Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  22 giugno 2021

Transizioni di fase e modelli sociali

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 16 compagni, è iniziata partendo da alcune domande che ci sono state poste recentemente.

Nella scorsa teleconferenza, un compagno aveva chiesto se ha ancora senso parlare di "ripresa della lotta di classe" e, durante l'ultimo incontro redazionale (19-20 giugno), a proposito della relazione sui modelli "riduzionistici" della realtà, è stato chiesto "come si realizza la politica nel wargame e come si gestisce la discrezionalità."

Prima di tutto bisogna chiarire che la lotta di classe non cessa mai finché esistono le classi: proprio per questo non è corretto parlare di una sua "ripresa". Semmai è da augurarsi che emerga dal magma di contraddizioni capitalistiche una forza organizzata completamente diversa rispetto al passato, che vada oltre il piano tradeunionistico e sappia fare proprio il programma del comunismo.

Abbiamo scritto diversi articoli intorno alla dottrina dei modi di produzione: "Struttura frattale delle rivoluzioni", "La prima grande rivoluzione", "Modo di produzione asiatico? Stabilità strutturale e morfogenesi nelle forme sociali di transizione", "Poscritto al Grande Ponte", e per ultimo "Contributo per una teoria comunista dello Stato". Riteniamo che il passaggio dalle società comunistiche originarie alle società di classe sia un'immagine speculare della transizione futura.

A tal proposito, non è vero che lo Stato è sempre stato una macchina per l'oppressione di classe. Esso è nato per salvare il comunismo originario dalla sua dissoluzione, è stato il punto più alto raggiunto dallo sviluppo sociale. Quando gli archeologi hanno scoperto Ebla si sono accorti di qualcosa di inedito: i reperti hanno dimostrato che la cosiddetta monarchia e la supposta esistenza dei re-sacerdoti non corrispondevano all'organizzazione reale; Ebla non era un impero, ma un residuo della società comunistica dove il "re" ricopriva una funzione a termine della durata di sette anni, passati i quali veniva sostituito. Si è scoperto che a Uruk la produzione agricola veniva accumulata nei magazzini cittadini, registrata e poi distribuita alla popolazione. L'archeologa Marcella Frangipane, scavando nel sito di Arslantepe, in Turchia, ha trovato una situazione analoga. Pressappoco nello stesso periodo, nel III millennio a.C., nella valle dell'Indo, fiorivano civiltà come Harappa e Moenjo Daro, dove non si sono trovati segni di esistenza delle classi, ma resti di magazzini e di una struttura urbana che testimonia l'assenza di proprietà e classi. Giovanni Pettinato, che ha studiato questi aspetti, è stato aspramente criticato dai suoi colleghi, forse perché ha affermato che bisognerebbe riscrivere tutta la storia del Medioriente, "e, di conseguenza, del mondo, diciamo noi. La differenza è che noi facciamo parte di una corrente che, avendo una teoria a proposito, non ha fatto una scoperta ma ha trovato una conferma." (rivista n. 48)

Il passaggio dal comunismo originario a quello sviluppato è un tema ancora tutto da indagare; eppure, sono pochi quelli che hanno intenzione di approfondire lo studio per darsi strumenti teorici utili a comprendere la natura della prossima rivoluzione. Il patrimonio storico della nostra corrente rischia così di essere dimenticato, se non perduto o, peggio ancora, banalizzato.

Negli anni Venti, dietro la polemica contingente tra la Sinistra Comunista "italiana" e l'Internazionale, vi era lo scontro tra due modi di intendere la rivoluzione. Ad esempio, nelle Tesi sulla tattica del PCd'I (Roma, 1922), il partito è inteso come un qualcosa di vivo, che ha un suo processo di sviluppo che risponde a un codice genetico. Esso è visto dalla Sinistra come l'organo della parte più avanzata della classe proletaria. Tutto il contrario della visione "politica" propria della maggior parte dei "comunisti" dell'epoca. Il proletariato, in questo momento, non ha la possibilità di inquadrarsi in partito, ed è inutile darsi da fare attivisticamente per mutare la situazione sociale, magari dipingendo di rosso un sindacatino che raccoglie qualche migliaio di lavoratori. Il numero dei proletari cresce a livello mondiale e ci sono paesi come Cina e India che hanno visto crescere enormemente il numero dei salariati. La nostra classe è composta da 1,5/2 miliardi di persone nel mondo, una forza immensa, mai vista prima.

