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  • Resoconto teleriunione  22 novembre 2022

Cripto-bolle

La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è cominciata dall'analisi di quanto sta succedendo in Cina, alle prese con una recrudescenza della pandemia da Covid-19.

L'impennata dei contagi ha raggiunto quota 28mila casi in un solo giorno e, dopo 6 mesi, sono stati registrati nuovi decessi per Coronavirus. Ulteriori chiusure di intere città, come nel caso di Canton, hanno suscitato vere e proprie rivolte, la popolazione è esasperata per l'impossibilità di muoversi. Ciononostante, a differenza dell'Occidente, la politica della "tolleranza zero" non viene messa in discussione dal governo di Pechino.

Per la prima volta negli ultimi decenni, la Cina si trova di fronte al boom della disoccupazione giovanile, giunta al 20%. L'Economist del 17 novembre ("Chinese students abroad take on their government") riporta un fenomeno curioso: recentemente in 350 campus di 30 paesi sono stati affissi manifesti contro il presidente cinese Xi, sembra che migliaia di cinesi che studiano all'estero si stiano organizzando tramite i social network. Anche a Pechino, nel cuore dell'impero, sono apparsi striscioni di dissenso anti-presidenziali, e il settimanale inglese fa notare che era dai tempi della rivolta di piazza Tienanmen che un leader non veniva attaccato in maniera così evidente. Qualche settimana fa avevamo discusso del discorso tenuto da Xi Jinping al XX congresso nazionale del PCC, tutto volto alla necessità di rinsaldare il patto sociale che tiene unito un paese di 1,3 miliardi di abitanti. Tale "patto" si basa sulla promessa di una crescita economica condivisa, ma questa ora si fa più difficile dato che l'economia ha subito una forte battuta d'arresto: secondo la Banca Mondiale, per la prima volta dal 1990, la crescita del PIL del paese nel 2022 sarà inferiore a quello dell'area Asia-Pacifico.

Al pari degli Americani che vedono scricchiolare il "fronte interno", anche i Cinesi devono fare i conti con una situazione piuttosto instabile: milioni di giovani non hanno più voglia di farsi sfruttare per pochi spiccioli e danno segni di irrequietezza. Qualche mese fa avevamo segnalato il fenomeno "Tang Ping", l'equivalente cinese dell'americano "AntiWork". Il mito del socialismo in salsa cinese comincia a incrinarsi e di conseguenza anche l'ideologia del partito ne risente.

Il rallentamento dell'economia del gigante asiatico non potrà che produrre sconquassi a livello sociale. Il Dragone ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche, passando in breve tempo da paese contadino a fabbrica del mondo, per poi approdare alla finanziarizzazione dell'economia. Non è difficile immaginare le conseguenze mondiali di una rivolta interna alla Cina. Diamo qualche numero: Shanghai è una metropoli con 26 milioni di abitanti la cui area urbana ne conta 41, Chongqing ha circa 8 milioni e mezzo di abitanti ma entro i suoi confini municipali si arriva a contarne 31. Tali concentrazioni urbane sono bombe a orologeria.

I problemi globali del capitalismo iniziano a sincronizzarsi: Pechino è alle prese con la polarizzazione della ricchezza, le bolle immobiliari, e la crisi demografica; Washington ha a che fare con una perdita di potenza che, semplicemente, non può accettare. Oggigiorno, quando si parla di capitalismo, lo si può fare solo a livello globale perché qualsiasi paese è inserito in una rete planetaria che ha la sua forma più moderna nella finanza automatizzata e autonomizzata (gli operatori in carne ed ossa sono ormai superati dal trading ad alta frequenza). In "Proprietà e Capitale" la nostra corrente descrive un capitale senza capitalisti e capitalisti senza capitale, cioè una socializzazione interna alla stessa dinamica capitalistica. Nella fase imperialista la produzione capitalistica è "sociale" ma anche la "proprietà" lo è, in quanto è diventata anonima e impersonale.

