È chiaro che gli Americani hanno tutto l'interesse a recidere i legami economici e politici tra Berlino e Mosca, e così compattare l'Ue sotto il proprio ombrello. Allo stesso tempo, come nota Lucio Caracciolo in un approfondimento sul canale YouTube di Limes ("L'America vuole salvare la Russia. Il paradosso ucraino"), non sono favorevoli ad una implosione della Federazione Russa, per varie ragioni, in primis perché essa possiede migliaia di ordigni nucleari. Le contraddizioni con cui hanno a che fare gli Stati Uniti sono molte, a cominciare dal ruolo svolto dalla Turchia in seno alla Nato, che è più quello di sabotatore che di alleato. L'Italia, a sua volta, cerca di barcamenarsi in una situazione geopolitica complessa, che sta mettendo in discussione i suoi interessi nel Mediterraneo e sulle coste Nordafricane, dalla Libia spartita tra Turchi e Russi, all'Algeria che mantiene un rapporto privilegiato (anche di collaborazione militare) con la Russia.
C'è poi il grosso problema dei fronti interni: la situazione è traballante in Ucraina (vedi indagini per corruzione che stanno colpendo vari uomini del governo), e rivolte e manifestazioni sono in corso in varie parti del mondo, dal Brasile al Perù, dalla Francia a Israele, quali segni evidenti del disagio crescente delle popolazioni verso lo stato di cose presente.
La guerra in Ucraina ha conseguenze dirette in termini di vite umane, e indirette in termini di caro energia e quindi di caro vita. Eppure, paradossalmente, sembra protestino solo i generali in pensione, come Leonardo Tricarico e Marco Bertolini che si sono detti contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania, anticipando che il prossimo passo potrebbe essere il dispiegamento di unità militari europee. Dice Bertolini: "Ci stiamo rassegnando all'entrata in una guerra che con noi non c'entra niente, per questioni di carattere territoriale fra due Paesi europei estranei sia alla Nato che all'Unione europea. Poi però ci siamo voluti invischiare, abbiamo voluto puntare tutto sulla prosecuzione di questa guerra e temo che, se non ci sarà qualche illuminazione di chi dirige questa operazione spaventosa, ci troveremo con le mani legate."
Come scritto nel volantino "La Quarta Guerra Mondiale", "se passa, questo tipo di guerra andrà fino in fondo, non sarà più possibile fare marcia indietro. Sarebbe auspicabile un moto sociale che agisca in anticipo, ma non sembra all'orizzonte." Purtroppo dal 1° Maggio 2022, data in cui abbiamo diffuso il testo, la situazione non è cambiata e le popolazioni continuano ad accettare supinamente la propaganda bellica ed il coinvolgimento nei fronti di guerra. Se non viene bloccata, questa guerra potrebbe estendersi su scala globale, foraggiata da ben altri armamenti rispetto a quelli utilizzati fino a questo momento, a cominciare dai missili ipersonici per finire con l'uso dell'atomica. Le annunciate esercitazioni navali congiunte tra Russia, Cina e Sudafrica nell'oceano Indiano, davanti alla costa fra Durban e Richard's Bay, sono un messaggio lanciato a tutto il mondo. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev recentemente ha dichiarato: "Il mondo si avvicina al rischio della Terza Guerra Mondiale di fronte ai preparativi di aggressione contro la Russia."
Abbiamo poi parlato del pericolo bancarotta negli Stati Uniti. Non è la prima volta che capita: ogni governo che si è succeduto negli ultimi decenni alla guida del paese ha dovuto fare i conti con il problema della crescita del debito federale, ed ogni volta è uscito dalla crisi alzando il tetto massimo di indebitamento. La risoluzione del problema viene posticipata e, così facendo, il problema diventa sempre più grande: oggi il debito americano è pari al 130% del Pil.
La Cina, anche se non è interessata al declassamento del debito USA, sta cominciando a liberarsi dei titoli del debito sovrano americano: per la prima volta in 12 anni, le disponibilità cinesi di debito statunitense sono scese al di sotto del trilione di dollari. Uno stato può far crescere il suo debito fin che vuole, bisogna però che sia in grado di controllarlo attraverso la produzione di nuovo valore. Altrimenti, o aumenta le tasse o stampa denaro. Ogni volta che si trova di fronte ad una crisi finanziaria, il Capitale si butta sul mercato immobiliare, come abbiamo visto nell'articolo "Le case che salvarono il mondo". Ma per non perdere la fiducia dei creditori, il valore può essere garantito solo da una regola condivisa, sotto l'egida di un'autorità, cioè di una legge dello Stato. Il Rentenmark di Hilferding non era diverso dai marchi che sostituiva, il legame con gli immobili statali era un fatto puramente psicologico, ma funzionò.
