Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  21 novembre 2023

Il problema del fronte interno

Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra in Ucraina e in Medioriente.

L'Occidente è in grande difficoltà: non può sostenere a lungo gli Ucraini e deve fare i conti con la polveriera mediorientale. I giornalisti faticano ad ammettere che la Russia ha vinto la guerra e che l'Ucraina rischia il collasso. La blitzkrieg di Mosca (febbraio 2022) non era diretta alla conquista di Kiev ma era volta all'occupazione di una fascia di territori che gli Ucraini effettivamente ormai hanno perso. La controffensiva ucraina di primavera è andata male ed ora il governo Zelensky non sa più che fare, trovandosi alle prese con un'economia sorretta dagli aiuti occidentali, con una carenza di soldati e munizioni, e con uno scontro interno tra politici e militari. Nel frattempo le forze russe continuano a bombardare porti, infrastrutture, basi e centrali elettriche nemiche, e già si vocifera di trattative per cedere un 1/5 dell'Ucraina alla Russia, e accettare lo stato di neutralità del paese.

Gli USA vedono ridimensionato il loro potere di deterrenza. D'altronde, se la Russia si è permessa di attaccare l'Ucraina è perché ha valutato che, data la particolare congiuntura internazionale, avrebbe ottenuto dei risultati. Quanto successo in Medioriente sposta risorse ma, soprattutto, l'attenzione internazionale dal fronte ucraino. A Kiev e in altre città sono scesi in piazza i famigliari dei soldati (anche in Russia alcune donne hanno manifestato a pochi metri dal Cremlino per chiedere il ritorno dal fronte dei loro mariti). I colpi che gli USA sono costretti ad incassare incoraggiano altri stati, in altri contesti, a sfidare l'ordine occidentale; basti ricordare i colpi di stato antifrancesi in Africa. Israele, che dalla sua fondazione ha vinto tutte le guerre in breve tempo, è stato attaccato sul proprio territorio da forze armate non statali, e ora il suo esercito si è impantanato nella Striscia di Gaza.

Al summit online del G20 del 22 novembre scorso, organizzato dall'India alla conclusione del proprio mandato come presidente di turno, sarà presente per la prima volta dall'inizio del conflitto in Ucraina il presidente russo. Non è un caso che Putin sia stato invitato: l'India, nonostante le sanzioni, ha acquistato ingenti quantità di petrolio dalla Russia a prezzi stracciati per rivenderlo a prezzi maggiorati all'Europa. Il problema non riguarda solo i paesi dichiaratamente nemici degli USA, ma anche quei paesi non ostili come India, Arabia Saudita e Turchia, che cominciano ad autonomizzarsi. Secondo alcuni analisti geopolitici, questa situazione mondiale di disordine crescente aprirebbe le porte ad un sistema capitalistico multipolare. In tale visione è però assente la dinamica storica: il capitalismo non può reggere in eterno e la parabola del plusvalore lo sta a dimostrare (le macchine sovrastano il lavoro vivo mettendo in crisi il sistema che su di esso è basato).

La guerra è un prodotto della società e riflette lo sviluppo della forza produttiva sociale. La Turchia ha realizzato la prima portadroni al mondo. La Cina, che non può competere con gli USA per numero di portaerei, potrebbe decidere di dotarsi di più economiche portadroni.

Anche Israele ha più fronti aperti: la Striscia di Gaza, Hezbollah in Libano, la Cisgiordania, ma anche lo Yemen degli Houthi, che lanciano droni e missili (e che hanno sequestrato nel Mar Rosso un mercantile israeliano). L'Iran sta attaccando per mano di milizie sciite basi americane in Iraq e Siria. Da ricordare che esiste un collegamento tra quanto sta accadendo in Ucraina e il conflitto in Medioriente, dove la Russia è presente sia con milizie private (Wagner) che con basi militari (Siria); sono in corso, inoltre, trattative con il generale Khalifa Haftar per costruire una base navale in Libia, a Tobruk.

