Come abbiamo scritto nell'articolo "Mali, una piccolissima guerra?" (2013), tutta la parte meridionale del Sahara, la fascia geografica che attraversa l'Africa da Est a Ovest e che collega l'Africa nera all'Africa bianca da Sud a Nord, è un'autentica polveriera sociale, pronta ad esplodere. Il capitalismo perde energia ovunque e le aree geopolitiche più fragili sono le prime a disgregarsi:
"La relazione tra il collasso dello stato nazionale, le forme in cui si manifesta lo scontro militare tra potenze imperialiste e l'ingigantirsi dell'influenza di sovrastrutture ideologiche o religiose che rappresentano un rifiuto della situazione in cui si è costretti a vivere, è la materiale e concreta manifestazione di un modo di produzione ultramaturo, decadente, incapace di procedere se non a tentoni nel buio totale."
Anche un paese povero e semidesertico come il Niger è un nodo della catena di rapporti intercontinentali e, così come il battito delle ali della farfalla, può determinare conseguenze su scala più grande. In quella parte del mondo lo Stato esiste solo sulla carta, sostituito da milizie, signori della guerra, jihadisti, contractor ed eserciti pronti a vendersi al miglior offerente. Il putsch avvenuto in Niger è sicuramente un prodotto di scontri interni ma è chiaro che non mancano le influenze esterne; ad esempio, quelle delle milizie russe della Wagner, il cui leader Yevgeny Prigozhin ha offerto i suoi servizi al generale Tchiani. All'indagine giornalistica investigativa su chi ci sia dietro il golpe preferiamo un'analisi sistemica della situazione mondiale: nessun attore statale è dotato di libero arbitrio e può fare ciò che vuole, neppure gli USA. Nell'epoca del capitalismo di stato è il primo a controllare il secondo e a farlo ballare alla propria musica. Le guerre scaturiscono dalla maturazione dei rapporti di produzione, sono fattore e prodotto di nuovi rapporti interimperialistici, di nuovi assetti del capitalismo mondiale, del quale possono anche accelerare la dissoluzione.
La Francia ha una lunga storia coloniale in Africa, ha inventato la legione straniera ed è forse il paese storicamente più attrezzato per quanto riguarda la guerra condotta in posti lontani. Ma questo non basta più. Lo schema è chiaro: miseria, instabilità e disordine sociale producono situazioni fuori controllo, per cui il vuoto politico e istituzionale viene riempito da chi in quel momento è in grado di farlo (non necessariamente attori statali). In queste aree del pianeta il Capitale è libero di muoversi senza alcun controllo. Il deserto tra Mali, Chad e Niger è un via vai di aerei civili dediti al trasporto di vari materiali, droga, armi, ecc.
A proposito di nuovi assetti interimperialistici, è da segnalare il vertice Russia-Africa tenutosi a San Pietroburgo. La Russia intende inviare grano gratuitamente a Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Eritrea e Repubblica Centrafricana nei prossimi mesi, tra le 25 e le 50 mila tonnellate ciascuno. Gli equilibri nel Continente stanno cambiando, emerge anche dai toni delle dichiarazioni ufficiali. Ad esempio il presidente del Kenya, paese da sempre sottomesso all'Occidente, ha invitato le nazioni africane ad abbandonare l'uso del dollaro USA per il commercio nel continente. In Africa, quelle che possiamo considerare classi dirigenti, che poi sono rappresentate dai vertici militari, stipulano sempre più frequentemente accordi commerciali con la Russia (vedi cartine di Limes) e con la Cina, che lì costruisce strade, aeroporti, infrastrutture. Nessun paese ha la forza di sostituire gli USA alla guida del capitalismo, i quali però stanno dando segni di debolezza nel gestire l'ordine mondiale, consentendo ad altri attori imperialisti (Cina, Russia, Turchia) di ritagliarsi spazi di manovra, nel tentativo di intercettare nuovi flussi di valore.