L'unica cosa consentita oggi è prepararsi coerentemente e rigorosamente sulla base del patrimonio teorico che ci ha lasciato in eredità la nostra corrente. Non è un compito che si può affrontare con leggerezza: tra i sedicenti rivoluzionari c'è l'odiosa, sbagliatissima, abitudine di dividere il lavoro teorico da quello pratico, che è sempre sinonimo di attivismo e volontarismo. Abbiamo sistemato la teoria, adesso rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare, dicono. Un programma, se così si può chiamare, che non ha nulla di scientifico. La sistemazione continua e perenne del bagaglio di semilavorati è lavoro pratico volto alla preparazione di un partito che dev'essere l'alternativa reale all'esistente. n+1 significa che ogni modo di produzione ha un suo successore: stiamo vivendo una transizione di fase verso una nuova forma sociale, che gli uomini ne siano consapevoli o meno.

"Una rivoluzione è un puro fenomeno naturale, che viene guidato da leggi fisiche piuttosto che secondo le regole che determinano l'evoluzione della società nei tempi normali. O piuttosto, nella rivoluzione queste regole assumono un carattere molto più fisico, la forza materiale della necessità si rivela con maggior violenza" (Engels a Marx, 13 febbraio 1851).

La questione della preparazione del partito rivoluzionario non si risolve organizzando una scuola per militanti a spasso, ma difendendo un ambiente di lotta, mantenendo viva una corrente. Non si possono prendere scorciatoie o accorciare i tempi, si può invece lavorare sul filo del tempo.

Chi ci segue dovrebbe aver capito la differenza tra il nostro lavoro e quello della galassia politica che abbiamo definito "luogocomunista". La società borghese, dice il Manifesto del 1848, è costretta a rivoluzionare continuamente sé stessa, quindi è costretta a generare elementi di n+1 ("saggi di organizzazione futura comunistica", PCInt., Proprietà e Capitale, cap. XV.). Esiste, già oggi, almeno dal punto di vista teorico, la possibilità di un rovesciamento della prassi, di un progetto sociale per ottenere un risultato voluto. I progetti di un ponte, di una casa, di una fabbrica, come di un aggregato sociale, servono a formalizzare nel presente qualcosa che sarà realizzato nel futuro. Quando anche studiosi di primo piano della borghesia (J. Rifkin, La società a costo marginale zero) si accorgono che il capitalismo sta morendo, non fanno altro che prendere atto che questa società non riesce a progettare il suo futuro, che naviga a vista. La fondazione Feltrinelli, qualche anno fa, ha organizzato una serie di conferenze dal titolo "Le conseguenze del futuro", che è molto simile allo slogan presente sull'home page del nostro sito: "La società futura agisce già su quella presente". Il futuro agisce e sta dando dei forti scossoni alle classi, in primis a quella proletaria, la classe che con il suo lavoro produce tutto il necessario e che sopporta sulle proprie spalle il peso di una forma sociale sempre più dissipativa e disumana.

In margine alla riunione redazionale, tra le altre cose, si è ripreso il tema della programmazione, ricordando le teorie di Walter Rathenau e di Werner Sombart, i quali auspicavano che il capitalismo fosse regolato, proponendone una pianificazione per mezzo dello Stato. Un capitalismo programmato però è un ossimoro, dato che è un modo di produzione dove ognuno difende i propri interessi a scapito di quelli altrui, dove il capitalista è in guerra perenne con l'altro capitalista. Detto questo, la borghesia ha costruito programmi, modelli e schemi per mettere ordine alla propria società e, almeno in parte, ha ottenuto dei risultati. Al contrario, da parte proletaria, i tentativi di programmazione in ambito rivoluzionario sono stati combattuti strenuamente e poco capiti proprio da coloro che si definivano comunisti, a cominciare dagli ordinovisti. Il mito dell'operaio che sa gestire la fabbrica senza bisogno del padrone è una fesseria. Il bravo operaio, da un punto di vista marxista, è quello che rompe con il capitalismo e con le sue ideologie, a cominciare dal lavorismo.

Articoli correlati (da tag)

  • Captare i segnali di futuro

    La teleriunione di martedì sera è iniziata facendo il punto sulla crisi automobilistica tedesca.

    Ad agosto, in tutti i paesi del vecchio continente, le immatricolazioni hanno subito un calo: rispetto allo stesso mese dell'anno precedente sono scese del 16,5%, e rispetto al 2019 hanno registrato un crollo quasi del 30%. In Germania, nell'agosto 2024, le vendite di automobili elettriche sono calate del 68%, anche a causa della fine dei sostegni statali. Tutti i produttori sono in difficoltà a causa della concorrenza della Cina, che riesce a mantenere bassi i costi di produzione grazie ai sussidi statali. La crisi riguarda Volkswagen, Mercedes, Porsche, Audi. Ma non è la crisi del settore dell'automobile a determinarne una crisi generale; al contrario, è la crisi di sovrapproduzione mondiale a manifestarsi anche in questo settore.