Un articolo di Analisi Difesa ("Quale futuro per Gaza?") riporta un piano presentato da Italia, Francia e Germania al capo della diplomazia europea, Josep Borrell, per trovare una soluzione definitiva alla questione palestinese. Il progetto, che potrebbe trovare d'accordo anche gli USA, prevede che Israele non occupi in pianta stabile la Striscia di Gaza, che il destino della Striscia rimanga legata a quello della Cisgiordania ("soluzione globale"), e che venga evitato lo spostamento della popolazione palestinese da Gaza. Per arrivare a questa soluzione bisognerebbe insediare un'Autorità Palestinese, sostenuta dai paesi occidentali e che veda il coinvolgimento degli Stati arabi. Il ritiro degli israeliani da una parte della Cisgiordania e la possibilità di costruire uno stato palestinese non sono altro che il vecchio piano del generale Moshe Dayan. Attualmente la maggior parte della popolazione della Striscia è stata ricollocata a sud e versa in situazioni igienico-sanitarie precarie. Che fine farà ancora non è chiaro, forse nemmeno a Israele. Comunque, è difficile immaginare che i gazei accettino un'Autorità Palestinese entrata nella Striscia grazie ai carrarmati israeliani.

All'interno di Israele c'è una situazione sociale tutto fuorché stabile. Continuano le manifestazioni dei famigliari degli ostaggi: da una parte si chiede la liberazione dei propri cari e dall'altra si critica il governo Netanyahu per la sua inettitudine. Se la guerra continuasse, i morti tra i soldati israeliani (e gli ostaggi) aumenterebbero, l'economia crollerebbe, e crescerebbe il malcontento interno.

In Argentina, al ballottaggio per le presidenziali è risultato vincitore l'anarcocapitalista Javier Milei: nel suo programma è prevista la dollarizzazione totale dell'economia, la privatizzazione di diversi settori, l'abolizione per decreto di dieci ministeri e della banca centrale. Il fronte internazionale che sostiene Milei va da Bolsonaro in Brasile a Trump negli USA, passando per Elon Musk che non ha mai nascosto le sue simpatie per il neopresidente argentino. Abbiamo scritto dell'Argentina in un articolo del 2002 ("Il fallimento argentino"), notando che il paese era andato in default più volte a causa della difficoltà della propria economia ad inserirsi nel contesto del capitale internazionale. Milei incanala un malessere diffuso verso la situazione esistente, e si ricollega alla serie di liberalizzazioni inaugurata diversi anni fa da Carlos Menem. L'Argentina è un paese enorme, moderno, con una popolazione di 45 milioni di abitanti che per la stragrande maggioranza vive in contesto urbano. L'idea di dollarizzare l'economia mentre questa è in profonda crisi non è una novità: Menem lo fece per scongiurare l'inflazione ma ottenne una crisi peggiore. Il paese ha un debito fuori controllo, un'inflazione alle stelle, e una moneta in caduta libera, ma resta comunque centrale per il Sud America.

La polarizzazione economica all'interno delle società capitalistiche produce anche una polarizzazione politica, che porta alla ribalta personaggi poco presentabili come Trump o Milei. The Economist sostiene che sarebbe un disastro una nuova vittoria del tycoon nelle presidenziali del 2024 dato che la democrazia americana è già in difficoltà ("Donald Trump poses the biggest danger to the world in 2024"). In passato abbiamo fatto alcune riunioni sulla corrente anarcocapitalista, che nella sua variegata gamma di espressioni vede esponenti come Tim O'Reilly e Peter Thiel. Questa "scuola" ha preso forza e si è rinnovata in seguito allo sviluppo dell'informatica e del web 2.0, favorendo tutte quelle tecnologie che sono dirompenti rispetto allo status quo (si pensi ai Bitcoin o al recente ChatGPT). I teorici del mondo libertariano vogliono uno Stato ridotto al minimo, l'abolizione del welfare e il passaggio a valute digitali nonché la formazione di governi 2.0. Ray Kurzweil, libertario transumanista, autore del saggio La singolarità è vicina, sostiene che lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale produrrà una singolarità nelle forme di governo ma anche nei modi di produzione e nei rapporti sociali, in altre parole un cambio di paradigma. Marx nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica (1859) afferma che a un dato punto le forze produttive materiali entrano in conflitto con i rapporti di produzione e allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.