La reazione ufficiale dei paesi vicini al golpe è stata inizialmente di forte scettiscimo. Algeria e Nigeria hanno però negato qualsiasi appoggio ad azioni militari dirette contro la giunta salita al potere. La Russia, secondo le dichiarazioni del ministro dell'Estero, sembra mantenere una posizione neutrale rispetto al colpo di stato, anche se è certa la presenza dei miliziani della Wagner in Niger, i quali però potrebbero autonomizzarsi (come abbiamo visto di recente con la marcia verso Mosca). Un articolo del Fatto Quotidiano ("Il colpo di Stato in Niger ultimo tassello della 'cintura russa' in Africa centrale. I golpisti? Addestrati dagli Stati Uniti") descrive proprio questo processo: "Le principali questioni che alimentano il conflitto in Niger e nel Sahel in generale non sono di natura militare. Derivano dalla frustrazione della gente per la povertà, l'eredità del colonialismo, la corruzione dell'élite, le tensioni e le ingiustizie politiche ed etniche. Tuttavia, piuttosto che affrontare questi problemi, il governo degli Stati Uniti ha dato la priorità all'invio di armi e finanziamenti e all’addestramento delle forze armate della regione a condurre le proprie guerre contro il terrore", spiega Stephanie Savell, esperta di operazioni militari statunitensi in Africa occidentale, per cui "una delle conseguenze estremamente negative è stata quella di potenziare le forze di sicurezza della regione a scapito di altre istituzioni governative e questo è sicuramente un fattore nella serie dei colpi di Stato che abbiamo visto in Niger, Burkina Faso e altrove negli ultimi anni."
Gli Americani, così come i Russi, i Francesi e pure gli Italiani, foraggiano ed addestrano eserciti e milizie che ad un certo punto non sono più controllabili. Al Qaeda è forse l'esempio più significativo, ma lo è stato anche l'addestramento dei mujaheddin in Afghanistan.
In Ucraina il conflitto prosegue estendendosi sul territorio russo. Dopo il bombardamento del ponte di Crimea ad opera degli Ucraini, gli Americani hanno fatto sapere di essere contrari a questo tipo di azioni. Negli ultimi giorni, dopo gli attentati sul suolo russo condotti con i droni, gli USA si sono pronunciati attraverso il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby, che ha affermato: "Voglio solo dire molto chiaramente che noi non incoraggiamo, né facilitano, gli attacchi all'interno della Russia. Abbiamo avuto colloqui con gli ucraini riguardo alle nostre preoccupazioni sugli attacchi all'interno della Russia... La nostra posizione è che vogliamo focalizzarci sulla guerra all'interno dell'Ucraina, vogliamo assicuraci che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per avere successo in questa controffensiva".
Come tanti analisti militari fanno notare, la controffensiva ucraina è fallita; ormai lo ammette anche la filoatlantica Repubblica ("I timori per lo stallo dell'offensiva ucraina", Gianluca Di Feo). Rispetto agli Stati Uniti, l'Inghilterra ha nei confronti della Russia una politica più radicale, e Polonia e paesi baltici sono ancora più netti nel ricercare una sconfitta russa, la caduta di Putin e la completa disgregazione della Federazione. Al momento, America e Russia cercano di evitare un confronto diretto, che innescherebbe una spirale difficile da controllare: come diceva Machiavelli, le guerre cominciano dove si decide, ma non finiscono dove si vorrebbe.
Quando abbiamo scritto l'articolo "Marasma sociale e guerra" (2009), milioni di persone nel mondo erano scese in piazza per chiedere le dimissioni del proprio governo e un cambiamento radicale, un'onda sismica denominata Primavera araba. Da allora i paesi interessati da profondi sconvolgimenti sono stati decine, e non conta se le manifestazioni siano state o meno pilotate dall'esterno: esistevano ed esistono determinazioni materiali abbondanti (crisi, miseria, guerre) per mettere in agitazione le molecole sociali. In Senegal, ad esempio, nel mese di luglio a causa del carovita ci sono state manifestazioni di massa, a cui la polizia ha risposto con colpi d'arma da fuoco, provocando morti e feriti. Anche lì, il tutto potrebbe trasformarsi in una profonda crisi degli apparati statali.