Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  17 ottobre 2023

Guerra civile generalizzata

La Sinistra definì positivo l'impianto di capitalismo modernissimo avvenuto con la fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Durante la teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, abbiamo ripreso questa affermazione.

Per ribadire il concetto può tornare utile ricordare quanto scrivevano Marx ed Engels a metà Ottocento riguardo la necessità di una profonda rivoluzione nei rapporti sociali dell'Asia: se tale sommovimento è necessario, qualunque sia il crimine perpetrato dall'Inghilterra in India, essa si è fatta strumento inconscio della storia. Per i padri della teoria comunista c'è qualcosa nella storia umana di simile a una legge del contrappasso, e uno degli articoli di questa legge è che lo strumento di emancipazione sia forgiato non dagli offesi, ma da coloro che offendono (India, Cina, Russia. Le premesse per tre rivoluzioni).

La vittoria delle rivoluzioni anticoloniali ha dato modo di estendere la rete capitalistica al mondo intero e di sviluppare le basi del comunismo (lavoro associato). È da notare che tutte le ultime rivoluzioni nazionali borghesi (Congo, Algeria, Angola, Mozambico) avevano carattere urbano ed erano improntate a metodi più proletari che contadini (scioperi generali). Il trapianto di elementi di capitalismo in Israele ha fatto fare un passo in avanti a tutta l'area, saltando un passaggio storico:

"Israele rappresenta un vero e proprio trapianto di capitalismo moderno nelle plaghe desertiche della Palestina rimaste nell'abbandono per decine di secoli. La rivoluzione industriale capitalista vi ha raggiunto il limite estremo delle possibilità storiche, costituendo un esempio di rivoluzione borghese fino in fondo, dato che è assente ogni traccia dei preesistenti rapporti feudali". ("La crisi del Medio Oriente", 1955)

Nell'articolo la Sinistra afferma che gli USA hanno sostenuto la nascita dello Stato di Israele al fine di stabilire una testa di ponte in Medioriente. Essi non hanno riprodotto lo schema delle vecchie potenze coloniali, ovvero appoggiarsi alle dinastie arabe per mantenere un controllo diretto del territorio, ma al contrario hanno finanziato e sostenuto la costituzione d'una moderna repubblica borghese esercitando un controllo indiretto. Ai fini della propria politica di conservazione, gli USA hanno sbloccato rapporti sociali pietrificati, avviando in una zona economicamente arretrata la corsa all'industrializzazione.

Il sostegno dei comunisti alle lotte di liberazione nazionale non è stato ideale ma pratico, finalizzato allo sviluppo dell'industria e del mercato interno e alla formazione di un proletariato combattivo pronto a lottare per sé. Il ciclo di lotte anticoloniali si è chiuso, oggi rimane solo la lotta di classe contro il capitalismo. E il primo nemico contro cui scagliarsi è la propria borghesia.

Nell'articolo "Il vicolo cieco palestinese" (n+1 n. 5, settembre 2001) abbiamo visto come sia impossibile una risoluzione della cosiddetta questione palestinese rimanendo all'interno dei rapporti sociali capitalistici, essa può trovare una conclusione solo per mezzo di un sommovimento generale. La rivoluzione borghese in quell'area è già compiuta ed ha segno israeliano, una seconda rivoluzione di segno palestinese non ha storia, né passata né futura. Durante la Primavera araba milioni di manifestanti si sono mossi contro lo stato di cose presente in Tunisia, Egitto e Siria, ma anche in Palestina e Israele. Si è trattato di un'ondata di rivolta talmente potente che è arrivata fino all'Europa e agli Stati Uniti ed ha visto la nascita di Occupy Wall Street. È questa la strada da seguire: la lotta dei senza riserve di tutto il mondo contro il sistema dell'1%.

La guerra non è un fenomeno che si lascia adoperare, quando inizia va fino in fondo. Riguardo a quanto accaduto il 7 ottobre, oltre al fallimento dell'intelligence israeliana, bisognerebbe interrogarsi anche su quello dei servizi segreti occidentali, in primis americani, sintomo di una situazione mondiale sempre più fuori controllo. Israele sta tardando a invadere la Striscia di Gaza perché, evidentemente, non ha un piano per il dopo, e se ce l'ha, non trova tutti d'accordo a Tel Aviv e a Washington. Per eliminare Hamas bisognerebbe occupare per parecchi mesi la Striscia, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e d'immagine. Inoltre, qualunque cosa accada a Gaza, non bisogna dimenticare che Hamas è insediato anche in Cisgiordania e ha basi in altri paesi. E poi, anche se Israele riuscisse a distruggerlo, chi controllerebbe le masse palestinesi? Nel 2005 gli Israeliani hanno dovuto abbandonare la Striscia proprio perché ingestibile.

