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  • Resoconto teleriunione  31 ottobre 2023

Chi controlla la guerra?

Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra israelo-palestinese.

The Economist ha pubblicato un paio di articoli sulla situazione nell'area: "Why urban warfare in Gaza will be bloodier than in Iraq", nel quale si elencano le problematiche cui dovrà far fronte Israele qualora decidesse di intraprendere una guerra urbana a Gaza; e "American power: indispensable or ineffective?", dove si fa un parallelo tra il potere di deterrenza di Israele nel Medio Oriente e quello globale degli USA. In questi giorni la Marina americana ha inviato due portaerei in supporto ad Israele per lanciare un segnale chiaro agli attori ostili (a cominciare dall'Iran); il destino dei due paesi è strettamente connesso, dato che questa guerra definirà non solo il ruolo di Israele in Medio Oriente, ma anche quello dell'America nel resto del mondo. Secondo il settimanale inglese, sono tre le minacce per gli USA: i fronti mediorientali (gli Iraniani sono presenti in Siria, Libano, Iraq e Yemen) e ucraino, che consumano risorse politiche, finanziarie e militari; il fatto che una serie di paesi comincia a muoversi autonomamente per ricavare spazi di manovra (India, Arabia Saudita, ecc.); la questione Taiwan, ovvero il controllo dell'Indo-Pacifico.

Gli Houthi, al potere in una parte dello Yemen e sostenuti dall'Iran, hanno lanciato droni e missili contro Israele (intercettati e abbattuti dalle navi americane); l'Iran esporta petrolio in Cina e fornisce droni alla Russia che, a sua volta, ha accolto un alto rappresentante di Hamas dopo il 7 ottobre. L'apertura di un nuovo fronte di guerra per gli americani non è di certo cosa sgradita a Putin, che ha colto l'occasione per sottolineare la perdita di energia da parte del gendarme mondiale e la fine della "pax americana".

Sembra che all'interno del Partito Repubblicano americano ci sia chi voglia interrompere o quantomeno rallentare la fornitura di armi e finanziamenti all'Ucraina. L'America resta una superpotenza globale (produce un quarto del PIL mondiale con un ventesimo della popolazione mondiale), ma fatica sempre più ad esercitare la propria egemonia al suo interno così come all'esterno. Ciò è dovuto ad una crisi generale del capitalismo che colpisce, in diversa misura, tutti gli Stati.

Per quanto riguarda il modo di condurre la guerra, uno degli obiettivi dell'esercito israeliano è di isolare e stanare i miliziani di Hamas. Il sottosuolo di Gaza è attraversato da una vasta rete di tunnel, che non sarà facile distruggere. Ad ogni modo, prima di giungere ad un tale risultato, la guerra si farà cruenta e ciò avverrà in una delle aree più densamente abitate al mondo.

Israele sta utilizzando l'intelligenza artificiale per ricostruire i movimenti dei miliziani e trovare le postazioni di lancio dei missili. Da qualche giorno è iniziata la terza fase della guerra, i reparti motorizzati sono entrati nella periferia di Gaza seguiti dai riservisti; l'obiettivo immediato è quello di tagliare i rifornimenti e la logistica del nemico e dividere in due la Striscia. In base all'analisi delle immagini satellitari, l'Economist stima che oltre un decimo delle abitazioni di Gaza sono state distrutte e più di 280.000 persone sono rimaste senza casa. Nella Striscia scarseggiano acqua, energia elettrica e benzina, gli ospedali sono al collasso, migliaia sono i morti e i feriti tra i civili.