Articoli correlati (da tag)

  • Sono mature le condizioni per una società nuova

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni sulle strutture intermedie tra il partito e la classe.

    Occupy Sandy non era né un sindacato né, tantomeno, un partito, ma una struttura di mutuo-aiuto nata sull'onda dell'emergenza e dell'incapacità della macchina statale di intervenire efficacemente per aiutare la popolazione. In "Partito rivoluzionario e azione economica" (1951) si afferma che, nella prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale, non possono non essere presenti tali fondamentali fattori: un ampio e numeroso proletariato, un vasto strato di organizzazioni intermedie e, ovviamente, la presenza del partito rivoluzionario. Gli organismi di tipo intermedio non devono per forza essere strutture già esistenti (ad esempio i sindacati), ma possono essere forme nuove (come i Soviet in Russia). Il tema è stato approfondito in una corrispondenza con un lettore intitolata "Sovrappopolazione relativa e rivendicazioni sindacali".

    Nella tavola VIII (Schema marxista del capovolgimento della prassi), riportata in "Teoria ed azione nella dottrina marxista" (1951), vediamo che alla base dello schema ci sono le forme ed i rapporti di produzione, le determinazioni economiche e le spinte fisiologiche, che portano la classe a muoversi verso la teoria e la dottrina (partito storico), passando attraverso strutture intermedie. Si tratta di cicli di feedback che irrobustiscono la struttura del partito formale. Quando si parla di classe, partito e rivoluzione bisogna intendere una dinamica, un processo che si precisa nel corso del tempo:

  • Vedere oltre la catastrofe

    La teleriunione di martedì sera è iniziata affrontando il tema delle imminenti elezioni americane.

    Come nota The Economist nell'articolo "The risk of election violence in America is real", il termometro sociale negli USA registra l'aumento della tensione, con toni da guerra civile. Nel nostro testo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), abbiamo scritto che "la direzione del moto storico, l'andare verso... è irreversibile. Se il determinismo ha un senso, gli Stati Uniti sono ciò che la storia del globo li ha portati ad essere."

    La polarizzazione economica e politica negli USA è il prodotto di una dinamica storica che possiamo far partire almeno dal 1971, quando il presidente Nixon eliminò l'ancoraggio del dollaro all'oro. Gli Stati Uniti assommano su di sé tutte le contraddizioni del capitalismo mondiale, e non è un caso che proprio lì sia nato un movimento avanzato come Occupy Wall Street che, nei suoi due anni di esistenza, ha voltato le spalle alla politica parlamentare, al leaderismo e al riformismo. Interessante, a tal proposito, la descrizione che viene fatta di Occupy Sandy nel libro Emergenza. Come sopravvivere in un mondo in fiamme di Adam Greenfield:

  • Cresce la tensione ovunque

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la situazione di guerra in Medioriente.

    Recentemente, le forze di difesa israeliane hanno preso di mira le basi UNIFIL presenti nel sud del Libano, lungo la "linea blu", con il chiaro intento di farle evacuare. Nell'attacco sono state distrutte le telecamere e le torrette di osservazione, e ci sono stati alcuni feriti tra i caschi blu. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno manifestato il loro disappunto, mentre Israele ha dichiarato di aver precedentemente invitato il comando UNIFIL a ritirarsi. Le truppe dell'ONU sono presenti in Libano dagli inizi degli anni '80 in quanto "forza militare di interposizione", ma evidentemente il tempo della mediazione è finito per lasciare spazio a quello della guerra aperta.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email