La dichiarazione degli USA contro l'occupazione a tempo indeterminato della Striscia ha come obiettivo evitare l'escalation. L'Iran, per bocca di Hassan Nasrallah, segretario di Hezbollah, ha dichiarato di sostenere la resistenza palestinese, ma non ha espresso l'intenzione di intervenire direttamente nel conflitto. Il lancio di razzi dal Libano verso Israele continua e sono decine i miliziani di Hezbollah uccisi dai bombardamenti israeliani; per ora la "linea rossa" non è stata superata.
L'IDF sta radendo al suolo la Striscia, ma le guerre non possono essere vinte esclusivamente con l'aviazione. Il progetto americano di consegnare la Striscia all'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è poco fattibile; l'ANP non controlla nemmeno la Cisgiordania, è corrotta, e non è ben vista dalla maggior parte dei Palestinesi. Tutte le forze oggi in campo sono legate ad interessi borghesi: da una parte l'ANP è finanziata e sostenuta da Israele, dall'altra Hamas prende soldi dal Qatar e dall'Iran, ed in passato è stata sostenuta da Tel Aviv e Washington in funzione anti-OLP. Il proletariato di Israele e Palestina è spinto a scannarsi per interessi capitalistici, e lo stesso vale per quello di Ucraina e Russia.
Dal 2005, anno in cui Israele ha lasciato la Striscia, Hamas ne ha preso il controllo, preparandosi ad un conflitto prolungato, rifornendosi di armi (tra i quali lanciarazzi portatili), imparando tattiche di guerriglia urbana. Con l'attacco del 7 ottobre ha esercitato una potente compellence (che vuol dire obbligare l'avversario a compiere azioni che lo danneggiano) su Israele, attirando il suo esercito in un dedalo di macerie e tunnel. La guerra non la si può controllare a lungo, essa tende ad autonomizzarsi. La portaerei Eisenhower si è fatta vedere vicino alle coste israeliane ed un sommergibile nucleare americano è stato avvistato nel Mar Rosso. Il Medioriente è una tale groviglio di forze che anche un piccolo incidente potrebbe innescare un effetto domino.
Al momento non si vedono segnali di disfattismo all'interno di Gaza, è più probabile che si incrini prima il fronte interno di Israele, da mesi alle prese con manifestazioni antigovernative. "Israele contro Israele" titolava il numero 3/23 di Limes, descrivendo un paese in crisi politica, demografica, economica, ecc. Lo Stato d'Israele rischia tutto in questo conflitto, addirittura la sua stessa esistenza: esso è sempre riuscito a risolvere in breve tempo le guerre che l'hanno coinvolto, mentre quella in corso sembra prospettarsi di lunga durata.
Tel Aviv ha mobilitato oltre 300 mila riservisti. La chiamata al fronte ha svuotato fabbriche e uffici e ciò ha messo in difficoltà l'economia del paese, complice anche il congelamento del settore turistico. Quasi il 10% della forza lavoro israeliana è mobilitata, e una percentuale molto alta dei riservisti lavora nel settore hi-tech che contribuisce al 18% del PIL. Anche la "tenuta sociale" potrebbe risentirne: le manifestazioni contro il governo Netanyahu riguardano ufficialmente la riforma della giustizia, in realtà il malessere è molto più profondo e ha radici economiche. Israele è uno dei paesi dove le disuguaglianze sono tra le più marcate al mondo.
Secondo l'Economist, i sistemi tecnologici israeliani istallati sui carrarmati consentono di rilevare e distruggere i missili anticarro prima dell'impatto, apposite telecamere consentono all'equipaggio all'interno di perlustrare l'ambiente circostante e dirigere il fuoco in caso di imboscate, filmati in tempo reale dai droni danno una visione dall'alto del campo di battaglia. Grazie all'esperienza maturata nelle precedenti guerre, l'IDF ha ammodernato i mezzi corazzati ma i soldati, prima o poi, saranno costretti ad uscire allo scoperto per minare i tunnel o bonificare il territorio. Entrambe le parti sono giunte a questo conflitto dopo molti anni di addestramento e preparativi. Hamas ha studiato la guerra in Ucraina, e utilizza piccoli droni commerciali per lanciare granate anticarro sulle torrette dei carrarmati.
Ormai il drone è diventato una delle armi principali delle guerre contemporanee. Sia a Gaza che in Ucraina l'utilizzo di aeromobili a pilotaggio remoto è stata la grande novità: costano poco, non hanno bisogno di un pilota all'interno, possono colpire il nemico ma anche capire dove è posizionato. Unico neo: i segnali elettronici emessi dai velivoli possono essere intercettati, e artiglieria ad alta precisione, bombe plananti e gruppi di sabotatori possono colpire chi li manovra. Nel novembre del 2020, nella guerra del Nagorno-Karabakh, l'esercito azerbaigiano impiegò massicciamente i droni; tutti gli eserciti ne presero nota, aggiornando tecniche e strategie di guerra. Questi dispositivi possono essere guidati anche con un visore, da 20 chilometri di distanza; il pilota è come un gamer alle prese con un videogioco. In un articolo di Wired ("Quando sono i videogiochi a insegnare come fare la guerra"), si descrive l'impiego di questi programmi in ambito bellico e nella pianificazione delle strategie. Il Pentagono lavora a stretto contatto con aziende che si occupano di videogiochi, dato che in alcuni casi ottengono risultai migliori di software sviluppati dalle forze armate.
C'è poi un problema enorme, quello delle armi autonome (i cosiddetti "killer robots" o LAWS): l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima risoluzione incentrata sulla "necessità urgente per la comunità internazionale di affrontare le sfide e le preoccupazioni sollevate dai sistemi di armi autonome". L'ONU però conta poco: se non si ferma al suo scatto, la guerra delle macchine, dei sistemi e dell'informazione prenderà il sopravvento, obbligando gli uomini a muoversi di conseguenza, come del resto già successo in fabbrica ("La Quarta Guerra Mondiale").
Il conflitto in Ucraina è entrato in una fase di stallo. Lo sostiene il generale ucraino Valery Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate di Kiev, in un'intervista a The Economist ("Ukraine's commander-in-chief on the breakthrough he needs to beat Russia"), in cui afferma che per sbloccare la situazione occorrerebbe un enorme salto tecnologico. Zaluzhny descrive un campo di battaglia in cui i moderni sensori, in dotazione sia all'Ucraina che alla Russia, possono identificare una qualsiasi concentrazione di forze, che le moderne armi di precisione possono distruggere. Ognuno vede ciò che fa l'altro. A suo avviso, l'unico modo per rompere questa simmetria è attraverso l'innovazione nel campo dei droni, della guerra elettronica, delle attrezzature per lo sminamento e nell'uso della robotica. L'Ucraina non può fare da sola tale passo in avanti, ha bisogno del sostegno finanziario e militare occidentale. La Russia, invece, ha una marcia in più, perché necessita solo indirettamente di aiuti esterni, ed ha il vantaggio di essere sulla difensiva.
L'America non può abbandonare a sé stessa l'Ucraina e non può nemmeno lasciare Israele al suo destino, deve sostenere entrambe. Altri attori, vedendola in difficoltà, alzano la voce e prendono iniziative fino a poco tempo fa inimmaginabili (ad esempio, la dichiarazione di guerra ad Israele degli Houthi dello Yemen). Poggiamo su un equilibrio precario, che potrebbe repentinamente tramutarsi in caos.