Israele è stato messo con le spalle al muro dall'attacco del 7 ottobre e non ha potuto fare altro che accettare tale condizione di compellence (l'azione volta a far fare all'avversario scelte che lo portano alla rovina). Deve dimostrare di essere ancora quella temuta macchina da guerra che era un tempo, anche a costo di incendiare il Medio Oriente. Gli Americani, forti delle loro esperienze in conflitti urbani, consigliano prudenza all'alleato ma non potranno tirarsi indietro qualora fosse attaccato. E comunque, anche se Israele riuscisse a conquistare la Striscia di Gaza e ad eliminare l'infrastruttura militare di Hamas, rimarrebbe il problema della gestione della situazione sul campo. Potrebbe esserci un progetto di evacuazione degli abitanti della regione: le autorità israeliane hanno comunicato l'esistenza di un piano per spostare i residenti di Gaza nel deserto del Sinai, ma il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è detto contrario. Un terzo degli abitanti della Striscia ha deciso di rimanere nel nord, pur sapendo che i bombardamenti continueranno; quelli che si sono riversati al sud (quasi un milione) che fine faranno? I conflitti prolungati provocano migliaia di morti, non solo per le bombe.

Non è da escludere che la guerra si allarghi a tutta l'area. Le diplomazie sono attive e cercano di contenere il conflitto, ma sappiamo che la volontà degli Stati conta relativamente poco. Le regole del wargame sono di tipo cibernetico (se/allora), e nessuno può sfuggire a questo rigido determinismo. Hamas ha colpito per primo provocando un effetto domino che nessuno ha il potere di far tornare indietro. Quando vengono superate delle soglie critiche, l'ordine instabile ai margini del caos (Stuart Kauffman) può trasformarsi da un momento all'altro in caos. Missili partono dal Libano, dalla Siria e dallo Yemen verso Israele, e quest'ultimo potrebbe decidere di alzare il tiro, forte della copertura militare americana.

Le conseguenze economiche della guerra cominciano a farsi sentire all'interno di Israele. In seguito all'azione armata di Hamas, il turismo è crollato, il timore di nuovi attacchi ha causato un arresto della vita economica e commerciale, l'afflusso di riservisti all'esercito (360mila) ha svuotato le aziende e gli uffici. Lo shekel ha subito un crollo, così come gli investimenti esteri, fondamentali per un paese moderno che basa la propria crescita sullo sviluppo del settore hi-tech. Il governo dovrebbe prendere in considerazione il vecchio piano di Moshe Dayan, il più razionale, ovvero il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. Ci sarebbe anche la possibilità di un intervento dell'Autorità Nazionale Palestinese e di alcuni paesi arabi per gestire una transizione post-Hamas, ma l'ANP è corrotta e ha sempre meno seguito.

Ma qual'è il piano di Hamas? Non si può capire l'attacco dell'organizzazione islamista senza tenere presente il complesso scacchiere mediorientale. Se si adotta un approccio sistemico allo studio della società non si può separare una parte dal tutto. L'azione del 7 ottobre ha posto tutti in una condizione di compellence, spingendoli a prendere posizione. Per esempio l'Iran, sostenitore di Hamas, ha ottenuto l'interruzione degli accordi di Abramo, che stavano portando buona parte del mondo arabo sotto il cappello d'Israele e dell'America.

In chiusura di teleriunione si è accennato al fenomeno dei furti che dilaga negli USA. A causa degli espropri di massa, intere catene di distribuzione, soprattutto in California, sono andate in crisi; la "pratica" si è estesa anche all'Inghilterra. Federico Rampini, difensore di law & order, afferma sulle pagine del Corriere della Sera che l'America non può permettersi il diffondersi di questi eventi ("Le razzie impunite nei supermercati e il grande disagio americano"), perché confermerebbe ai suoi nemici la fase declinante del paese.

La classe dominante americana ha grossi problemi da risolvere: crisi politica, guerra, declino del reclutamento nelle forze armate, rifiuto del lavoro, scioperi, grandi dimissioni e, per ultimo, il fenomeno degli espropri. Tutte dimostrazioni di una struttura economico-sociale che sta cadendo a pezzi. E' in atto uno scollamento di porzioni di società dallo Stato e dal sistema dei partiti e, cosa più importante, si tratta di reazioni spontanee, non ideologiche.

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