Dal punto di vista marxista l'unica distinzione valida è tra capitale reale e capitale fittizio. E quando il capitale fittizio supera di gran lunga quello reale, ne subentra un'altra: quella fra ciò che è attuale e ciò che è potenziale. Perché il capitalismo genera in continuazione, entro sé stesso, elementi che lo negano e anticipano la società futura.
Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale" scritto dopo la crisi dei mutui subprime, sosteniamo che il Capitale ha una sua freccia del tempo: l'intervento degli Stati attraverso l'iniezione di liquidità nell'economia e le promesse dei banchieri e dei governanti di risolvere le disfunzioni del sistema sono servite solamente a spostare in avanti il crollo del sistema, ingigantendo le bolle speculative.
La socializzazione del credito, nella fase giovanile del capitalismo, è stata fondamentale per reperire capitali sparsi nella società e per indirizzarli verso grandi investimenti in ambito industriale, che portassero grandi profitti. Quella era l'epoca delle grandi concentrazioni di operai e industrie; oggi, nella fase senile del capitalismo, l'industria diventa una pedina del mondo della finanza. Ed è un bel problema per il sistema: Marx prima e la Sinistra poi sostengono che non si può estrarre nuovo valore dalla sfera della circolazione del capitale.
Uno dei testi più importanti della Sinistra per dimostrare la morte tecnica del capitalismo è Proprietà e Capitale, ma sono utili anche la serie di articoli da noi raccolti nel quaderno Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, basati sullo studio del Libro II del Capitale:
"Fate qualche esercizio col muscolo della dialettica... una volta scoperto che la chiave del capitalismo non è la brama personale dei capitalisti di godere dei profitti, ma è la impersonale esigenza del capitale sociale di aumentarsi di plusvalore, resta dimostrata la necessità della morte del capitalismo, quindi la sua scientifica non-esistenza potenziale dichiarata da Marx."
E' da sottolineare che il capitalismo, fin dalle sue origini, ha una spinta all'autonomizzazione, perché esso bada solo al valore di scambio, al denaro, e tratta il valore d'uso delle merci solo come un mezzo. Ai giorni nostri il capitalismo tenta di autonomizzarsi anche da sé stesso, virtualizzandosi. Di una cosa però il capitalismo non può fare a meno, cioè del lavoro salariato da cui trae sostentamento sotto forma di plusvalore. L'aumentata produttività del lavoro porta a sfruttare sempre di più un numero sempre minore di operai, e questo nega le fondamenta su cui si basa il capitalismo.
Prendiamo ad esempio un computer, un mezzo di produzione che è uscito dalle mura aziendali, si è rimpicciolito fondendosi con il telefonino, ed è ora a disposizione di tutti. La socializzazione delle forze produttive significa anche questo, e cioè il fatto che, come dice Lenin, non è soltanto il lavoro ad essere socializzato ma la società intera ad entrare in contrasto con i rapporti di produzione esistenti. Il capitalismo non riesce a controllare sé stesso proprio perché attanagliato da una contraddizione irrisolvibile tra la produzione sociale del prodotto e l'appropriazione privata dello stesso.
Di conseguenza il capitalismo deve inflazionare lo Stato, strumento della dominazione di classe. In un recente discorso alla Duma il presidente Putin ha ribadito la necessità del sostegno all'economia nazionale, promettendo incentivi ai salari e alla natalità, investimenti nell'istruzione, ecc. Niente di nuovo: la presenza dello Stato nell'economia è ormai un dato di fatto a tutte le latitudini. L'intervento statale ha subito un'accelerazione tramite le varie forme di fascismo negli anni '20 e '30, che hanno rappresentato il tentativo del capitalismo di regolare sé stesso. Lo Stato non ha assunto più potere rispetto al Capitale, viceversa è quest'ultimo che domina sempre più sullo Stato.
Jeremy Rifkin nel saggio La società a costo marginale zero descrive l'eclissi del capitalismo e altri autori borghesi parlano di post-capitalismo, intuendo che siamo entrati in una terra di confine. Superata una determinata soglia, il sistema non ha più vie d'uscita, nemmeno dal punto di vista ideologico. Come afferma l'economista Nouriel Roubini (La grande catastrofe), i parametri dell'economia mondiale sono sballati: nei paesi a vecchia industrializzazione i giovani disoccupati non riescono più a pagare le pensioni dei loro genitori e con l'avanzamento tecnologico sempre più posti di lavoro vengono eliminati, pertanto lo Stato è costretto ad intervenire per evitare lo scoppio di rivolte e sostenere i consumi. Alla fine, l'economia di mercato funziona solo perché la macchina statale la sostiene. E' un sistema drogato che ha la parvenza di capitalismo ma è già qualcos'altro.
La teleriunione è proseguita con l'analisi della situazione nel Mar Rosso, dove sembra che gli Houthi abbiano danneggiato dei cavi sottomarini utilizzati per la rete Internet mondiale. Il controllo di uno stretto ha un valore non solo economico, ma anche politico e militare. In una società che non sia capitalistica si agirà secondo un piano di specie, e quindi ci saranno solo questioni tecniche da affrontare. La società umana è un organismo vivente che ha risolto diversi problemi nel corso della sua evoluzione. Oggi il pianeta è disseminato di colli di bottiglia, di passaggi obbligati che nazioni e clan controllano armi alla mano; in una società più evoluta essi sarebbero dei semplici snodi, hub della grande rete metabolica globale. La specie umana ha perso la capacità di sintonizzarsi con l'omeostasi naturale, di vivere in armonia con il resto del pianeta. Il fatto che ci siano metropoli di 20 o 30 milioni di abitanti ne è una dimostrazione lampante.