Le epoche di sconvolgimento sociale sono anticipate da molteplici segnali. Tra questi rientra l'attuale crisi delle criptovalute, al centro di una bolla ampiamente preannunciata. Lo scorso 11 novembre una delle più importanti piattaforme per lo scambio di monete digitali, la statunitense FTX, ha dichiarato bancarotta gettando nello scompiglio l'intero mondo della cripto-finanza. Fino a poco tempo fa l'azienda aveva un valore di 25 miliardi di dollari e investitori del calibro di BlackRock e Sequoia; il suo collasso ha coinvolto anche le altre piattaforme di exchange e i relativi token. Il Bitcoin è sceso ulteriormente assestandosi al di sotto dei 16.000 euro.

Ora, siccome il Capitale non riesce più a valorizzarsi nella sfera della produzione, cerca una valvola di sfogo nella finanza mettendo in atto ardite operazioni speculative. Le criptovalute, nate come moneta senza intermediari quali banche o istituti di credito, ad un certo punto hanno iniziato a vivere di vita propria, dando origine alle proprie cripto-banche, dove è possibile lo scambio di monete virtuali con monete tradizionali o con altre valute digitali. Ma al di là dell'aspetto sovrastrutturale, legato al valore, è interessante studiare il meccanismo che sta alla base, ovvero la blockchain: una tecnologia che permette un registro delle transazioni unico, pubblico, decentralizzato e disintermediato. Si tratta di una catena di blocchi vincolati fra loro matematicamente, basata su un sistema di tipo proof of work e una rete peer-to-peer, i cui nodi, o per lo meno la maggioranza di essi, collaborano per garantirne l'esistenza.

Dopo il crollo di FTX, qualcuno inizia a parlare dello scoppio della bolla delle "crypto", altri, più prudenti, pensano ad un normale assestamento del mercato. Le bolle, comunque, non nascono dal nulla, sono il risultato di un determinato sviluppo del capitalismo, e quando scoppiano hanno conseguenze sulla cosiddetta economia reale, così come ha dimostrato la crisi dei mutui subprime. Amazon sta tagliando 10mila posti di lavoro, e stanno riducendo il numero dei dipendenti anche Microsot, Meta, Google e Twitter (che taglierà il 75% della sua forza lavoro). Per alcuni analisti i licenziamenti nei colossi dell'hi-tech rappresentano un ritorno alla normalità dopo l'impennata del commercio on line dovuto ai lockdown. La crescita delle Big Tech è stata sovrastimata dai mercati, e adesso in molti si domandano se siamo di fronte ad una bolla analoga a quella delle dot-com del 2000.

Da un lato il capitalismo tende alla crescita infinita, dall'altra deve frenare la sua esuberanza per evitare decorsi catastrofici. Sono due esigenze contrastanti, e perciò quello che al massimo si riesce fare è rattoppare alla bell'e meglio.

Un'altra bolla pronta ad esplodere è quella della green economy, settore in cui si sta concentrando un volume enorme di investimenti. In seguito alla crescita del costo dell'energia causato dalla guerra in Ucraina, si è verificata una sovrapproduzione di progetti di impianti per energia da fonti rinnovabili (pannelli solari, eolico, ecc.). Non essendoci però alcuna pianificazione da parte degli enti statali, si naviga a vista inseguendo il massimo profitto, nel breve termine. Le aziende di fonti rinnovabili acquistano o prendono in affitto terreni per convertirli in impianti fotovoltaici, ma la costruzione delle infrastrutture richiederà anni. Nel frattempo, rendita e finanza festeggiano: ancor prima che gli impianti vengano realizzati si creano asset che vengono scambiati sul mercato finanziario, e così si guadagna non tanto con l'energia prodotta quanto con i derivati finanziari sulla produzione futura.

Come scritto in "Mai la merce sfamerà l'uomo" (1953):

"I fenomeni recenti hanno confermato la dottrina e tutte le sue previsioni. La loro presentazione teorica e matematica, anche nei settori industriali, si compie senza alcuna difficoltà mediante i rigorosi teoremi sulla rendita. Essi furono fin dalla enunciazione applicati non alla sola agricoltura, ma a tutte le forze naturali. Valgono quindi anche per l'economia della macchina a carbone, a benzina, a energia elettrica o nucleare, tutte alla base di sovrapprofitti, monopoli e parassitismi redditieri che aggravano gli scompensi della forma sociale capitalistica".

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