È da sottolineare l'aspetto autopoietico: il fatto che altri traducano i materiali presenti sul sito quinterna.org, li pubblichino in Rete, ne organizzino delle presentazioni, conferma quanto affermiamo su n+1: non è un gruppo, è un lavoro. Se qualcuno, in cerca di risposte, trova interessante i testi presenti sulla rivista e li diffonde, diventa a suo modo un hub, un nodo della rete, un militante della rivoluzione. A volte, i contatti virtuali si trasformano in contatti fisici e i legami deboli diventano forti ("In senso lato e in senso stretto"). Gli insiemi sono sfumati e non è sempre facile definire il livello di partecipazione al lavoro comune e a quello collettivo. Il rinnovato interesse per la Sinistra Comunista "italiana" probabilmente deriva dalla percezione dell'approssimarsi di una singolarità storica (guerra, crisi, miseria crescente, ingovernabilità, vita senza senso, ecc.), e dal fatto che questa corrente ha saputo descrivere in anticipo tale situazione, fornendo gli strumenti teorici per comprenderla e per agire di conseguenza.
In termini di autorganizzazione sociale, ne è un esempio l'esperienza del movimento Occupy Wall Street che aveva il suo hub principale, quello che esercitava maggiore influenza, a New York. Da quel meme-nodo presero forma autonomamente Occupy Oakland, Los Angeles, Denver, Portland e altre occupazioni anche al di fuori degli Stati Uniti, come Occupy Hong Kong, Gezi Park, London, Tahrir, ecc. Ogni accampamento aveva le sue peculiarità, ma tutti erano legati da un comune sentire: "Siamo il 99% e non abbiamo niente, mentre l'altro 1% ha tutto."
La teleriunione è proseguita con alcune considerazioni riguardo il caos politico-governativo in Germania, dove il partito populista AFD (Alternative für Deutschland) ha vinto le elezioni in Turingia ed è arrivato secondo in Sassonia, subito dietro la CDU. Come afferma l'Economist ("The hard right takes Germany into dangerous territory"), sarà difficile trovare la quadra in termini di governabilità. La Germania è in recessione, le esportazioni verso la Cina sono diminuite, e la recente notizia della possibile chiusura di uno stabilimento della Volkswagen, il primo datore di lavoro industriale del paese, conferma le difficoltà della struttura produttiva e prefigura le conseguenti ricadute sociali. I sindacati tedeschi hanno un ruolo attivo nella cogestione delle aziende, nel soffocare preventivamente qualsiasi movimento operaio anti-forma, ma se gli stabilimenti cominciassero a chiudere il patto corporativo potrebbe saltare. Berlino è legata a livello produttivo con Roma, e insieme a Parigi rappresenta la spina dorsale del continente europeo. Se già l'Unione Europea non esisteva come entità politica, ora con l'avanzata di partiti e movimenti apertamente antieuropei molti iniziano a interrogarsi sul suo futuro. I giornali, soprattutto quelli di sinistra, sono preoccupati per il ritorno del fascismo, che, però, non se n'è mai andato. A partire dagli anni '20 del secolo scorso, la struttura del capitalismo è quella ereditata dal fascismo, che ha sì perso militarmente la guerra, ma l'ha vinta dal punto di vista economico e sociale ("La socializzazione fascista e il comunismo").
In Francia, dopo quasi otto settimane dal voto legislativo, non si è ancora trovato un nuovo primo ministro. Nessun blocco politico, né il Nuovo Fronte Popolare (NFP) di sinistra, né i centristi di Macron, nè l'estrema destra di Le Pen, ha ottenuto la maggioranza nell'Assemblea nazionale composta da 577 seggi. Parigi affronta una situazione senza precedenti dato che non riesce a mettere insieme forze che abbiano un comune programma politico. La sinistra di Mélenchon ritiene che l'attuale presidente abbia disatteso il risultato delle consultazioni elettorali, mentre il centro è indebolito; l'unico partito che capitalizzerà il malcontento sarà il Front National. Anche in Inghilterra la situazione politica e sociale è critica: i riots di questa estate contro gli immigrati, l'insicurezza che pervade ampi strati della popolazione, il malessere diffuso che trova sfogo nelle forme più disparate riflettono un clima di crescente tensione.
