Le manifestazioni in Bangladesh si collegano cronologicamente, ma non solo, a quelle in Kenya, dove anche lì è la cosiddetta "generazione Z" (i nati tra il 1997 ed il 2012) a scendere in piazza, a causa della miseria, della disoccupazione e in generale per la mancanza di futuro. Nel paese africano la rivolta non ha leader ed è perciò difficile per lo stato intavolare una qualche forma di trattativa. Nel mondo, una nuova generazione di senza-riserve non ha più alcuna fiducia nel sistema e si mobilita non tanto per rivendicare qualcosa, quanto per mettere in discussione tutto. La rivolta è contro la legge del valore, anche se nessuno lo dice e in pochi ne sono coscienti. Come abbiamo scritto nell'articolo "Una vita senza senso":
"Lo Stato capitalistico può 'riconoscere' qualsiasi forza sociale, anche muovendole guerra per ricondurla entro i confini del compromesso; ma non potrà mai riconoscere l'anti-forma che emerge senza rivendicare nulla, che semplicemente dà vita a una società nuova e per essa combatte contro il vecchio ambiente. Questa sarà la forza della futura comunità-partito irriducibile al compromesso. L'individuo-molecola trova le connessioni adatte e passa dall'alienazione al senso di appartenenza, si aggrega, si polarizza, si fa organismo nuovo e completo. Il quale diventa per ciò stesso il principale nemico della forma attuale, anzi, l'unico vero nemico."
Quando parliamo di società divisa in 99% e 1% lo facciamo non per rivendicare un'equa ripartizione del valore, ma per dimostrare le conseguenze di quella che Marx chiama la legge della miseria crescente. Pochissimi miliardari guadagnano quanto centinaia di migliaia di proletari. La polarizzazione economica è causa di quella sociale, di qui le rivolte che scoppiano un po' ovunque. In Bangladesh, in Kenya, ed in altri paesi su cui non si puntano i riflettori dei media, migliaia di giovani si coordinano utilizzando i social network e scendono in piazza contro lo stato di cose presente. Nell'articolo "Le unghie della talpa" abbiamo visto che la forza produttiva sociale è tale che anonimi manifestanti, di fronte al blocco di Internet, hanno messo in piedi autonomamente reti mesh per superare il problema.
La guerra civile non deve scoppiare, essa è già in corso. Ciò che cambia è il livello di intensità. Lo stesso vale per la lotta di classe: finché la società è divisa in sfruttati e sfruttatori, essa non cessa. Nel mondo, a seconda dei criteri che si utilizzano per il conteggio, ci sono circa 2,5/3 miliardi di salariati, e tale massa ha una sua forza potenziale. La lotta di classe non è solo quella tra capitale e lavoro, ma anche quello che avviene in Francia, dove larghi strati della piccola borghesia e delle classi medie votano per partiti populisti/sovranisti perché sentono minacciate le conquiste ottenute in questa società. Il vice designato da Donald Trump, J. D. Vance (autore di Elegia americana), si appella alla classe operaia bianca del Midwest, immiserita a causa della deindustrializzazione.
Da anni la polarizzazione economica ha separato i rappresentanti del capitale dai senza-riserve, tutti i tentativi di mettere insieme gli opposti sono destinati a fallire. In certe parti del mondo ci sono polarizzazioni chiare, scioperi di massa (come in Corea del Sud dove è in corso uno sciopero ad oltranza dei lavoratori di Samsung), ma ci sono anche situazioni spurie, dove le classi sono mescolate e non c'è una direzione chiara del moto. Sempre più osservatori borghesi si rendono conto che il sistema sta arrivando al capolinea. Nel prossimo numero della rivista (appena portato in tipografia), la rassegna "Presa d'atto" prende spunto da un articolo dell'Economist incentrato sul crollo dell'ordine economico mondiale, delle sue regole e dei suoi assetti ("The new economic order", 11 maggio 2024). Un'altra rassegna, intitolata "Il capitalismo è morto", prende le mosse da un articolo pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza in cui si afferma che la finanza, così come funziona oggi, ha ucciso l'attuale modo di produzione. Si aggiungono poi due recensioni: una al libro Riot, sciopero, riot di Joshua Clover, che afferma che "siamo in una sorta di interregno, un intermezzo triste, illuminato ovunque da un senso di declino e dai fuochi che si accendono sul terreno planetario delle lotte"; e l'altra al film Civil War di Alex Garland, che descrive un'America nel caos, alle prese con un vasto conflitto civile.