Data l'integrazione mondiale dei mercati, dato il passaggio dalla concentrazione alla centralizzazione del Capitale, nessun grande paese ha interesse che il suo nemico collassi, perché lo trascinerebbe con sé nel baratro (vedi doppio vincolo economico USA-Cina). Ma, in un mercato unico, se c'è crescita di uno vuol dire che c'è decrescita dell'altro. Siamo alla famosa coperta stretta che, se tirata da un lato, lascia una parte scoperta dall'altro, e questo è fonte di guerra commerciale e guerra guerreggiata.
Se i Russi hanno attaccato l'Ucraina, è perché gli USA non hanno più il potere di una volta. Sono ancora i mediatori del capitalismo mondiale (il dollaro è l'unica valuta universale), ma svolgono questo compito con sempre maggiore difficoltà. Un giro di boa per gli Stati Uniti e per il mondo intero è stata la crisi del 2008, da cui abbiamo tratto l'articolo "Non è una crisi congiunturale". Un approfondimento successivo sul tema dell'autonomizzazione del Capitale lo troviamo nell'articolo "Dimenticare Babilonia" dove, tra le altre cose, abbiamo parlato della contabilità nel passaggio dal proto-stato allo stato: "Una promessa di pagamento (praticamente una cambiale) non era 'scontabile', e quindi non era monetizzabile, non poteva rientrare nel mercato e fungere da moneta. Alle lettere di credito, che millenni or sono servivano a muovere il corrispettivo in argento di una compravendita presso un intermediario lontano, nella società contemporanea si ricorre anche per generare denaro, scontandole presso una banca."
Il denaro è la forma fenomenica del valore, del tempo di lavoro, eppure quello che si scambia tra banche e stati è un'altra cosa, che non riusciamo ancora bene a definire. La banca presta i soldi a chi li chiede, ma quel debito viene conteggiato come entrata, per venire immesso nel magico mondo della finanza. La richiesta di soldi produce nuovi soldi, un vero non senso, ma è proprio quello che fa muovere il capitalismo finanziarizzato oggi. Tale modo di operare non è dovuto alla malvagità dei banchieri o dei broker, che si limitano a fare il loro mestiere, bensì a parametri economici che sono fuori controllo. Vi è infatti un rapporto del tutto squilibrato tra lavoro morto (robot, computer, ecc.) e lavoro vivo all'interno dei processi produttivi, e ciò sta portando alla dissoluzione della legge del valore-lavoro con tutte le sue conseguenze.
Durante la crisi dei mutui subprime, il messaggio veicolato dal governo americano è stato il seguente: salviamo le banche perché così salviamo l'economia (vedi film Too Big to Fail - Il crollo dei giganti). In realtà, le banche possono solo prestare soldi, non possono produrre nuovo valore; è vero che lasciarle fallire avrebbe portato al crollo del capitalismo mondiale, ma anche tenere in piedi un sistema così "distorto" è un grande rischio. Il capitalismo non può essere troppo moderno perché altrimenti fa diminuire il saggio di profitto, ma non può nemmeno stare fermo perché ha nel suo DNA l'impulso alla crescita. Una contraddizione che non ha soluzione all'interno di questo sistema, e che lo porterà inevitabilmente alla catastrofe.
Il capitale fittizio non può crescere all'infinito, prima o poi dev'essere azzerato. Anche nel Vangelo il debito viene criticato in quanto elemento di freno dell'economia; nel mondo borghese è nato da anni un movimento che punta alla cancellazione del debito che i paesi cosiddetti in via di sviluppo hanno verso quelli a vecchio capitalismo. Il debito mondiale detenuto da famiglie, imprese, banche e governi ammonta a trecentomila miliardi di dollari; a livello globale vale il 350% del Pil ("Debito globale: una bomba a tempo", ISPI, 28.10.22). Chi mai potrà pagarlo?