Alla base delle crisi che abbiamo elencato sussiste un problema di accumulazione del capitale. In un mondo finito non può esserci una crescita infinita, non tutti i paesi possono inondare di proprie merci i mercati altrui. La crescita degli ultimi anni è stata trainata dalla produzione di sistemi di macchine, dagli investimenti in intelligenza artificiale, software e microchip, tutti settori il cui sviluppo porta all'eliminazione di forza lavoro dal ciclo produttivo. Il capitalismo non ce la fa a riprodursi in quanto rapporto sociale e la conseguenza è l'aumento del marasma sociale e della guerra.
Se i grandi paesi europei sono in difficoltà, altri sono letteralmente collassati: è il caso dell'Ucraina, di Gaza o, peggio ancora, del Sudan, a cui l'Economist dedica un lungo articolo ("Why Sudan's catastrophic war is the world's problem"). Il paese africano, che conta circa 47 milioni di abitanti, è alle prese con una carestia che potrebbe causare 2,5 milioni di morti entro la fine dell'anno. Secondo le organizzazioni non governative, 28 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria, in 6,5 milioni sono sfollati, mentre altri 2 milioni hanno cercato rifugio nei paesi vicini. In Sudan si affrontano due gruppi: dall'inizio del conflitto, nel 2023, la milizia paramilitare Rapid support forces (Rsf) si contrappone alle Sudan armed forces (Saf). Si tratta di uno scontro tra signori della guerra, che si combattono per il controllo del territorio e delle risorse economiche. Dietro tali forze ci sono gli Emirati Arabi Uniti, l'Iran, l'Egitto, la Russia, l'Arabia saudita, il Qatar, oltre ovviamente a USA e Cina. L'Africa ha già conosciuto una guerra devastante in Congo che ha prodotto milioni i morti; ma il caos in cui versa il Sudan potrebbe riverberarsi su tutta l'area limitrofa (Ciad, Egitto, Etiopia, Libia, Sud Sudan), coinvolgendo paesi già attraversati da flussi di profughi in fuga verso l'Europa. E' da ricordare che il paese africano ha circa 800 km di costa sul Mar Rosso: la sua implosione minaccia il Canale di Suez, corridoio fondamentale del commercio globale.
La disgregazione degli stati è un fenomeno generale che avanza a velocità ed intensità diverse. Dalla periferia procede verso il cuore dell'impero. Questo processo di dissoluzione si manifesta in forme e gradi differenti ma rientra in un unico processo di perdita di energia del capitalismo ("Il secondo principio"). Le architetture statali non corrispondo più ad un capitalismo trans-nazionale e anonimo, che compie le sue scorribande fregandosene delle borghesie nazionali o di quanto resta di esse ("Lo Stato nell'era della globalizzazione").
A proposito di globalizzazione del capitale, è stato ricordato l'arresto del CEO di Telegram, Pavel Durov, accusato di diversi capi d'accusa e fermato in Francia. Di questi giorni è anche la notizia del blocco di X in Brasile (l'ex Twitter ora di proprietà di Elon Musk), dopo che la Corte Suprema brasiliana ne ha ordinato la sospensione in tutto il paese (circa 24 milioni di profili su X) nell'ambito di un'indagine sulla diffusione di messaggi d'odio partiti da diversi account. In entrambi i casi, gli stati si scagliano contro i media sociali, che hanno un'influenza globale e sovente se ne infischiano delle richieste dei governi nazionali. Telegram è anonimo, si rifiuta di fornire dati ed informazioni riguardanti i propri account ed è anche utilizzato dall'esercito russo per veicolare informazioni: anche i social diventano parte integrante della guerra globale ("Informazione e potere").
In Israele sono riprese le manifestazioni contro il governo. I parenti degli ostaggi hanno assediato la residenza di Netanyahu e sono stati caricati dalla polizia. È iniziato uno sciopero generale che ha bloccato porti, aeroporti e fabbriche; il tribunale del lavoro è intervenuto ordinando di porre fine alla mobilitazione. In piena guerra, manifestazioni così imponenti sono indicative di un malessere profondo, che coinvolge diversi strati sociali. Gli USA spingono per il cessate il fuoco, l'Inghilterra annuncia di non voler inviare più alcuni materiali bellici a Tel Aviv. Al di là delle motivazioni politiche che hanno portato allo sciopero (accordo con Hamas per il rilascio dei rapiti), ciò che monta in Israele è un disagio dovuto alla "vita senza senso". Il fronte aperto nella Striscia di Gaza, quello a nord con Hezbollah, la situazione esplosiva in Cisgiordania, la tensione con l'Iran, il fatto che decine di migliaia di riservisti, stando al fronte, non lavorano, tutto questo determina una situazione economica sempre più critica. Il paese è in guerra da quasi undici mesi e non si vede una via d'uscita.