    Le prospettive di chiusura degli stabilimenti e la riduzione dei posti di lavoro hanno portato a scioperi e manifestazioni in Germania. Il paese, considerato la locomotiva economica d'Europa, ha attraversato un lungo periodo di relativa pace sociale. La Mitbestimmung, cogestione in italiano, prevede la collaborazione fra operai e padroni, sancita dalla natura corporativa dei sindacati esistenti. Il fascismo non è una forma di governo tipica prima dell'Italia e poi della Germania ("La socializzazione fascista ed il comunismo"), ma un cambiamento del capitalismo avvenuto a livello globale, con l'Italia che ha fatto da pilota e subito seguita dal New Deal negli USA, dal nazismo in Germania e dalla controrivoluzione stalinista in Russia. Il fascismo rappresenta un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive che richiede che l'economia regoli sé stessa per mezzo degli interventi dello Stato: la Tennessee Valley Autority negli USA, le bonifiche dell'Agro Pontino in Italia, la costruzione della diga sul Dnepr in Unione Sovietica e la rete autostradale in Germania (Autobahn) avevano il chiaro obiettivo di modernizzare le infrastrutture pubbliche. La nuova autostrada tedesca aveva bisogno di una vettura del popolo, e si cominciò a produrre la Volskwagen. Così facendo, si diede lavoro a migliaia di disoccupati (conquistandoli al regime) e si rilanciò l'economia nazionale. Il corporativismo nazista viene rifiutato politicamente dalla Germania democratica, ma l'impianto economico sopravvive con la cogestione.

  • La curva del capitalismo non ha ramo discendente

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un approfondimento del testo "Teoria e azione nella dottrina marxista" (1951), ed in particolare del seguente passo:

    "Alla situazione di dissesto dell'ideologia, dell'organizzazione e dell'azione rivoluzionaria è falso rimedio fare assegnamento sull'inevitabile progressiva discesa del capitalismo che sarebbe già iniziata e in fondo alla quale attende la rivoluzione proletaria. La curva del capitalismo non ha ramo discendente."

    L'andamento del capitalismo non è di tipo gradualistico, ma catastrofico e questo dipende dagli stessi meccanismi di accumulazione. Anche se cala il saggio medio di profitto, cresce la massa del profitto, altrimenti non ci sarebbe capitalismo e cioè valore che si valorizza (D-M-D'). La Tavola II ("Interpretazione schematica dell'avvicendamento dei regimi di classe nel marxismo rivoluzionario") di "Teoria e azione" ci suggerisce che non c'è una lenta discesa dell'attuale modo di produzione (fatalismo, gradualismo), ma un accumulo di contraddizioni che ad un certo punto trova una soluzione di tipo discontinuo (cuspide, singolarità).

  • Dall'impero americano, al caos, alla rivoluzione

    La teleriunione di martedì sera ha preso le mosse dall'intervento di Lucio Caracciolo al festival di Limes a Genova 2024 ("Dall'impero americano al caos").

    Le determinazioni materiali spingono gli analisti di politica ed economia internazionale ad affermazioni forti. Caracciolo sostiene che le guerre in corso riguardano la transizione egemonica, ma che nei fatti non c'è nessun nuovo candidato alla guida di un mondo post-USA, e prevede una fase più o meno lunga di caos. Va ricordato che, almeno dagli anni Settanta, si è scoperto che non esiste il caos fine a sé stesso. Gli studi sui sistemi dinamici e la complessità ci indicano l'esistenza di un caos deterministico, nel quale vi sono attrattori strani che rappresentano un nuovo tipo di ordine. Il caos non è dunque il punto di arrivo, ma rappresenta la transizione ad una nuova forma sociale. I teorici dell'autorganizzazione, ad esempio Stuart Kauffman, descrivono il margine del caos come quella "terra di confine" che rende possibili nuove configurazioni.

    Nella rivista monografica "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo descritto la guerra, apertasi dopo il crollo del blocco sovietico, il miglior nemico degli USA. Quel mondo bipolare aveva trovato un equilibrio fondato sulla deterrenza nucleare ("Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio"), che oggi è venuto meno anche dal punto di vista demografico: gli americani sono circa 300 milioni mentre il resto del mondo conta oltre 7 miliardi e mezzo di abitanti. E poi, di questi 300 milioni, la maggioranza non fa parte del sistema dell'1%: lo testimoniano l'ultima ondata di scioperi e il fatto che l'esercito abbia problemi con l'arruolamento. Si sono affacciate sul mondo nuove grandi potenze, in primis la Cina, che già solo per il fatto di esistere e crescere, economicamente e militarmente, mettono in discussione il primato degli Stati Uniti.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email