Nei giorni scorsi il rilascio di un aggiornamento difettoso a un programma per la sicurezza da attacchi informatici e software dannosi (Falcon Sensor dell'azienda Crowdstrike) ha causato un effetto domino planetario mandando in tilt aeroporti, sistemi ferroviari, banche, ospedali e molto altro. Il bug ha colpito tutti i dispositivi con sistema operativo Windows, causandone il blocco e la conseguente interruzione dei servizi. L'update problematico si è aggiunto al disservizio della piattaforma Microsoft Azure avvenuto qualche ora prima, portando a quella che è stata definita una "tempesta perfetta". La fragilità intrinseca del sistema ha permesso ad aspetti tutto sommato minori di creare disagi a livello globale. In questi casi ricordiamo il saggio di Roberto Vacca Il medioevo prossimo venturo che parla della degradazione dei grandi sistemi.
La società capitalistica è quella che meno conosce sé stessa, almeno in rapporto ai grandi risultati raggiunti in termini produttivi. Il sommarsi di situazioni fuori controllo, come la crescita del debito americano e quello cinese, può determinare un crollo generale del sistema. Ad Haiti, un'isola ormai in mano alle gang, lo stato non esiste più. In Sudan, alle prese con una guerra dimenticata, milioni di sfollati cercano una via d'uscita nei malmessi paesi limitrofi. Nella Striscia di Gaza, l'esercito israeliano sta sterminando la popolazione civile. La Somalia è nel caos e potrebbero prendere il potere le milizie di Al Shabab. Il Libano è precipitato in una crisi cronica, e da banca del Medioriente si è trasformato in uno stato al collasso. Israele, oltre ad Hezbollah e Hamas, deve contrastare gli Houthi che dallo Yemen inviano droni. Quando diciamo "o passa la guerra o passa la rivoluzione", abbiamo in mente l'estendersi di questi scenari, e il fatto che gli Stati non possono fermarsi, solo la rivoluzione lo può. La guerra non può essere arrestata da forze interne al sistema. Il proletariato è sì una componente della società capitalistica, ma quando lotta per sé con alla testa il suo partito anticipa un'altra forma sociale.
Un modello computerizzato del mondo dovrà averlo anche il partito della rivoluzione. I mezzi tecnici di cui si avvale la rivoluzione non possono essere ad un livello inferiore di quelli utilizzati nella produzione industriale. Per adesso i mezzi a disposizione dei rivoluzionari sono rudimentali, indubbiamente bisognerà passare da un wargame di tipo analogico (come le Tesi sulla tattica del 1922) ad uno digitale. Il futuro organismo anti-forma riuscirà a supplire a questa mancanza grazie alla rete (computer che lavorano in parallelo). Va ricordato che nei momenti di polarizzazione sociale si verificano spaccature anche all'interno della classe dominante, gli eserciti possono frammentarsi o capitolare, come nel caso delle armate controrivoluzionarie di Kornilov ("Le attenzioni dello Stato").
Quello che stiamo vivendo è un periodo di grandi conferme, sia del lavoro di Marx che di quello della Sinistra. Ci troviamo nel bel mezzo di una transizione di fase, il cui epilogo non sarà pacifico e indolore. Non si tratta del passaggio da un modo di produzione ad un altro, ma della chiusura del ciclo delle società di classe, che aprirà le porte ad un organico metabolismo sociale.