluppo storico cinese" presentata durante lo scorso incontro redazionale (15-16 marzo).

    La Cina ha attraversato una lunga guerra di liberazione nazionale (1927-1950) durante la quale la tattica del fronte unito con il Kuomintang, lanciata dal PCC in funzione antigiapponese, portò prima al disarmo e poi al massacro dei comunisti. In seguito alla vittoria della rivoluzione borghese, si rese necessario sviluppare il mercato interno e l'industria; la storia del capitalismo è la storia dell'assoggettamento della campagna alla città. Con la fine degli anni '70 si chiuse un'epoca e si aprì la strada ai finanziamenti esteri che, con le riforme, trasformarono completamente il paese (Deng Xiaoping: "arricchirsi è glorioso"). Il processo di accumulazione originaria, che nei paesi occidentali ha impiegato decine e decine di anni per compiersi, in Cina avviene bruscamente, portando con sè profondi disastri ambientali e sociali. Lo sradicamento dei contadini dalle zone rurali provocò migliaia di rivolte, soffocate con la forza dall'esercito.

    La Cina contemporanea non è solo un paese industrializzato, ma anche finanziarizzato. Nell'articolo "Tessile cinese e legge del valore" abbiamo visto che le contraddizioni riversate in Asia dall'Occidente sono poi tornate indietro amplificate. La vulcanica produzione cinese corrisponde al declino produttivo in altri paesi. La cosiddetta de-industrializzazione dell'Occidente non è causata da cattive scelte politiche, ma dalle leggi inerenti la natura del sistema capitalistico.

  • Accelerazionismo e forze storiche

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dalla segnalazione di un articolo del sito Futuro Prossimo, intitolato "USA senza freni: l'accelerazionismo tecnologico di Trump e Musk".

    Nell'articolo, Ben Buchanan, ex consigliere per l'IA per la Casa Bianca, afferma che l'accelerazionismo, una corrente di pensiero secondo cui lo sviluppo tecnologico non deve avere limitazioni, è diventato la dottrina ufficiale dell'amministrazione Trump, con conseguenze potenzialmente rivoluzionarie. Per il nuovo esecutivo politico americano la vera minaccia non è la mancanza di regole, bensì il rischio di restare indietro nella corsa globale all'intelligenza artificiale generale. I meccanismi di funzionamento dello Stato sono troppo lenti per tenere il passo con l'innovazione tecnologica, perciò è necessaria una "distruzione creatrice" di schumpeteriana memoria. Di qui i piani di licenziamento dei lavoratori del DOGE (dipartimento per l'efficienza governativa statunitense) voluti da Elon Musk. Sembra che parte dei 1.500 dipendenti federali della General Services Administration recentemente allontanati verranno sostituiti dalla chatbot GSAi.

    Joseph Schumpeter sviluppa la teoria della "distruzione creatrice" basandosi sull'opera di Marx, in particolare sul passaggio del Manifesto del partito comunista in cui si afferma che la società borghese è costretta a rivoluzionare "di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali".

  • Imperialismo europeo?

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dalla notizia riguardante la cosiddetta questione curda.

    Abdullah Öcalan, storico leader della guerriglia curda, imprigionato nelle carceri turche dal 1999, ha chiesto al PKK l'abbandono della lotta armata. Proprio in questi giorni gli USA hanno annunciato il loro ritiro dalla Siria, dove è presente un contingente americano di circa 2mila soldati impegnati contro l'ISIS e a sostegno delle SDF (Siryan Democratic Force). La mossa di Öcalan è un segno dei tempi, è il portato di un repentino cambiamento degli equilibri mondiali, ma resta da vedere la capacità delle forze curde, divise geograficamente e politicamente, di darsi un indirizzo, se non unitario, almeno non confliggente.

    Il subbuglio sociale negli Stati Uniti ha conseguenze sul resto del mondo. L'annuncio di nuovi dazi doganali da parte dell'amministrazione Trump e, più in generale, il ritorno del protezionismo si scontrano con un mondo che, invece, avrebbe bisogno di un governo unico mondiale per gestire l'attuale sviluppo delle forze produttive. Il rischio è che collassi tutto, e che l'utilizzo dell'arma dei dazi inneschi situazioni incontrollabili: gli ingredienti ci sono tutti, il mercato è piccolo, gli attori sono troppi e ad azione segue reazione. La Cina ha infatti annunciato aumenti del 10-15% dei dazi su diversi prodotti agricoli e alimentari americani.

Rivista n°56, dicembre 2024

copertina n° 56

Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email