La guerra ibrida è anche quella combattuta sui social network, come dimostrano i recenti casi giudiziari che hanno coinvolto piattaforme come X e Telegram, e in Rete attraverso attacchi informatici diretti a infrastrutture e sistemi di trasporto. Secondo Rampini, bisogna rispondere a questo insieme di sfide con un'alleanza tra imprese private, forze armate e intelligence: un nuovo corporativismo all'avanguardia tecnologica. Il giornalista auspica anche il rilancio della leva obbligatoria perché "il mondo di oggi ci sta dimostrando che le guerre non si vincono con i soli eserciti professionali". Dice questo proprio mentre in Ucraina migliaia di uomini scappano o si nascondono per non essere spediti al fronte. La tenuta del fronte interno è il grande problema con cui devono fare i conti le classi dominanti. Il blocco NATO può mandare armi e consiglieri militari a Kiev, ma se non ci sono i fanti che vanno a sacrificarsi in trincea manca la materia prima.
Anche Mario Draghi è preoccupato per le sorti dell'Europa e ha lanciato un appello: "Se non riesce a diventare più produttiva" l'UE sarà costretta "a scegliere e ridimensionare alcune, se non tutte, le ambizioni". Ha quindi proposto, in controtendenza alla logica europea dell'austerity, un doppio piano Marshall: 800 miliardi l'anno da investire in competitività e sicurezza con l'emissione di debito comune. "Senza questi investimenti, il nostro benessere, la nostra società e persino la nostra libertà saranno a rischio". Il piano di Draghi è, in qualche modo, collegato alle recenti dichiarazioni dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta, secondo il quale è necessario mantenere in Europa l'enorme quantità di risparmi che se ne vanno negli USA a rafforzare le imprese altrui. Gli USA vivono grazie al rastrellamento del valore prodotto dal resto del mondo, e faranno in modo che i loro sudditi non si facciano venire strane idee.
L'egemonia del biglietto verde è resa possibile dalla potenza militare americana, ma questa è messa in discussione dai mutati equilibri imperialistici mondiali. Ogni attore statale cerca di cavalcare la nuova situazione secondo i propri interessi. La Cina sta puntando sul continente africano, si veda il recente Forum sulla cooperazione Cina-Africa. La Turchia ha chiesto di entrare nei BRICS e, seppur membro della NATO, ha rilasciato dichiarazioni fortemente critiche nei confronti di Israele: Ankara si sta ritagliando un ruolo imperialista importante in un'area geopolitica strategica (Turkestan).
Quando la coperta è corta, ognuno cerca di tirarla dalla sua parte, ma inevitabilmente qualcuno rimane con i piedi scoperti. Disoccupazione, rivolte, marasma sociale e guerra, tutto sta a dimostrare che questo modo di produzione si sta avvitando su sé stesso. Inoltre, sta gonfiando un'enorme bolla finanziaria destinata a scoppiare non appena verrà meno la fiducia del mondo verso il sistema del dollaro. Il debito pubblico degli Stati Uniti ha raggiunto i 35 mila miliardi di dollari, oltre il 130% del PIL, mentre il deficit di bilancio nel 2024 supererà il 6,7% del PIL.
La borghesia sta investendo massicciamente nella produzione di chip, nell'intelligenza artificiale e in armi ultratecnologiche, tutti settori che richiedono un'alta composizione organica del capitale e relativamente poca forza lavoro. Ma come può funzionare il sistema del lavoro salariato se di questo ce n'è sempre meno? Ogni tanto qualche "gigacapitalista" (Elon Musk, Sam Altman) lancia l'allarme sulla crescita della "disoccupazione tecnologica", proponendo l'erogazione di un reddito di base universale sganciato dalla prestazione lavorativa. Nei Grundrisse Marx sostiene che, superata una certa soglia, la ricchezza non è più quella misurata con il lavoro umano (legge del valore):
"Nella stessa misura in cui il tempo di lavoro - la mera quantità di lavoro - è posto dal capitale come unico elemento determinante, il lavoro immediato e la sua quantità scompaiono come principio determinante della produzione - della creazione di valori d'uso - e vengono ridotti sia quantitativamente a una proporzione esigua, sia qualitativamente a momento certamente indispensabile, ma subalterno, rispetto al lavoro scientifico generale, all'applicazione tecnologica della scienze naturali da un lato, e rispetto alla produttività generale derivante dall'articolazione sociale nella produzione complessiva dall'altro - produttività generale che si presenta come dono naturale del lavoro sociale (benché sia, in realtà, prodotto storico). Il capitale lavora così alla propria dissoluzione come forma dominante della produzione."
A proposito di redistribuzione del reddito, abbiamo commentato il capitolo "Ridistribuzione del reddito o negazione del Capitale?" tratto dal nostro articolo "L'uomo e il lavoro del Sole". Il settore agricolo è in gran parte assistito dallo Stato perché strategico nell'alimentazione delle popolazioni. Il punto allora non è applicare ancora più capitale alla terra né tantomeno vagheggiare il ritorno ad una agricoltura precapitalistica, bensì ritrovare un bilancio energetico della produzione di cibo.
La Sinistra Comunista "italiana" ha prodotto materiale importante sul tema della dissipazione capitalistica. Pensiamo all'industria della disoccupazione, che prospera con l'aumento del numero di persone senza lavoro: agenzie per il lavoro, corsi di formazione, enti bilaterali, uffici di collocamento, ecc. Senza contare l'immane spreco di energia sociale determinata dal dilagare delle guerre: la specie dissipa sempre più energia per tenere in piedi un sistema antiumano ("Capitale e teoria dello sciupio").
La fine dell'economia naturale e la conseguente mercificazione della Terra è stata resa possibile anche dal progresso scientifico:
"La rivoluzione agraria, come quella industriale, si imponeva con premesse scientifiche universali già utili a un'umanità potenzialmente emancipata dal bisogno, ma il capitalismo distillò da subito soltanto la parte utile alla valorizzazione del Capitale e portò alle estreme conseguenze i frutti delle ricerche scientifiche fino all'uso indiscriminato della chimica, premessa della mineralizzazione del suolo." ("L'uomo e il lavoro del Sole")
La società futura risolverà il problema del bilancio energetico non certo con il ritorno a forme di produzione del passato e nemmeno redistribuendo la terra al contadino proprietario, figura oggi in via di estinzione. La scienza non è il problema, ma parte della soluzione. La conoscenza umana, finché rimane all'interno dei limiti angusti della presente forma sociale, non è veramente tale.
"Gli spasmodici tentativi di tutti gli organismi mondiali per giungere ad un controllo generale dell'economia è un implicito riconoscimento del carattere sociale delle forze produttive alla scala globale, una vera e propria capitolazione di questa società di fronte al marxismo." ("L'uomo e il lavoro del Sole")
Si tratta dunque di rompere con la forma aziendale (da quella a conduzione familiare fino a quella multinazionale), con la divisione sociale del lavoro e con i confini nazionali, per affrontare i vari ambiti del vivere sociale (dimora, spostamenti, cibo, ecc.) da un punto di vista scientifico unitario. È ciò che abbiamo cercato di fare sviluppando i punti schematizzati nella riunione di Forlì del '52 (Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, PCInt.).