Nell'articolo "Un modello dinamico di crisi", del 2008, abbiamo pubblicato un diagramma degli incrementi della produzione industriale (l'andamento della produzione industriale rispecchia fedelmente quello del saggio di profitto) dei maggiori paesi dal 1914 al 2008. Ebbene, in quel grafico l'unica economia non ancora sincronizzata era quella cinese. Oggi anche Pechino manifesta lo storico andamento asintotico e ciò rappresenta un problema non solo per la sua economia ma per l'intero mondo capitalistico. Per l'Economist tutto si potrebbe risolvere con un intervento dello Stato volto alla liberalizzazione dell'economia, all'apertura alla democrazia e alla libertà individuale ("Why China's economy won't be fixed"), come se una diversa forma di governo potesse far tornare indietro la ruota della storia.
La crisi cinese avrà, ovviamente, ripercussioni nel resto del mondo, dato che le esportazioni e le importazioni del paese hanno peso globale. Caoslandia, come Limes definisce l'area del mondo fuori controllo, ha iniziato ad espandersi dai paesi periferici arrivando ora a toccare anche i paesi maggiori, come Cina e USA. È il mondo intero che sta entrando in una spirale di caos.
Nel 2008 le famiglie americane si indebitarono investendo nell'immobiliare, settore in continua crescita. Il meccanismo funzionava così bene che per anni le banche distribuirono in massa, anche reciprocamente, derivati su crediti a rischio, sempre più pericolosi (vedi mutui subprime). Il crack che ne seguì fu causato non tanto dall'avidità di banche e speculatori, quanto dall'esistenza della crisi di produzione di plusvalore, che provoca la disperata ricerca di espedienti per la valorizzazione dei capitali. Negli ultimi anni in Cina sono state costruite ex novo città su cui venivano investite enormi quantità di capitali, ma Pechino non ha la struttura finanziaria di Washington, né il dollaro, né tantomeno la capacità di rastrellare plusvalore altrui.
Durante la crisi del 2008 la Cina intervenne con una manovra da 560 miliardi di dollari per immettere liquidità nella propria economia, solo che tale massa di moneta iniettata nel sistema determinò un ulteriore crescita del debito (oltre il 300% del PIL) e una speculazione sul mattone. Il comparto immobiliare, storicamente utile per rastrellare rendita, ultimamente si è gonfiato a dismisura proprio per gli ingenti investimenti, anche da parte di cittadini attratti da un settore in continua crescita. Nel nostro articolo "Le case che salvarono il mondo" abbiamo visto che la rendita, da elemento trainante l'economia, si sta trasformando in un peso insopportabile per il capitalismo. In Cina le case hanno contribuito a salvare l'economia per oltre un decennio ma, come ci insegna Marx, la crisi si può solo rimandare, non scongiurare.
Negli ultimi anni gli investimenti stranieri in Cina sono calati del 40%, una delle motivazioni è l'aumento del costo del lavoro seguito al processo di delocalizzazione verso Vietnam e altri paesi asiatici. In aggiunta, ora si sta aprendo il mercato dell'India, la cui popolazione ha superato quella cinese e Nuova Delhi sgomita per avere un suo spazio. E' di questi giorni la notizia che l'India è sbarcata sulla Luna, il quarto paese dopo USA, Russia e Cina.
Al recente vertice dei BRICS in Sudafrica, Pechino ha proposto di trasformare il gruppo in una piattaforma del cosiddetto Global South, un'alternativa al G7 e alle altre componenti della governance internazionale (ONU, IMF, ecc.), ritenute troppo sensibili agli interessi occidentali. Il presidente brasiliano Lula ha proposto una moneta comune alternativa al dollaro, sostenendo che l'ingresso di Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran renderà il consorzio "più potente, più forte e più importante", e ricordando che il blocco rappresenta circa il 32% del PIL mondiale contro il 29% del G7. Sono cifre di non poco conto, ma i BRICS sono anche un insieme poco coeso, al cui interno pesa molto la competizione tra Cina e India (The Economist, How Joe Biden is transforming America's Asian alliances").
Gli equilibri interimperialisti mutano e producono effetti anche in Africa. Il colpo di stato dei militari in Niger potrebbe causare profondi sconvolgimenti nell'area. Le ultime notizie riguardano l'espulsione dell'ambasciatore francese (la Francia non riconosce i golpisti e rifiuta di andarsene), e il possibile intervento militare dell'ECOWAS (Comunità economica dell'Africa Occidentale), che ha paventato l'invio di truppe con il sostegno occidentale. Altri paesi, come Mali e Burkina Faso, hanno invece manifestato il loro appoggio ai golpisti dichiarando che, se ci sarà un intervento in Niger, anch'essi scenderanno in campo a favore della giunta al potere. La guerra si sta globalizzando e il continente africano potrebbe precipitarvi, più di quanto non lo sia già adesso.
Per quanto riguarda la guerra alle porte d'Europa, il conflitto ucraino registra l'incapacità delle forze della NATO di ottenere risultati. Scrive il generale Fabio Mini su Il Fatto Quotidiano (20 agosto 2023):
"In realtà, tecnicamente, non si tratta di stallo ma di prevalenza della difesa sull'attacco. Mentre l'Ucraina deve ricorrere alla ricostituzione del battaglione Azov per infondere un po' di motivazione e retorica nazionalistica nelle truppe 'regolari' e in quelle 'irregolari' che le sostengono dall'interno e dall'esterno, i russi sembrano paghi della loro resistenza e non mostrano alcuna fretta di passare ad una contro-controffensiva."
La famosa controffensiva ucraina di primavera non ha avuto esiti positivi. Dopo oltre un anno e mezzo di conflitto gli arsenali occidentali sono quasi vuoti, le munizioni esaurite, ed è difficile pensare che ci possa essere una seconda controffensiva quando sono mancate le forze per la prima, e considerando che i Russi si sono trincerati dietro linee difensive ben fortificate. Chi è in difesa ha una forza maggiore rispetto a chi è in posizione di attacco. Gli Ucraini non potranno andare avanti ancora a lungo ad attaccare linee che non riescono a sfondare.
Dietro questa guerra di trincea sta maturando una guerra completamente diversa, per adesso non completamente manifesta. Secondo Limes, la vera partita non si gioca in Ucraina ma nell'Indopacifico. Può essere, l'importante è aver chiaro che tutto è collegato e che il fronte russo-ucraino è un segmento di un fronte globale. La guerra scoppia perché cambiano equilibri a livello mondiale e, a sua volta, accelera questi cambiamenti. Siccome dal collasso dell'ordine mondiale a stelle e strisce non emergerà una nuova guida imperialistica, si aprirà un periodo di disordine mondiale. Gli USA cercano in tutti i modi di conservare un assetto del mondo che li vede protagonisti, ma tale assetto è cambiato e ciò mette in discussione la stessa possibilità di continuare a drenare verso Washington il plusvalore prodotto altrove. Il tema è stato affrontato nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana".
In chiusura di teleconferenza si è accennato alla situazione del Coronavirus in Italia, che, da ottobre scorso, ha causato 8 mila contagi e 40 morti al giorno. La nuova variante Covid BA.2.86, soprannominata "Pirola", presenta un numero significativo di mutazioni che potrebbero aiutare il virus a sfuggire alle difese dei vaccini.