I processi di centralizzazione del capitale stanno portando alla formazione di giganti della distribuzione. Walmart, la multinazionale proprietaria della omonima catena di supermercati, con i suoi 425.000 dipendenti è il più grande datore di lavoro privato degli Stati Uniti. Amazon, il colosso del commercio on line, dispone di oltre 250.000 lavoratori nel mondo, e senza contare gli indiretti. Sui mercati, nel comparto tecnologico, brillano le azioni delle FAANG, acronimo che sta per Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google, tutte in posizione di monopolio nei settori di riferimento. La loro capitalizzazione di mercato è più elevata delle economie di alcuni stati. Insieme, queste 5 aziende superano il Pil della Germania, e la sola Apple sorpassa l'economia del Messico. La centralizzazione industriale e finanziaria, che in gran parte sostituisce la vecchia concentrazione, ingloba la grande e piccola industria in una rete d'interessi in cui scompare il singolo capitalista e domina incontrastato, al di là dei nomi dei vari personaggi registrati dalla cronaca, il Capitale anonimo ("Massimo di centralizzazione", rivista n. 0).
Difendere l'invarianza del programma rivoluzionario non vuol dire fare una caricatura del marxismo, così come fanno quelli che lanciano appelli alla lotta a una non meglio precisata classe operaia, con tanto di punti esclamativi, come se fossimo in pieno Biennio Rosso. La lotta di classe si presenta con forme del tutto nuove, anche perché nel frattempo gli inoccupabili stanno aumentando, le merci si stanno smaterializzando e il capitalismo si sta virtualizzando.
Un miliardo e mezzo di salariati con il suo lavoro mantiene tutta la popolazione mondiale, mentre l'automazione/socializzazione della produzione continua a fare passi da gigante. Nota il filosofo Maurizio Ferraris sulle pagine di Repubblica ("La fabbrica del valore", 12.6.21):
"Non più circoscritto in tempi e luoghi determinati (ecco il significato non necessariamente smart dello smart working), il lavoro subisce una disseminazione: è ovunque e in nessun luogo. Non c'è momento della nostra vita in cui non ci può venir chiesta una prestazione lavorativa ma, al tempo stesso, non c'è prestazione lavorativa, o quasi, che non sia conciliabile con la nostra vita sociale. Ma la disseminazione non è che la punta emersa dell'iceberg, che consiste in una automazione crescente. Le piattaforme si arricchiscono in superficie perché offrono servizi, ma in profondità perché accrescono l'intelligenza artificiale, che non è una mente diabolica, bensì la registrazione delle forme di vita umana, delle nostre astuzie, delle nostre stupidaggini, delle nostre pulsioni e ambizioni, delle nostre curiosità. [...] Il progresso dell'automazione ci insegna che, in tempi non si sa quanto lunghi, ma certi, l'umano potrà essere sostituito dagli automi in ogni attività produttiva, lasciandosi dietro le spalle il mito dell'homo faber."
Ma che tipo di capitalismo è quello che nega a livelli sempre più alti la legge del valore-lavoro? E se il capitalismo non è più sé stesso, allora cos'è diventato? Domande che ci siamo posti alcuni decenni fa, e su cui abbiamo lavorato (vedi quaderno La crisi del capitalismo senile, 1984) e continuiamo a lavorare per dare risposte sempre più precise.