Senza una strategia politica per il "giorno dopo", qualsiasi intervento d'Israele, anche se vittorioso sul campo, sarebbe destinato a fallire. Lo nota anche l'Economist ("Israel needs to resist irrational retaliation"), ricordando quanto successo agli Israeliani in Libano nel 1982 e agli Americani in Afghanistan dopo il 2001:

"La 'guerra globale al terrorismo' dell'America è iniziata trionfalmente. Appena due mesi dopo gli attacchi di al-Qaeda contro l'America nel settembre 2001, le forze guidate dagli americani avevano il controllo di Kabul, la capitale dell'Afghanistan. Il governo talebano era scomparso. Al-Qaeda è stata perseguitata. Il suo leader, Osama bin Laden, è stato rintracciato in Pakistan e ucciso nel 2011. Ma i talebani hanno portato avanti una insurrezione crescente. Avendo perso più di 2.400 militari, l'America se ne andò nel 2021. Il governo afghano crollò quasi immediatamente e i talebani tornarono al potere."

Oltre a Gaza, c'è un fronte bollente anche in Cisgiordania: a Jenin, Nablus, Gerico sono nate brigate palestinesi di autodifesa, dato che l'Autorità Nazionale Palestinese non conta più niente. Le brigate sono composte da giovani palestinesi nati nei campi profughi, che non hanno nulla da perdere e sono posti di fronte alla scelta di morire subito o lentamente. Si organizzano tramite social network come Tik Tok. Nella città vecchia di Nablus l'esercito israeliano è dovuto entrare con i carri armati per sgominarle, e dall'inizio dell'anno si sono verificati diversi scontri con i soldati che hanno causato più di 200 vittime, per la maggior parte Palestinesi.

Non si può comprendere la natura del conflitto in corso limitandosi alla Palestina, bisogna guardare a quello che succede nel complesso scacchiere mediorientale e oltre. Hamas e le forze borghesi che lo sostengono usano i Palestinesi come carne da cannone per i loro interessi. Ci sono paesi che vogliono far saltare gli accordi di Abramo tra Arabia Saudita e Israele e mirano a compattare il mondo islamico contro l'occupante israeliano. Qatar (alleato della Turchia) e Iran (finanziatore di Hezbollah) sono tra i maggiori sostenitori di Hamas, e non vedono di buon occhio l'asse Tel Aviv-Riyad. Ogni stato elabora i suoi wargame, che vengono aggiornati in base alle mosse del nemico.

Dal punto di vista militare l'attacco condotto da Hamas rappresenta un nuovo modo di condurre la guerra, più leggero (alianti, droni, ecc.), ma non per questo meno efficace. È stato colpito in profondità il nemico, mettendo in crisi le politiche di deterrenza d'Israele basate sulla minaccia di far pagare un caro prezzo a chi osa attaccarlo. In seguito al bombardamento di un ospedale a Gaza, è stata assaltata l'ambasciata israeliana in Giordania. Recentemente un "lupo solitario" ha compiuto un attentato a Bruxelles. La guerra civile si sta diffondendo nel mondo e tutti sono coinvolti. Israele è in guerra dalla sua fondazione, ma questa situazione non è accettata da tutti: al suo interno è nato un movimento di riservisti che rifiutano di prestare servizio nei territori occupati, di reprimere la popolazione palestinese e di partecipare ai rastrellamenti di massa; molti di loro vengono messi in carcere ("Dal fronte interno israeliano"). Durante le grandi manifestazioni contro la riforma della giustizia di Netanyahu, migliaia di riservisti si sono schierati contro il governo annunciando che avrebbero respinto la chiamata dell'esercito. Ora, grazie all'operazione militare di Hamas, il fronte interno israeliano si è ricompattato, ma non è detto che lo sarà per lungo tempo.

Alla nostra casella di posta elettronica sono arrivati vari comunicati di gruppi di sinistra e di sindacati di base che invitano a schierarsi, senza se e senza ma, con la resistenza palestinese (non spiegando però da chi è diretta e per quali fini). Se il partigiano è colui che si schiera per una parte borghese contro l'altra, non importa se per soldi o per ideologia, "il militante del partito rivoluzionario è il lavoratore che combatte per sé stesso e per la classe cui appartiene". ("Marxismo o partigianesimo", 1949)

Articoli correlati (da tag)

  • Il crollo dell'ordine economico mondiale

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.

    Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").

    Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.

  • La guerra è dissipazione di energia

    La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.

    Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email